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Salvate dal No al referendum, le Province ora tornano a battere cassa

Il presidente dell’Unione province italiane lancia l’allarme post-referendario e si appella a Mattarella: “Le Province, che in seguito al risultato del referendum sono state confermate tra le istituzioni costitutive della Repubblica, a causa degli tagli insopportabili a cui sono state sottoposte sono nell’impossibilità di predisporre i bilanci per il 2017 e ciò avrà ripercussioni pesantissime sui servizi ai cittadini la cui erogazione non potrebbe più essere garantita”.
A cura di Charlotte Matteini
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palazzo della provincia

Con la vittoria del No al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre, non solo l'Italia va verso la creazione di un governo di scopo conseguente alle dimissioni rassegnate dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, ma vede anche il ritorno sulla scena politico-amministrativa delle Province. Il testo di riforma costituzionale a firma Boschi, infatti, conteneva una modifica agli articoli 114 e 118 della Carta Costituzionale che avrebbero sancito la definitiva abolizione delle 110 province italiane, lasciando quindi in vita come organi amministrativi decentrati i Comuni, le Regioni e le 14 Città Metropolitane, eliminando quindi i consigli provinciali, i relativi eletti, le giunte e, soprattutto, gettoni di presenza e prebende connessi. Con la vittoria del No, però, tutto questo di fatto rimane in vita e a causa dei tagli finanziari operati nel corso degli ultimi anni soprattutto dalla legge Delrio del 2014, che ha dirottato gran parte dell'organico provinciale verso altre strutture amministrative dello Stato e tagliato gran parte dei fondi a disposizione delle Province, attualmente gli organi provinciali lamentano di essere sull'orlo del dissesto finanziario.

"Se fosse passato il Sì sarebbero state abolite le Province, ma sarebbero stati istituiti poi gli enti di area vasta e cos'altro siamo noi se non enti di area vasta", spiega il presidente dell'Unione province italiane Achille Variati aggiungendo che "con i tagli decisi dal governo nel 2015 le Province ormai stanno andando tutte in dissesto finanziario. Anche perché mantengono alcune funzioni fondamentali: gestiscono 100mila chilometri di strade provinciali, 5mila scuole e fanno assistenza ai Comuni". Dunque, se nelle intenzioni i tagli alle Province sono stati operati nell'ottica di una loro scomparsa, ora che questa abolizione è definitivamente saltata bisognerebbe rimettere mano al bilancio degli enti decentrati per dar loro la possibilità di occuparsi dei compiti di gestione in capo all'organo come, appunto, la gestione della rete stradale. "Noi non siamo le Province di ieri, elette dai cittadini con le competenze e i costi che avevano. Da quando noi sindaci siamo entrati nelle Province post riforma Delrio abbiamo fatto il lavoro che ci era stato indicato: farne una casa dei Comuni, efficientare la spesa e ridurre il personale", prosegue Variati. Rispetto al 2013, rileva l'Unione province italiane, il saldo di bilancio di questi enti è passato da 7,5 miliardi di euro di spesa corrente ai 4,8 miliardi di euro del 2016.

"Al Senato la legge di bilancio è stata chiusa e senza un decreto legge che affronti la nostra delicata situazione finanziaria da gennaio tutti gli enti andranno in dissesto e i servizi sui territori non potranno essere garantiti", prosegue Variati appellandosi al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il governo uscente, dopo un lungo confronto avuto nei mesi scorsi, aveva riconosciuto la gravità di questa situazione, tanto che aveva previsto di inserire interventi correttivi in grado di assicurare il finanziamento delle funzioni fondamentali dell'ente, nel passaggio in Senato della legge di Bilancio 2017, ma con l'apposizione della fiducia però tale possibilità è venuta a mancare e sono rimasti irrisolti tutti i nodi riguardanti gli Enti locali, Province e città metropolitane in particolare".

Insomma, svuotate di fondi e dipendenti, le Province italiane però hanno resistito alla bufera referendaria che aveva lo scopo di eliminarle per sempre, ma ora si trovano formalmente di nuovo sulla scena politica, ma completamente depauperate di risorse vitali e, dunque, con il problema, nel breve periodo, di non riuscire più ad assicurare i servizi essenziali che dovrebbero invece garantire ai cittadini e di dover in qualche modo reperire questi fondi.

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