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Toni Servillo: “Il pubblico non ha tempo per riflettere, salviamoci da un abisso di ignoranza”

Toni Servillo racconta in un’intervista a Fanpage.it il ruolo di Luigi Pirandello in “La Stranezza”, film in cui recita al fianco di Ficarra e Picone dando vita a un trio inedito. Un’occasione per riflettere del ruolo dell’attore e del pubblico che “sta scivolando verso una rapida indifferenza”. La salvezza, lui spera, risiede nel teatro: “Sarà sempre un’occasione per risalire dall’abisso”.
A cura di Andrea Parrella
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Il cinema, Pirandello, il teatro, il ruolo dell'attore nel tempo che stiamo vivendo. Tutto si amalgama in unico flusso quando a parlare è Toni Servillo, impegnato nel lancio del film "La Stranezza", nuova fatica di Roberto Andò (in sala dal 27 ottobre) in cui l'attore casertano interpreta proprio Pirandello nei mesi in cui avviene, nella sua mente, la genesi di Sei personaggi in cerca d'autore. Un'opera di rottura che rappresenta uno spartiacque nella storia del teatro, un trauma che il film di Andò ben rappresenta. In questa intervista a Fanpage.it Servillo si presta al racconto di quest'opera, la cui "stranezza" è già nel cast, l'inedito trio che Servillo forma con Ficarra e Picone.

Come spiegherebbe, a chi non lo sa, cosa sia esattamente la stranezza cui allude il titolo del film?

La Stranezza è esattamente il modo in cui Pirandello chiamava i sei personaggi in cerca d'autore prima che trovassero una forma definitiva. Aveva in mente questa stranezza di cui riconosceva l'audacia dal punto di vista del linguaggio. Come sappiamo Pirandello era ossessionato da questo confronto continuo che sentiva tra persona e personaggio. Una delle sue invenzioni maggiori di cui gli siamo debitori, che hanno aperto una riflessione alla modernità è quella che gli uomini, per ingannare se stessi, abbiano bisogno di costruirsi continuamente un'altra realtà, alternativa a quella assegnata dal destino, per sopportare la vita o recitare sul palcoscenico della vita. Covando questa idea la chiamava stranezza, come capita spesso quando non si riesce a definire un pensiero, un'idea: è strano.

Servillo, Ficarra e Picone, riconoscerà che per qualcuno si tratta di un'associazione quantomeno anomala.

Un cast apparentemente strano, è vero, ma fondamentale per la riuscita del film. So che ci sono precedenti ben più illustri del nostro in cui sono stati mescolati attori di appartenenza comica e drammatica e anche questo è un elemento di stranezza dell'opera. Ho l'impressione che sia un risultato in grado di sorprendere lo spettatore e di affascinarlo, mi auguro.

L'impressione è che i personaggi di Ficarra e Picone (Onofrio e Sebastiano) cerchino, attraverso il dramma che intendono portare in scena, una legittimazione rispetto alla loro vocazione alla risata. Un parallelismo con la loro realtà è lecito?

È una lettura possibile. Sicuramente il film autorizza a pensare che i due personaggi di Sebastiano e Onofrio siano anch'essi convocati nella mente di Pirandello per andare a finire in una novella, in un testo teatrale. Sono due personaggi molto divertenti, ma anche loro con la necessità di essere sistemati. Però non alludo a loro come attori, lo ritengo un argomento vecchio e stantio. Sono Ficarra e Picone ad avermi suggerito una risposta intelligente e divertente allo stesso tempo, che loro utilizzano citando un loro comico, Pino Caruso, il quale distingueva gli attori in due generi: incisivi e canini. Ecco, Ficarra e Picone sono certamente due attori molto incisivi e basta.

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"La stranezza" racconta di quel compromesso necessario che deve innescarsi tra lo spettatore e chi recita sul palco. Un compromesso che fallisce, vista le proteste feroci del pubblico alla prima di Sei personaggi in cerca d'autore. È un cosa che oggi potrebbe accadere secondo lei?

È corretto. Nel caso dei Sei personaggi assistiamo a una rottura che non è così frequente, quando il linguaggio si spinge in zone così audaci nella sua maniera di essere articolato, il pubblico reagisce sempre con emozione e non accetta. Questo è anche uno degli aspetti affascinanti perché dà dimensione della vitalità di una civiltà. Oggi credo che per effetto di una semplificazione della massa di informazioni che riceviamo sugli avvenimenti culturali, il pubblico mostri spesso un interesse che, ahimè, temo declini verso una rapida indifferenza. Tutto finisce per essere uguale a tutto, niente sorprende così tanto come queste avventure che noi raccontiamo hanno sorpreso.

Le proteste del pubblico alla prima di Sei personaggi in cerca d'autore (dal film "La Stranezza")
Le proteste del pubblico alla prima di Sei personaggi in cerca d'autore (dal film "La Stranezza")

Ci sintetizza il senso di questa rottura provocata da Pirandello sul teatro?

Nel film va in scena un colloquio con Verga, che ha appena compiuto 80 anni e che in maniera paternalistica lo avverte rispetto a quanto stia facendo, gli dice di essersi messo su una strada la cui meta è di difficile individuazione ed è diversa da quella che i suoi predecessori hanno creato. "Per tutta la vita abbiamo lavorato per costruire una realtà e tu sotto ci stai mettendo una bomba". Credo che renda bene la portata.

Qual è l'ultima rottura simile che ricorda nel mondo del teatro?

Credo l'abbia applicata Carmelo Bene. Dopo di lui forse dovremo aspettare molto tempo per trovare un artista che vada così contro senso. Il caso dei Sei personaggi è un caso in cui Pirandello, anziché assecondare il flusso, andava esattamente in senso contrario, lasciando sgomenti tutti.

