Gianfranco Agus: “Lasciai La Vita in Diretta per la troppa cronaca nera. Mancava la leggerezza e non mi sentivo più a mio agio”

Una vita in giro, una vita da inviato. E nessuno come lui e più di lui ha rappresentato meglio il ruolo, diventandone simbolo indiscusso. “La consacrazione la ebbi nel film ‘E adesso sesso’, quando i Vanzina mi fecero interpretare me stesso”, racconta Gianfranco Agus a Fanpage.it. “Mi considerarono una specie di icona in quell’ambito. Avevo fatto talmente tante cose che pensarono immediatamente a me”.
Una carriera, quella di Agus, che era cominciata tanti anni prima, complice anche una parentela eccellente (lo zio era il grande Gianni) che gli fece annusare fin da ragazzo l’ambiente dello spettacolo. In tal senso, fu d’aiuto pure la scuola: “Frequentavo il Liceo Nazareno, lo stesso di Christian De Sica e Carlo Verdone, solo che loro erano al Classico ed io allo Scientifico. Nella mia classe avevo invece Robertino Rossellini e spesso andavo a fare i compiti da lui. Attorno alle 6 si palesava una signora con la vestaglia a quadri che ci portava i panini con la marmellata. Crescendo capii che si trattava di Ingrid Bergman”.
Contatti importanti, che gli consentirono di avvicinarsi addirittura a casa Tognazzi. “La bellezza di certi privilegi stava nella condivisione dei momenti intimi e nelle chiacchiere confidenziali. Ero amico di Gianmarco, mentre con Ugo discutevamo di pastasciutta e di calorie. Per non parlare dei celebri tornei di tennis. Da lì passavano davvero tutti”.
I suoi inizi però furono in banca.
Sì, ci lavorai per qualche anno, ma il mio obiettivo era fare altro. Mia madre, che aveva tenuto a battesimo Renato Zero, Loredana Bertè e Mia Martini in quanto organizzatrice del Festival delle Rose, capì che quel mestiere non mi piaceva e mi presentò Riccardo Pazzaglia. Con lui riuscii ad approdare a Radio 2, dove conducemmo ‘Aperti il pomeriggio’, un programma estivo nel quale chiacchieravamo del più e del meno tra una canzone e l’altra. Fu la mia primissima esperienza.
Prima citava Christian De Sica e Gianmarco Tognazzi. Li ritrovò entrambi in “Vacanze in America”.
Serviva un volto per il ruolo del pariolino che trascurava la bella fidanzata e presero me. Ci divertimmo tantissimo. Non era un vero cinepanettone, si raccontavano gli anni della scuola. C’era qualche battuta osé, ma non era volgare. Furono settimane meravigliose. Ricordo che nella Valle della morte, dove non pioveva mai, ci furono intense precipitazioni. Il produttore Cecchi Gori fu costretto a mantenerci là qualche giorno in più, con annesso aumento delle spese.
In “Ultimo minuto” ribeccò anche Ugo Tognazzi.
Pupi Avati mi volle assegnare una parte drammatica. Rimasi sorpreso, mi domandai cosa c’entrassi, visto che venivo da una pellicola dei Vanzina. Oltre a Ugo, in quel film c’erano Gianni Gavina, Diego Abatantuono, una giovane Elena Sofia Ricci e Nik Novecento, che avrebbe avuto ampia popolarità al ‘Maurizio Costanzo Show’.
Sempre con Avati condivise l’esperienza televisiva di “Hamburger Serenade”.
Andava in prima serata su Rai 1 e le riprese venivano effettuate al Bandiera Gialla. Fu Pupi ad inventarmi inviato per delle gag spiritose. Dovevo verificare l’esistenza del mostro di Loch Ness e mi fece uscire fuori dall’acqua da una piattaforma. In giacca e cravatta, tutto zuppo, dicevo che negli abissi non c’era niente. In realtà mi trovavo in un laghetto di Rimini.
L’anno seguente fu la volta di “Porto Matto”. Come andò?
Fu un progetto molto importante, il mio vero trampolino. Era una trasmissione quotidiana e io arrivai nella seconda stagione. Trovai Maria Teresa Ruta, Patricia Pilchard e Paola Onofri, che avrei riabbracciato in ‘Casa mia, casa mia…’. Era il rifacimento di una piazza italiana, ancora prima che lo facesse Guardì.
Una grande palestra fu la tv dei ragazzi.
