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Carlo Paris: “Da direttore di Rai Sport mi fecero la guerra. Avevo l’accordo con Buffa, venni rimosso e saltò tutto”

Lo storico inviato si racconta a Fanpage.it: “Sono convinto che tutto ciò che sia Nazionale e Italia debba essere trasmesso dal servizio pubblico”. A metà della finale dei mondiali del 2006 si fece fotografare con la coppa: “Per scaramanzia a Lippi avevo preparato solo domande sulla sconfitta”.
A cura di Massimo Falcioni
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Una vita professionale segnata dal racconto dello sport, nonostante passioni che gli hanno sempre consentito di allargare la visuale. Carlo Paris è stato per decenni la voce a supporto dei grandi match calcistici targati Rai, di cui è stato un narratore popolare ed iconico.

Nato ad Avezzano nel 1954, la famiglia di Paris approdò subito a Roma: “In Abruzzo ho grandi legami affettivi e amo coltivare le mie origini”, svela a Fanpage.it il giornalista che, dopo essersi diplomato al Classico, si iscrisse alla facoltà di Medicina. “Frequentai l’Università per tre anni e mezzo e diedi regolarmente gli esami, poi mi accorsi che quel percorso non faceva per me. Vedere soffrire la gente negli ospedali è un qualcosa che ancora mi tocca”.

Una laurea non conseguita compensata da un’avventura nel giornalismo avviata in una tv locale: “Cominciai a Tele Lazio, prima televisione via cavo d’Italia, fondata in un periodo in cui si pensava che questo sistema di trasmissione avrebbe avuto futuro. Così non fu”.

Paris, ad ogni modo, ebbe modo di farsi le ossa ed anche in fretta. “Tele Lazio aveva la sede a Latina e fui fortunato ad essere l’unico corrispondente della Capitale. Coprivo per loro le vicende romane più importanti. Amo sempre ripetere che io ho iniziato dove gli altri in genere finiscono. Mi ritrovai a raccontare giovanissimo il rapimento e l’uccisione di Moro, la morte di Papa Luciani e l’elezione di Wojtyla”.

Nel 1978 accadde davvero di tutto. Potremmo definirlo l’anno della svolta, perlomeno per lei.

Erano gli anni bui del terrorismo e quotidianamente si contava il funerale di un magistrato o di un giornalista. Considera che collaborai anche con ‘OP’ di Mino Pecorelli. Lo intervistai a più riprese proprio per Tele Lazio ed ebbi l’occasione di conoscerlo.

Di lì a poco approdò a “Repubblica”.

Ti sembrerà strano, ma la mia regola all’epoca era: ‘Fatemi seguire tutto, tranne lo sport’. Ero talmente malato di calcio che nel giornalismo preferivo osservare altre cose. Ammetto che mi sarebbe piaciuto diventare un calciatore, tanto che per un po’ giocai a livello dilettantistico.

La svolta arrivò con la chiamata della Rai.

Avviai la collaborazione col Tg3 e nel 1987 venni chiamato da Biscardi al ‘Processo del Lunedì’. A quel punto l’avvicinamento allo sport fu d’obbligo. Ero in una testata prestigiosa e non potevo dire di no. Ogni tanto cercavo di sfuggire alla cronaca stretta del pallone, tentando di ampliare lo spettro. Ad esempio, feci per anni il telecronista dall’elicottero per le gare offshore di motonautica e nel 1990 fummo gli unici ad essere sul posto quando Stefano Casiraghi, marito di Carolina di Monaco, morì in un incidente. Le nostre immagini fecero il giro del mondo.

Lo sport divenne definitivamente il suo settore di competenza alla metà degli anni novanta.

Sì. Ero riuscito ad alternarmi con altri incarichi fino a quel momento. Condussi infatti il Tg3 Roma-New York, con Antonio Di Bella che faceva il corrispondente dagli Usa. Ma con la nascita del TgS, successivamente trasformatosi in Rai Sport, ci fu il salto. Tentennai parecchio, avevo paura di buttarmi totalmente in quel settore, però alla fine dovetti cedere.

Citava Biscardi. Che tipo era?

Ero l’inviato del ‘Processo’, curavo i collegamenti e i servizi. Si poteva essere d’accordo o meno con le idee di Aldo, ma aveva un fiuto incredibile per la notizia. Era furbo e sveglio e il suo programma fu l’antesignano dei talk in Italia. I primi scontri in onda nacquero con lui. Sapeva mettere assieme l’anima bianca e l’anima nera. Un genere che imperversa nella televisione attuale, specialmente nelle trasmissioni di politica. Si sta esagerando, ormai la tv somiglia troppo alla radio. E’ un format che non costa niente, che danneggia l’informazione di qualità. Sono prodotti di intrattenimento, diciamo le cose come stanno.

