Martina Attili: “Il mio indirizzo di casa diffuso su un sito porno, ho dovuto spiegare a mio fratello come difenderci”

Martina Attili, artista ed ex concorrente di X Factor, racconta a Fanpage di essere una delle vittime del sito per adulti su cui vengono diffuse foto e video di donne – famose e non – a loro insaputa. Già anni fa provò a denunciare, ma qualcosa sembra star cambiando solo adesso, quando insieme a lei si sono mobilitate altre attrici e creator, tra cui Anna Madaro e Nicole Rossi. Il suo caso, però, è ancor più complesso, perché oltre ai commenti espliciti dal punto di vista sessuale, alcuni utenti hanno diffuso anche il suo indirizzo di casa: "Ho dovuto parlare a mio fratello minore, insieme abbiamo ideato strategie per difenderci".
Quando hai saputo di essere finita sul forum?
Circa cinque anni fa, l’ho scoperto tramite delle segnalazioni. Ho provato a denunciare, ma mi avevano detto che non c’era abbastanza materiale per procedere. Anche se tra quelle immagini c’erano foto di me da minorenne, commentate in modo molto esplicito.
Che tipo di contenuti venivano pubblicati?
Erano foto e video che avevo pubblicato online. Loro facevano screen, cercavano l’angolazione giusta, zoomavano e sessualizzavano ogni momento della mia vita: c’erano immagini di me che mangio, che piango. Nulla sfuggiva.
Quando parli di “sessualizzazione”, a cosa ti riferisci esattamente? Che tipo di commenti venivano fatti?
Si trattava di uomini che scrivevano cosa mi avrebbero fatto, cosa pensano di me, in che situazioni mi avrebbero vista. Usavano aggettivi come “vogliosa”, anche se ero solo una ragazzina. Sono entrata nel mondo dello spettacolo a 16 anni, quindi loro pubblicavano anche immagini di quel periodo.

E la polizia cosa ti disse?
Che si trattava di materiale di dominio pubblico. In quel forum mi chiamavano anche “Lolita”, il che è particolarmente inquietante, perché sappiamo chi è "Lolita", una ragazza molto giovane che può suscitare desiderio negli uomini. È inquietante.
Decidesti di parlare pubblicamente già allora?
Sì, lo feci. Così come fece Nicole Rossi, che è anche una mia cara amica, ma non fummo ascoltate abbastanza. Credo che stavolta lo stiano facendo solo perché la cosa si collega al gruppo Facebook “Mia moglie”. Ma queste realtà esistono da anni e chi ne fa parte sta già cercando di spostarsi su Telegram o altrove, nel caso il sito venga chiuso.
Sui social hai raccontato che questa volta è stato diffuso anche il tuo indirizzo di casa. Che effetto ti ha fatto, come ti sei mossa per proteggerti?
Già in passato avevo avuto problemi di stalking, che hanno avuto un impatto non indifferente su di me a livello mentale. Faccio fatica a stare da sola in casa. Stavolta ho parlato anche con mio fratello più piccolo per fargli capire la situazione e trovare strategie per proteggerci. È questo che mi ha spinto a tornare in centrale a denunciare, perché nelle esperienze precedenti, anche quando denunciavo, sembrava non bastare mai.
Ti va di raccontarci di queste esperienze precedenti di stalking?
Ne ho avute parecchie. Gente che ha trovato il numero di mio nonno, che ha chiamato la scuola elementare vicino casa fingendosi giornalista per sapere dove abitavo. Hanno trovato anche la madre di mio fratello maggiore, che ha una madre diversa dalla mia. Persone che venivano sotto casa con maschere cantando le mie canzoni. Già prima di diventare un personaggio pubblico avevo avuto una brutta esperienza, c'era una persona che veniva a citofonare a casa mia ogni notte a mezzanotte. Avevo denunciato, ma quando finalmente scoprirono che in realtà era il mio ex, era passato un anno. Un anno in cui poteva succedermi qualsiasi cosa. E in quel periodo lui era tornato fingendo di avere la leucemia, solo per riavvicinarsi a me.
In un'intervista a Fanpage, Nicole Rossi ha raccontato che a lei è stato detto di poter denunciare solo per violazione del copyright e non per molestie. È successo anche a te?
A me non hanno parlato di copyright, ma mi dissero che i commenti erano "solo commenti". Ma qui non parliamo solo di commenti: parliamo di 96 pagine di materiale in cui c’è una comunità intera che usa le tue foto per avere momenti di intimità, che ti nomina, ti definisce, ti oggettivizza. In alcuni casi, come in quello di Anna Madaro, addirittura hanno chiesto se ci fosse un modo per hackerare le sue telecamere in casa. È molto grave.

Credi che questa mobilitazione collettiva possa fare la differenza rispetto a cinque anni fa?
Spero di sì. Spero che arrivi a chi può davvero cambiare le cose, perché parlarne serve, ma poi serve qualcuno che faccia qualcosa di concreto. Altrimenti, fra due settimane staremo parlando di un nuovo forum.
Avete scelto di nominare esplicitamente il sito. Perché?
Condividere il nome può sembrare una scelta controversa. Alcuni non vogliono farlo per evitare di pubblicizzarlo, ma la petizione stessa che si propone di far chiudere quel sito contiene il nome. Se non lo nominiamo, come fanno le donne a sapere se sono coinvolte? C’è gente che mi ha scritto: “ci ho trovato mia sorella”, “ci ho trovato mia cugina”. È stato necessario.
Questa vicenda ha avuto ripercussioni sul tuo lavoro o sul tuo modo di vivere?
No, non cambio il mio modo di vivere per questo. Non prendo decisioni artistiche in base a cosa potrebbero dire su un forum di pervertiti. Non siamo noi vittime a dover cambiare, a farlo deve essere il contesto intorno. Se smettiamo di postare, di fare arte, gliela diamo vinta. Noi rappresentiamo la normalità, loro no.
Quanto è stato importante per te sentirti parte di un gruppo in questa vicenda?
Ti dirò, avrei sperato di essere la sola, che nessun'altra fosse coinvolta. Sicuramente è stato importante confrontarsi, decidere insieme di denunciare, ma avrei preferito fare gruppo in una situazione diversa. Se il problema riguarda tutte noi è ancor più doloroso.
Avete sporto una nuova denuncia?
Sì, ci andremo tutte insieme. Eravamo tutte fuori per lavoro e ci siamo organizzate per andarci insieme, per darci supporto emotivo.
Hai altro da aggiungere?
Sì, che questo messaggio non è rivolto solo alle donne. Lo dico sempre: dobbiamo parlarne con gli uomini e con le istituzioni. Abbiamo bisogno che ci ascoltino, che si affianchino a noi. Non è una battaglia contro di loro, ma per tutti. Finché nelle assemblee contro la violenza sulle donne ci saranno solo donne, non cambierà nulla. Serve consapevolezza da parte di tutti.