Condussi per diversi anni ‘Il sabato dello Zecchino’. Avevo raccolto il testimone da Cino Tortorella, che non si occupava più delle giornaliere dall’Antoniano di Bologna. Era un’epoca in cui si proponeva realmente qualcosa per i più giovani.
Al suo fianco aveva Ave Ninchi.
Ebbi l’onore di lavorare con lei, un mostro sacro. A pranzo e a cena mi raccontava un sacco di aneddoti su Manfredi, Tognazzi, Totò e su mio zio Gianni. Una volta mi sgridò: ‘Gianfranco, quando siamo in onda fammi terminare la battuta, non entrare in anticipo’. Mi insegnò moltissimo.
Per due stagioni fu al timone del “Nuovo Cantagiro”.
C’era grandissimo entusiasmo. Nel cast comparivano anche Gabriella Carlucci, Mara Venier e Fiorello alle sue prime apparizioni in tv. Furono splendide estati, tra partite di calcio, bagni in piscina e tante tavolate. Fu un onore per me partecipare ad un programma storico come quello.
Nel 1993 si cucì addosso la veste di inviato con “Detto tra noi”, antesignano de “La vita in diretta”.
Mantenne quel titolo fino al 1994, poi si trasformò in ‘Cronaca in diretta’, in ‘L’Italia in diretta’ e ne ‘La vita in diretta’. Quando arrivai c’erano Piero Vigorelli e Patrizia Caselli. Piero fu il primo ad osare e ad inserire la cronaca nera al pomeriggio. Beniamino Placido lo attaccava costantemente e lo soprannominò Pietro Vampirelli.
Centinaia di collegamenti e persone conosciute. Ci sono situazioni che, più di altre, le sono rimaste nel cuore?
Seguii il matrimonio dell’Infanta di Spagna, passai dei giorni con Andrea Bocelli a New York in occasione della consegna delle chiavi della città. Inoltre, restammo per un mese a Cuba, quando Papa Giovanni Paolo II incontrò Fidel Castro. Erano altri tempi, c’era molta cronaca bianca e mi potevi trovare a casa di una centenaria, o al Ballo delle Debuttanti. Sono stati anni indimenticabili.
Diciamo che la leggerezza era predominante.
Era un altro programma, a volte troppo leggero, ma mai leggerissimo. Ti accompagnava col sorriso. Ad un certo punto si impose con prepotenza la cronaca nera. Pensavi di aver fatto una bella cosa, il giorno dopo scoprivi però che il servizio sull’omicidio aveva totalizzato tre volte il tuo ascolto. Da lì avvenne la metamorfosi.
Riesce ad identificarla temporalmente?
Credo che tutto partì con la vicenda di Avetrana.
E lei, come reagì?
Ad un certo punto non mi sentii più a mio agio, Sai, io mi collegavo con i cantanti, andavo nelle case dei vip. Intervistai persino Vittorio Emanuele dalla sua abitazione quando ancora non poteva rientrare in Italia. Era quello il mio taglio. Portavo spensieratezza. Esserci a tutti i costi, magari per tre minuti, tra il racconto di un femminicidio e quello di una violenza, rischiava di diventare imbarazzante. Motivo per cui nel 2016 lasciai. Preferisco che la gente si ricordi delle mie battute.
Rimpiange quel tipo di televisione?
Ho nostalgia di una certa ironia e di un certo cazzeggio, tuttavia non ho da recriminare nulla. Ho preferito tirarmi fuori, mi sono accorto che non c’era più spazio per quella tv serena e un po’ scanzonata. C’è stato un cambio netto di impostazione e di tenore. Tutto questo mi ha fatto soffrire, lo riconosco.
Quell’impostazione, secondo lei, è sepolta per sempre?
La cronaca nera è diventata una malattia. Alberto Matano è bravissimo ed è un vero professionista. Ma ti accorgi che è costretto ad occuparsi di determinati argomenti perché dall’altra parte stanno facendo altrettanto. Spesse volte si notano gli inviati di Rai 1 e Canale 5 sullo stesso posto, in attesa di intervistare la stessa persona.
Torniamo alla sua “Vita in diretta”. Eravate il bersaglio perfetto dei comici, a partire dalla Cortellesi.
Chi se lo scorda (ride, ndr). ‘Ciao Michele’, riferito a Cucuzza, diventò un tormentone. La Cortellesi impersonava Silvana, un’ipotetica nostra inviata che andava a casa dei personaggi famosi e strabordava di entusiasmo. La gente quando ci incrociava per strada ci salutava proprio con ‘Ciao Michele!’. Non potevi scamparla.