Fu dal 1995, per quasi diciotto anni, inviato e bordocampista per i match di Serie A, Champions League, Coppa Italia e Nazionale.

Passavo 200 giorni l’anno in trasferta. È difficile trovare un altro giornalista in Rai con un numero simile. Sono impegni che stancano fisicamente, ti distruggono. A volte mi svegliavo di notte e non ricordavo in quale città stessi dormendo. Ero davvero stressato.

Senza dimenticare le Olimpiadi.

I primi Giochi seguiti sul posto furono quelli di Atlanta. Proseguii con Sydney, Atene, Pechino e Londra, mentre quelli di Rio li allestii in veste di direttore di Rai Sport. Raccontavo più i Paesi in cui mi trovavo che gli aspetti prettamente sportivi. Non potrò mai scordarmi le Olimpiadi invernali del 2002 a Salt Lake City. Arrivammo a New York tre giorni dopo l’attacco alle Torri Gemelle e documentammo lo sport che si era fermato dinanzi all’immane tragedia. Restai per la maratona e tornai proprio per i Giochi, qualche mese dopo. Furono i più blindati della storia.

Lo sport per raccontare la società. Un concetto che rifà capolino.

Sono fatto così. Mi interessavano storie che mi regalassero spunti alternativi. Spesso mi dicevano: ‘Ma come, lasci Totti, Del Piero e Maldini e te ne vai in Burkina Faso e in Angola?’. La mia risposta era sempre affermativa. Scappavo per lavorare a letture alternative del presente. Ho girato il mondo in lungo e in largo, visitando i posti più sperduti e di questo sono grato alla Rai.

L’ultimo suo Mondiale fu quello in Sudafrica.

Diventai caporedattore e mi fermai. Chiesi di poter condurre una trasmissione e creai ‘5 minuti di recupero’, in onda la domenica sera su Rai 1 dopo il tg delle 20. Tutti i personaggi di spicco dello sport accettarono di farsi intervistare.

Nel 2006 raccontò il trionfo azzurro in Germania. La vigilia, però, fu assai tormentata.

Era esploso lo scandalo di Calciopoli e la stessa Rai affrontò il problema interno di Ignazio Scardina, collega rimpianto che uscì dalla vicenda con una assoluzione in formula piena. Purtroppo quella bufera lo fece ammalare. La sua fine è stata simile a quella del povero Enzo Tortora.

Riscontraste difficoltà?

Al netto di questo problema, ci muovemmo bene. Jacopo Volpi era il nostro team leader e lavorò in maniera indefessa. Per la prima volta avemmo la concorrenza di Sky, ma anche se avessimo avuto contro mille piattaforme satellitari nessuno ci avrebbe eguagliato. La Rai fece la Rai.

Quando comprese che avremmo potuto vincere il torneo?

Capii di aver vinto solo quando vidi Cannavaro alzare la coppa. In allenamento notavamo un gruppo compatto, con giocatori che si ammazzavano pur di andare in campo ed un condottiero, Lippi, che li difese fino alla morte. Ecco, forse da questi dettagli si sarebbe potuto comprendere qualcosa. Ma il calcio è strano.

Durante l’intervallo di Italia-Francia si fece fotografare con la coppa. Alla faccia della scaramanzia.

Se avessimo perso, ci avrebbero accusato di portare sfiga (ride, ndr). In quegli anni ancora fumavo e in campo è severamente vietato accendersi una sigaretta. Quindi mi nascosi nel tunnel col mio operatore Sergio Calabrese. Mentre facevo qualche tiro, passarono delle hostess con la coppa e mi scattai una foto. Subito dopo mi resi conto della situazione e dissi a Sergio: ‘Per adesso questo scatto rimane segreto, poi se vinciamo…’.

Carlo Paris con la Coppa del Mondo del 2006.
Carlo Paris con la Coppa del Mondo del 2006.

Era a bordocampo quando Zidane colpì Materazzi. Vide la testata in tempo reale.

Ai Mondiali il bordocampista non è accanto alle panchine, bensì dietro la porta. Un tempo lo fai da una parte, un altro tempo nella parte opposta. L’episodio si svolse quasi a centrocampo ed ebbi modo di vedere Materazzi cadere a terra e tutta la panchina dell’Italia alzarsi ed esplodere.

