Ucciso in cella, condannato lo Stato: 1,3 milioni alla famiglia del detenuto massacrato nel carcere di Viterbo

Il Ministero della Giustizia dovrà risarcire con circa 1,3 milioni di euro la famiglia di Giovanni Delfino, il detenuto di 61 anni ucciso nel marzo 2019 nel carcere di Mammagialla, a Viterbo. Lo ha stabilito il Tribunale civile di Roma con una sentenza depositata il 20 dicembre 2025, dichiarata immediatamente esecutiva, che individua nella gestione penitenziaria una condotta di "negligente trascuratezza" tale da fondare la responsabilità patrimoniale dello Stato.
L'omicidio in cella
Delfino venne assassinato all’interno della sua cella dal compagno di detenzione Khajan Singh, allora 35enne. L’uomo lo colpì ripetutamente alla testa con uno sgabello, causandone la morte. Per quell’omicidio Singh è stato condannato in via definitiva a 12 anni di reclusione, dopo che la Corte d’Appello di Roma ha ridotto la pena riconoscendo una condizione di seminfermità mentale.
Nel processo penale era emerso che l’aggressore soffriva di una psicosi a sfondo sessuale, un disturbo grave che poneva seri interrogativi sulla compatibilità della sua collocazione in una cella condivisa.
Il giudizio civile: "Violata la funzione di tutela"
Accanto al procedimento penale, i familiari di Delfino — assistiti dagli avvocati Carmelo Antonio Pirrone e Paride Sforza — hanno intrapreso un’azione civile contro il Ministero della Giustizia. I giudici hanno accolto la richiesta, riconoscendo ai parenti sia il danno morale sia il cosiddetto danno catastrofale, legato alla sofferenza psicologica vissuta dalla vittima nei momenti precedenti alla morte.
Secondo il tribunale, l’amministrazione penitenziaria non ha garantito le condizioni minime di sicurezza e vigilanza, venendo meno alla propria funzione di tutela delle persone private della libertà.
Una sentenza sulla gestione del carcere Mammagialla
La decisione mette nero su bianco un giudizio severo sulla gestione del carcere di Mammagialla: lo Stato, scrivono i giudici, non è stato in grado di proteggere né il detenuto ucciso né il suo aggressore, entrambi esposti alle conseguenze di una collocazione detentiva inadeguata.
Con questa sentenza si chiude il capitolo civile della vicenda e si afferma un principio chiaro: quando il sistema carcerario fallisce nel garantire sicurezza e cura, la responsabilità ricade sull’amministrazione pubblica.