Andreotti, Berlusconi, Papa Paolo VI, adesso Pirandello. Sono molti i personaggi realmente esistiti che ha interpretato, eppure ho letto che rifugge l'imitazione. 

No, vorrei precisare, non è che io rifugga l'imitazione: non la so fare. È uno dei miei tanti limiti e anzi ho molta ammirazione per chi ha tra i ferri del mestiere una straordinaria capacità imitativa. Leggo di questa somiglianza con Pirandello, che però è ottenuta con grande semplicità, il pizzetto ha fatto quasi tutto, avendo pochi capelli il gioco è stato facilissimo. Nel caso di Pirandello abbiamo anche pochissimi reperti, quindi ciò che mi interessava in questo film non era imitare lui, ma raccontare attraverso Pirandello la straordinaria avventura di una creazione in nuce. Raccontare questo personaggio con la felicità che prova nel ritornare a bagnarsi dopo tanti anni nella terra natia, narrando allo stesso tempo l'inquietudine di questa stranezza che ha nella testa.

Dunque non c'è alcun pregiudizio verso l'imitazione come chiave interpretativa.

Assolutamente no, è una tra le tante possibilità che un attore ha di esprimersi, come saper ballare o cantare. Io so cantare, ma conosco anche tanti attori straordinari che erano stonati, ma ripeto, non ho niente contro l'imitazione quando necessaria, la considero una tecnica che può arricchire l'espressione di un attore. Mi interessa sempre di un personaggio centrare la cifra simbolica. È quello che ho provato a fare con Andreotti per Sorrentino e con il Papa per Bellocchio, mettere al servizio di un'impalcatura drammaturgica importante che racconta un periodo storico, un personaggio che abbia soprattutto una forte valenza di tipo simbolico.

Servillo ne "Il Divo" (2008)
Servillo ne "Il Divo" (2008)

Il film è ambientato nel 1920, due anni prima della marcia su Roma. E un elemento di contesto non citato esplicitamente nel film, ma lei crede che la situazione politica abbia contribuito a determinare l'isolamento in cui Pirandello piomba dal punto di vista intellettuale?

Io credo il film si concentri soprattutto sull'avventura creativa, anche perché Pirandello non subiva un isolamento da parte della politica culturale del Paese. Era un uomo molto ambizioso e consapevole delle sue capacità, sapeva che prima o poi sarebbero state riconosciute ma aveva chiaro nella sua testa che con difficoltà sarebbero state riconosciute dai suoi contemporanei. Tra l'altro inizialmente Pirandello aderisce al fascismo per poi allontanarsene come a molti intellettuali accadde, ma non vedo in questo film l'ambizione di approfondire questo aspetto.

In una scena il personaggio di Onofrio dice a Sebastiano riferendosi a Pirandello: "Quello è un genio, tu sei una cosa inutile". Pura riverenza. Percepisce che nell'ambito culturale ci sia questo sentimento nei suoi confronti?

Nei miei confronti? No, o per lo meno non ci penso. Posso dire che la mia ultima avventura teatrale, che è stata "Elvira", è dedicata alla figura di Louis Jouvet, un autore che ha speso la sua intera esistenza a nobilitare il mestiere dell'attore, a fare in modo che il pubblico si riferisse all'attore non solo come a un saltimbanco, ma come un poeta, uno che con la sua personalità, il suo modo di leggere i testi e recitare, testimonia un'idea dello stare al mondo. Ecco, se questo si trasferisce ai giovani, che vogliono intraprendere questo mestiere, per me ha un grande valore.

Servillo nei panni di Pirandello in "La Stranezza"
Servillo nei panni di Pirandello in "La Stranezza"

Trova che il mestiere di attore sia oggi svilito?

Questo è un mestiere che per tanti aspetti, oggi, sembra molto facile, alla portata di tutti, in grado di promettere una vita molto agiata, che basta essere semplici per ottenere un effetto efficace dal punto di vista espressivo, naturali, più veri del vero. Niente di più falso. Torno a quanto stavo dicendo aggiungendo che se il mio lavoro contribuisce, anche in piccolissima parte, a restituire a questo mestiere la sua nobiltà, a toglierlo da questa condizione un po' prostituita di cui si sono appropriati soprattutto i messi di larga diffusione, questo mi fa piacere.

Oggi c'è un enorme contrasto tra vecchie e nuove modalità di fruizione, un po' come accadde nel contrasto tra cinema e teatro. È un problema che si pone da attore?

Stiamo vivendo al centro di una trasformazione dello stare al mondo gigantesca, per ragioni molto più importanti del cinema, delle serie Tv e del teatro, penso alla salute e le guerre. Sicuramente la moltiplicazione delle informazioni, delle immagini, dei messaggi, la velocità, sottraggono al pubblico quel tempo di critica riflessiva che è necessario per godere di un'opera d'arte. Io mi auguro che una volta arrivati sul limite, con la consapevolezza che oltre c'è solo un abisso di ignoranza nel quale sprofondare, allora possa esserci una risalita. Le generazioni nuova stanno scoprendo un modo completamente diverso di fruire dell'arte che noi più grandi forse fatichiamo a comprendere. Dico questo perché forse il teatro, nel suo essere così legato all'uomo che piange, che respira, che ama e soffre, sarà sempre una delle occasioni per risalire da quell'abisso e ritrovarsi. È una mia speranza, abbiamo bisogno, ognuno facendo la sua parte, di lavorare perché certe conquiste di civiltà non vadano definitivamente perdute.

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