Nel post-partita intervistò Lippi e confidò al ct di essersi preparato scaramanticamente solo domande in caso di sconfitta.

Andai a braccio e lo confessai a Marcello, che si mise a ridere in diretta. Le domande più difficili sono quelle che devi porre dopo una sconfitta e mi preparai solo a quella eventualità. Qualunque cosa tu dica si trasforma in un dramma. Il grande Giorgio Tosatti ci spiegò che quando ci si trova davanti ad un atleta che ha appena concluso una gara importante, quest’ultimo è carico di adrenalina. Pertanto, bisogna evitare di partire immediatamente con la critica. Ci disse testualmente: ‘Il microfono porgetelo come se fosse una tazzina di caffè, fate una prima domanda che lo rassereni’. Aveva ragione. L’inviato non deve essere un nemico.

Abbiamo parlato della gioia più grande. Sul fronte delle cocenti delusioni quale mette in cima al podio?

Cocente delusione o anche grande incazzatura. In tal senso, senza dubbio ci metto la Corea e il disastro dell’arbitro Moreno. Pensa, la mattina dopo lo incrociammo all’aeroporto. Passò scortato davanti a noi e partirono urla che non puoi nemmeno immaginare. Il più arrabbiato era il compianto Alberto D’Aguanno. Lo ricordo con le lacrime agli occhi, era una persona davvero perbene.

Euro 2000, con il titolo sfumato in pieno recupero, non fu da meno.

Quella partita noi della Rai la vivemmo in un modo particolare.

Si riferisce ai fatti di Rotterdam e alla squadra Rai aggredita allo stadio.

Dovevo collegarmi col Tg3 prima del match e vedemmo delle persone in carrozzina che venivano portate come sacchi sulle spalle perché non c’era l’ascensore nell’impianto. Mi sembrò una scena ignobile e chiesi all’operatore di riprendere. Quando se ne accorsero, provarono ad impedire che il tutto potesse andare in onda e nacque una discussione. A Mario Mattioli girarono il braccio e gli uscì dalla clavicola. Si sentì un urlo pazzesco. Ignazio Scardina, invece, venne picchiato e finì dentro al carcere dello stadio. Motivo per cui quella finale fu vissuta con molta tensione, e non per quello che successe in campo.

Nel 2002 la Rai comprò tutte le partite del Mondiale e l’Italia uscì agli ottavi, nel 2006 ne trasmise 25 su 64 complessive e gli azzurri vinsero, mentre nel 2022 Viale Mazzini si ritrovò a proporre per intero un evento senza la presenza della nostra Nazionale. Uscire illesi dalle trattative per i diritti tv è impresa ardua.

È logico che quando compri i diritti per un evento quattro o due anni prima rischi grosso. È un acquisto a scatola chiusa. Tuttavia, stiamo parlando di Mondiali di calcio e a mio avviso devi aggiudicarteli per forza. Sono convinto che tutto ciò che sia Nazionale e Italia debba essere trasmesso dal servizio pubblico. Pure se c’è il rischio di non qualificarti, devi a prescindere coprire determinate manifestazioni.

In Qatar accadde e la Rai fu bombardata di critiche.

Il modello da seguire è quello della Bbc. Da direttore fui tentato dal mollare tutto, garantendo però allo spettatore qualunque cosa fosse colorata di azzurro, dal calcio al tennis tavolo. Tutto quello che è ‘nazionale’ devi poterlo vedere in Rai, anche a costo di perdere la Formula 1, che poi ci sfilarono ugualmente.

Bisogna riconoscere che i diritti sono sempre più onerosi e che la Rai deve fare i conti con una concorrenza agguerritissima.

Ci può stare che l’acquisto di un evento sia parziale, se questo ti consente di risparmiare. Ma la storia parla chiaro: tutte le volte che abbiamo avuto la concorrenza di Sky o Discovery non abbiamo mai sofferto. Anzi, abbiamo fatto noi soffrire gli altri. Comunque non è solamente il direttore di Rai Sport a decidere se e cosa acquisire. Magari può fornire una indicazione o preferenza, ma è l’azienda che deve metterci i soldi.

La Rai non ha più la Champions, la Coppa Italia e la Formula 1 e non copre i più prestigiosi tornei di tennis. Non un eccellente biglietto da visita.