Si è mai imbarazzato per un suo collegamento?
No, nonostante abbia realizzato anche servizi complicati. Una volta organizzai un’intervista a Riccardo Schicchi in una palazzina sulla Cassia ed erano presenti le pornodive della sua agenzia. Ad ogni modo, ho sempre prestato attenzione e portato rispetto al pubblico. Poi è ovvio: in certi giorni ti andava bene e in altri male.
Capitolo Sanremo. Il suo primo Festival a che anno risale?
Alla metà degli anni novanta. Intervenivo dall’Hotel Londra e da lì passavano tutti gli artisti. In seguito, Cucuzza salì a Sanremo per la conduzione e io tornai a fare l’inviato. In quella settimana entravi in un universo parallelo. Correvo dietro ai cantanti e intercettavo gente di ogni tipo. I nostri interventi dalla porta carraia e dallo spazio antistante il teatro Ariston erano il fiore all’occhiello de ‘La vita in diretta’.
Nel 2014 a “Sanremo & Sanromolo” fu la spalla perfetta di Pif.
Pierfrancesco conduceva il Pre-Festival e mi coinvolse. Fu spassosissimo. Aldo Grasso ci definì sublimi. Mi feci prendere in giro sul fatto che, pur avendo raccontato per anni la manifestazione, non mi veniva concesso il biglietto per godermi la kermesse. Facemmo alti ascolti e lasciammo un buon traino a Fazio.

Nel 2023 si è riaffacciato in Liguria, stavolta per conto di “BellaMa’”. Come mai?
Mi volle Diaco e accettai volentieri. Ero entusiasta, perché mi sembrava di riavvolgere il nastro di dieci anni. Si respirava di nuovo quell’allegria di cui avevo bisogno.
A parte quello, non l’abbiamo più vista in video.
Non ti nego che mi hanno contattato spesso per partecipare a dei reality o per fare l’opinionista. Una volta se in un programma si parlava di musica chiamavano Renzo Arbore e se dovevi discutere di pallone ti rivolgevi ad Enzo Bearzot. Oggi vige la regola dell’essere presenti a prescindere, anche se il tema di discussione non è di tua competenza. Io sono tranquillo e in pensione. Sono contento di aver smesso. Non esserci è dura, stai male per un periodo, poi diventi consapevole.

Si possono nominare i reality che l’hanno corteggiata?
Preferirei di no, comunque sono stati contatti minimi, quasi accennati. Non mi andava, mi sarei imbarazzato. Molti miei colleghi hanno detto di sì e hanno fatto bene, se se la sentivano. Ma per quel che mi riguarda, nelle case delle persone preferisco entrarci in giacca e cravatta.
Non posso non chiederle dell’accusa di pubblicità occulta che subì nel 2004. Tutto partì da un’inchiesta di “Striscia”.
Uscii da quella storia pulitissimo e mi venne riconosciuta l’assoluta estraneità ai fatti. Fu una brutta storia. Io e il regista Pietro Pellizzieri eravamo completamente all’oscuro della questione. Mi sospesero per parecchi mesi e rientrai solo nel 2005. Fu una situazione difficile.
Ricevette solidarietà?
In primis dal direttore Del Noce. Le persone stavano dalla mia parte, erano molto comprensive. Chi mi conosceva sapeva che non avrei mai potuto fare una roba del genere. Ero solo andato in un locale per effettuare un collegamento con 5-6 cantanti degli anni sessanta. Posso garantirti che la mia coscienza era ed è pulita. Una cosa è certa: fosse successo nell’era dei social, sarei stato condannato a morte.
“Striscia”, dal canto suo, costruì un servizio accurato.
Se mi dici che domani devo essere in diretta da piazza del Popolo, io mi presento là. So che troverò un set e ci vado. Punto. Fummo interrogati e riconobbero la nostra assoluta correttezza. I magistrati chiesero a ‘Striscia’ di avere tutto il girato, non solo quello andato in onda. Perché un conto è l’integrale, un altro è ciò che viene trasmesso. Ad addolorarmi fu piuttosto un altro aspetto.
Quale?
Quando esplose il caso il nostro nome finì su tutti i giornali, ma quando fummo prosciolti ci dedicarono al massimo una riga. Non ce l’ho con ‘Striscia’, ha fatto il suo lavoro. E mi rendo conto che quelli erano anni d’oro per ‘La vita in diretta’, che era ritenuto un avversario temibile per l’offerta pomeridiana di Canale 5.