La versione dell’assistente aggredita dal prof Sica a Tor Vergata: “Adesso sono spaventata”

Marzia Franceschilli, 37 anni, chirurgo in attività presso la UOSD Chirurgia Mininvasiva dell’Apparato Digerente del Policlinico di Tor Vergata, Roma. Giuseppe Sica, professore associato a Tor Vergata, è il suo capo e il suo maestro. Vanta esperienze di formazione ad Harvard e a Oxford e ha effettuato oltre 5mila interventi chirurgici, dai più complessi interventi di chirurgia oncologica e funzionale addominale, ai piccoli interventi quali ernie addominali e proctologia, chirurgia della tiroide e obesità patologica. Nel corso di un'operazione complessa e delicata in sala operatoria il professore ha perso la pazienza e ha insultato pesantemente Franceschilli. E questo è dimostrato in un video realizzato in quegli istanti. Ma secondo la vittima e altri testimoni, Sica le avrebbe anche dato un pugno sulla nuca.
"Negare l’evidenza, senza scuse autentiche, è ciò che mi ha fatto più male", dice Franceschilli al Corriere della Sera. "Con il professor Sica ho avuto, da allora, un unico contatto. Mi ha chiesto di non rendere pubblica la vicenda, e così ho scelto finora il silenzio. Tuttavia, dopo la sua nota ufficiale, ho ritenuto doveroso fare chiarezza. Trovo scorretto che sia stata raccontata una versione dei fatti non rispondente alla realtà".
Il chirurgo le avrebbe mandato un unico messaggio, due giorni dopo l'accaduto: "Ho saputo che ti saresti fatta refertare per un’aggressione che ti avrei fatto". "Non si è trattato di un semplice diverbio o di un alterco. Ciò che ho subito è stata un’aggressione fisica sul posto di lavoro, confermata anche dai testimoni nell’audit dell’azienda: tutti in sala avrebbero visto che mi è stato sferrato un colpo alla nuca mentre ero al tavolo operatorio", la verità della dottoressa Franceschilli.
Riconosce che Sica è stato un punto di riferimento per lei, un maestro. "È esigente, molto duro, ma mi ha anche dato l’opportunità di crescere, spingendomi sempre a dare il massimo".
Franceschilli spiega ancora come si è svolta l'operazione quel giorno: "Durante un intervento robotico, chi opera è alla consolle: manovra braccia e telecamere guardando un monitor. Il ruolo dell’assistente, il mio, è quello di gestire l’esterno del robot, verificando che non ci siano conflitti. In quel caso, si trattava della pinza 4, che era posizionata correttamente, anche se lui non riusciva a visualizzarla. L’intervento era tecnicamente molto complesso. Purtroppo però lui ha abbandonato la consolle, si è avvicinato e mi ha colpita. In una scena durata diversi minuti".
L'operazione è stata portata a termine con successo, pur essendo uno dei casi "più complessi mai affrontati". Ma, aggiunge la dottoressa, "anche di fronte a emergenze è l’autocontrollo che salva il paziente. Urlare o aggredire non è giustificabile". "Io, in queste settimane, ho ricevuto grande solidarietà dai colleghi, anche se nei primi giorni ho sentito il bisogno di isolarmi. Ma è noto che Sica sia considerato un’eccellenza e comprendo che l’azienda possa trovarsi in una posizione difficile".
E ancora: "Sono rientrata lunedì. È il mio lavoro, lo amo e non voglio rinunciarvi. Ma oggi sono spaventata, mi sento esposta. Dopo dieci anni mi aspettavo una reazione diversa da parte sua. Un’ammissione, un gesto di scuse. Per me, quel giorno, è stato come un lutto. Ho sentito che era finita un’epoca, un legame, una fiducia. Ma credo che nessuno debba mai accettare di lavorare in un clima di aggressività e violenza".
Nei giorni scorsi il professor Sica si è difeso con una lunga nota in cui ha raccontato la sua versione: "In sala operatoria si combatte per la vita. E io voglio vincere, sempre. Viviamo in un mondo che spesso sembra capovolto. Un mondo dove si giudica con superficialità ciò che non si conosce. Eppure, ci sono luoghi, come la sala operatoria, in cui non ci si può permettere né leggerezza né approssimazione".
Ha poi aggiunto: "Se percepisco un rischio concreto per il paziente, è mio dovere reagire. Sì, anche con fermezza. Sì, anche con durezza. Il nostro ordinamento giuridico chiama questo comportamento ‘stato di necessità' ed è un'esimente assoluta. In quei momenti, si fa ciò che serve per salvare una vita. Punto".
Tuttavia, ha spiegato ancora il professore, "riconosco che i toni usati nei confronti di una collega assistente durante quell'intervento, protrattosi per oltre cinque ore, sono stati eccessivi e dettati da uno stato di forte tensione e stress emotivo. Per questo, desidero esprimere pubblicamente le mie scuse sincere e personali alla collega coinvolta. Non era mia intenzione mancare di rispetto, ma reagire a una situazione che in quel momento ho percepito come potenzialmente critica per il buon esito dell'intervento. Tengo inoltre a precisare che mi sono già scusato personalmente con la collega e con lei ho avuto un chiarimento franco e sereno".