Purtroppo il servizio pubblico è in totale sofferenza, la situazione non è per niente buona. Come dicevo, non ha più la Formula 1, ma non è uno di quegli sport per il quale mi sarei strappato i capelli. Sarebbe facile, per via di Sinner, affermare ora che il più grosso rimpianto è legato al tennis. In realtà, il maggiore rammarico riguarda la domenica calcistica.

In che senso?

Ti puoi inventare quello che vuoi, non puoi però cancellare ‘Novantesimo Minuto’. Sì, ‘La Domenica Sportiva’ sta andando bene, ma si sta concependo il palinsesto come se ancora tutta la Serie A si sviluppasse alla domenica pomeriggio. Occorrerebbe attuare una rivoluzione copernicana.

Di che tipo?

’La Domenica Sportiva’ non dovrebbe partire alle 22.45, bensì alle 21. Si potrebbero mandare subito tutti i gol delle partite disputate e alle 22.40 lanciare gli highlights del posticipo. Poi si potrebbe dare il via ai commenti. La televisione è sempre più vista da persone di una certa età che non possono aspettare la mezzanotte per godersi i gol della Lazio o del Napoli. La Rai, inoltre, ha un altro problema atavico, assai pesante.

A cosa si riferisce?

Ai canali Rai Sport, che ridussi ad uno, introducendo l’Hd. A questo ci aggiungo l’immenso sforzo per portare gli studi di continuità, ovvero la possibilità di andare in diretta in qualsiasi istante. Un’opzione che costa l’ira di Dio. Provai a inserirci le conferenze stampa delle varie società, tutte cose che i club ti forniscono gratuitamente e che le radio private sfruttano abilmente. Pensai che potesse essere una strategia per salvare il canale che, ad oggi, è ancora troppo poco seguito.

Venne nominato direttore di Rai Sport nel settembre 2014. Restò in sella per un anno e mezzo, non senza patemi.

Ebbi a che fare con una conflittualità interna che ha penalizzato l’intera azienda. Soprattutto noi che ci occupiamo di sport dovremmo essere bravi a fare squadra. Così non è e l'ho verificato da direttore. Le guerre intestine sono nocive.

Mi pare di capire che non fu una bella esperienza.

Più che altro fu un’opportunità persa per realizzare qualcosa che unisse tutti. In fondo arrivavo dalla base, ero uno di loro. Ho subìto lotte trasversali spesso legate a questioni personali. Nulla di nuovo, sono problemi che hanno dovuto affrontare anche altri direttori. Ma fammi evidenziare un aspetto.

Prego.

Fui nominato senza alcun sostegno politico. A scegliermi fu il dg Luigi Gubitosi che a sua volta era stato messo lì dal governo tecnico di Mario Monti. Sono sempre stato slegato dai partiti.

Le resistenze più feroci le riscontrò quando si trattò di assumere figure esterne alla Rai.

Ricordi bene. Mi presero di mira persino quando avviai i contatti con la scuola Holden di Torino. Inaugurai una collaborazione con Alessandro Baricco e questa mia iniziativa venne letta come una marchetta verso di lui. Non solo: avevo praticamente chiuso l’accordo con Federico Buffa, che avrebbe dovuto commentare gli Europei di Calcio e le Olimpiadi del 2016. Ma pochi mesi prima fui rimosso e annullarono tutto.

A sorpresa la spedirono a Gerusalemme a fare il corrispondente. Una soluzione voluta o accettata mal volentieri?

Assolutamente voluta. Avevo tre possibilità: Londra, New York e Gerusalemme. Mi fecero scegliere e siccome avevo mia madre che non stava bene rifiutai l’America perché troppo lontana. Rimase il dubbio tra Londra e Gerusalemme e optai per quest’ultima destinazione. Sono sempre stato attratto da quei luoghi e quella gente. Fui felicissimo.

Carlo Paris corrispondente per Gerusalemme nel 2017.
Carlo Paris corrispondente per Gerusalemme nel 2017.

Nell’estate del 2017, nel corso di alcune dirette sugli scontri nella Spianata delle Moschee, rimase ferito.

Fui colpito da una granata assordante lanciata dalla polizia. Nonostante questo, la ritengo un’esperienza indimenticabile. Ci sono rimasto quattro anni, facendo toccata e fuga con l’Italia. A livello numerico è la sede Rai nel mondo più nutrita, in quanto la difficoltà di racconto è assai elevata. Nel mio piccolo, ho provato a raccontare ciò che vedevo, che fosse bianco o nero, dalla parte israeliana o palestinese.

