L’antico Caffè Greco è a rischio sfratto: i proprietari portano via gli arredi e vengono denunciati

Lo frequentarono Gattuso, Fellini e Sophia Loren, ma anche Silvio Pellico e Papa Leone XIII. Ci passarono Baudelaire, Canova, Leopardi, D'Annunzio, De Chirico, Goethe, Nietzsche, Ungaretti e Pasolini. Ora però, dopo più di 260 anni di storia, l'antico Caffé Greco di via Condotti a Roma rischia di chiudere: sulla struttura, infatti, pende uno sfratto esecutivo confermato dalla Corte di Cassazione e rimandato fino a lunedì prossimo, 1° settembre. Nel frattempo il bar, come riferisce il quotidiano la Repubblica, ha chiuso per ferie e i preziosi arredi (dipinti, sculture, opere d'arte e mobili d'epoca) al suo interno sono spariti: i gestori del locale li hanno spostati in due rimesse ma sono stati denunciati dai Carabinieri. Il locale e gli oggetti al suo interno, infatti, sono protetti da un vincolo che ne vieta lo spostamento.
Il contenzioso tra i gestori del locale e l'ospedale israelitico, proprietario delle mura, va avanti ormai da diversi anni, da quando nel 2017 il contratto d'affitto è scaduto e l'ospedale ha rivendicato l'immobile. Il tribunale di Roma aveva sancito lo sfratto, poi confermato fino alla Cassazione e fissato per il 20 febbraio, ma lo sgombero era stato posticipato dall'Avvocatura di Stato prima al 29 luglio e poi al 1° settembre in virtù del valore storico del locale e nella speranza di trovare una soluzione. La mediazione, però, non è stata raggiunta e il locale rischia di chiudere per sempre: "Lunedì prossimo – dice Carlo Pellegrini, avvocato e marito di Flavia Iozzi, titolare dell’attività commerciale – ce ne dovremo andare, almeno in via temporanea e cautelare".
Il Caffè Greco è tutelato da due vincoli, uno disposto nel 1953 dal presidente Antonio Segni e uno del 2024: "il decreto legislativo 219 – dice l'avvocato Pellegrini – sancisce che l’immobile e gli arredi costituiscono un’unica entità". Come sancito dalla sentenza della Cassazione, il vincolo "non comporta l’obbligo di esercizio o di prosecuzione dell’attività, ma vale, piuttosto, a precludere ogni uso incompatibile con la conservazione materiale della cosa".
Proprio per questo motivo, il 4 agosto il locale è stato ispezionato dalla Soprintendenza di Stato e dai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale di Roma perché i proprietari avevano rimosso gli arredi e li avevano spostati in due box, uno in zona Prati e l'altro nel centro storico. Ha spiegato l'avvocato: "Ultimamente abbiamo avuto dei problemi di surriscaldamento dell’impianto elettrico, che sono stati certificati dai tecnici. Abbiamo inviato la relazione alla Soprintendenza e poi abbiamo spostato gli arredi per precauzione". In ogni caso, insiste il marito della titolare della licenza, "sono tutti beni di nostra proprietà, se l’ospedale Israelitico vorrà acquistarli, vedremo se noi saremo disposti a venderli".