Torniamo al calcio. Raccontare una partita a pochi metri dagli allenatori può essere difficoltoso, soprattutto se ascoltano ciò che si riferisce in cronaca.

Spesso ascoltavano, ma la tecnica migliore era quella di creare dei rapporti con massaggiatori, dirigenti, accompagnatori seduti in panchina. Molte volte mi passavano accanto dandomi informazioni utili. In Corea mi comunicarono che la boccetta che Trapattoni teneva tra le mani conteneva acqua santa e lo rivelai in diretta. Ovviamente devi possedere il garbo di non riportare proprio tutto.

C’è un tecnico con cui ha coltivato un rapporto di amicizia?

Il rapporto più confidenziale l’ho instaurato con Fabio Capello, persona di grandissimo spessore. Quando era commentatore della Nazionale passammo intere giornate all’estero tra gallerie d’arte, negozi e ristoranti. Molti lo definiscono un antipatico. Ma esiste un allenatore che sia contemporaneamente simpatico e vincente? Forse Ancelotti. Stop.

Lo stesso Capello le regalò uno scoop.

Partecipò a ‘5 minuti di recupero’ e dichiarò che John Terry rimaneva il capitano della sua Inghilterra, nonostante lo scandalo che lo aveva colpito. Sapeva che quell’uscita avrebbe creato uno strappo con la Federazione inglese e infatti dopo due giorni rassegnò le dimissioni. Quel frammento di trasmissione venne ripreso da tutti i media del Regno Unito. Venni bombardato di telefonate.

In quanto a screzi, invece, ha un elenco nutrito?

Lippi nel 2009 a Parma si incazzò con i tifosi che inneggiavano a Cassano e un’altra volta in Svizzera lasciò la postazione delle interviste a fine gara. Tutto normale. Poi ci sono i colleghi che provocano volontariamente gli allenatori, perché sanno che se vengono mandati a quel paese ricevono pubblicità.

Da direttore di testata non le mandò a dire a Carlo Tavecchio.

Successe dopo l’uscita su Optì Pobà. Feci un video dove condannai le parole del capo della Figc e se la prese. Ci incontrammo anni dopo e riconobbe che ero stato l’unico direttore della Rai ad aver realizzato un editoriale contro il presidente della Federcalcio. Ci abbracciammo e ci chiarimmo. Devo dire che fu un galantuomo.

Da appassionato di calcio immagino che avrà avuto una squadra del cuore.

Sono nato interista e lo sono stato fino al midollo. Però in tutta la mia carriera non è mai uscita dalla mia bocca una mezza parola a sostegno dei nerazzurri. Paradossalmente, gli interisti mi criticavano perché secondo loro non li tutelavo. Se vuoi svolgere questo lavoro seriamente, devi mettere lo spettatore in primo piano. Non puoi fare il partigiano. Ahimé questa pratica è frequentissima, soprattutto nel giornalismo politico, esageratamente schierato. Così tanto da non essere più credibile.

Nel 2021 è scattato il pensionamento.

Il 23 gennaio, giorno del mio 67esimo compleanno. Per raggiunti limiti d’età.

È nostalgico?

A differenza di tanti colleghi, dopo anni ed anni di lavoro non ho la smania di andare in video. Non capisco certe esigenze. Se da giovane avessi pensato di poter fare anche solo un quarto di quello che ho costruito sarei stato contentissimo. Perché dovrei continuare a metterci la faccia? Una cosa che amo fare è andare a parlare nelle scuole e nelle università di sport e giornalismo.

È uno dei pochi a non temere lo spegnimento dei riflettori.

Non ho questa ossessione, sono piuttosto un pigro. Viaggio molto meno, ma il mondo me lo sono visto tutto. Va bene così. Ci sono tante cose da fare, come tenersi in forma. Vado in palestra, faccio uscite in bicicletta e camminate, oltre a del sano cazzeggio.

Domanda obbligatoria: l’hanno mai contattata per qualche talent o reality?

No, no, ‘Isola’ e ‘Grande Fratello’ sono robe che non mi riguardano, mentre nel caso di ‘Ballando con le stelle’ faccio notare che un orso marsicano si muove meglio di me. C’è chi è portato per questi show, io no. Gianfranco De Laurentiis ci diede tanto tempo fa un consiglio prezioso: ‘Non innamoratevi di voi stessi e di quella lucetta rossa’. Parole sante. Molte persone mi ricordano la protagonista di ‘Viale del tramonto’. Se arrivi fino a quel punto è un brutto segnale. Vuol dire che hai svolto questo mestiere solo per la visibilità.

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