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Il Futuro di Roma: una nuova Forma Urbis con un nuovo Piano regolatore

Pubblichiamo un contributo di Giovanni Caudo sul futuro di Roma a partire dalle grandi questioni urbanistiche irrisolte della città. Docente universitario, assessore all’Urbanistica con Ignazio Marino, poi presidente del III Municipio, oggi è il capolista della lista civica, femminista ed ecologista Roma Futura.
A cura di Redazione Roma
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Di Giovanni Caudo

La prossima consiliatura di Roma si ritroverà ancora ad affrontare questioni urbanistiche datate che si trascinano da almeno due decenni. Ne cito almeno tre: le compensazioni urbanistiche (volumi edificatori riconosciuti ai privati a seguito del taglio della cancellazione per lo più per motivi ambientali delle previsioni del Prg del 1962); i toponimi, ovvero il riconoscimento dell’edificabilità negli ultimi nuclei abusivi individuati che soprattutto durante i cinque anni di Alemanno hanno prodotto dei piani attuativi che ne estendono i perimetri ben oltre quelli già definiti nel piano; piani di zona e la cosiddetta manovra di chiusura, ovvero le ultime aree per edilizia agevolata individuate durante la consiliatura Veltroni.

Questioni che hanno in comune il residuo di edificabilità da spendere ancora in mano ai proprietari delle aree, o delle compensazioni o ancora degli assegnatari delle aree. A quanto ammonta esattamente questa edificabilità non è noto, si conoscono dei numeri su singole questioni ma manca un dato complessivo ufficiale. In ogni caso si parla di cifre, solo per questi casi, intorno ai 6/8 milioni di metri cubi.

Possiamo continuare anche nei secondi vent’anni del XXI secolo a ragionare solo di edificabilità e di urbanistica che insegue le vicende invece di risolverle? No.

La mia proposta è che il futuro di Roma vada ripensato facendo ricorso a un altro bagaglio semantico e valoriale, dentro ai quali collocare anche le scelte che riguardano le forme e le consistenze delle trasformazioni urbanistiche.

Intanto pongo due questioni che per me hanno il primato.

La prima è la dimensione ecologica e ambientale, che a Roma si traduce nell’insieme del sistema di aree verdi, parchi, del reticolo idrografico superficiale (oltre al Tevere e all’Aniene, bisogna aggiungere almeno altri 12 corsi d’acqua), che si intrecciano con i sedimenti storici e culturali, quelli aulici dei fasti di Roma e della Grande Bellezza ma anche quelli più popolari come i lasciti della riforma agraria. E’ questa la nuova forma urbis di Roma, e quando si vuole indicare una visione della Città, è questo il grande progetto di cui Roma ha bisogno: riconoscere questo insieme di valori ecologici, ambientali, storici, culturali e paesaggistici e farlo diventare la carta indelebile con cui confrontare ogni scelta urbanistica.

Una strategia urbanistica che ribalti non solo il linguaggio ma proprio l’immagine della città stessa, prima il “vuoto”. Vuoto perché non edificato ma in realtà un pieno di qualità e di risorse anche sul versante della Roma Agricola, della politica del cibo, del benessere e della qualità della vita. Roma è tra le poche metropoli europee, forse l’unica insieme a Berlino, a godere di questo privilegio di estendersi su un territorio vasto ma per lo più edificato a bassa densità, dove l’urbano e l’agricolo invece di contrapporsi si possono intrecciare. Una strategia che consentirà di superare i tradizionali modi di indicare il rapporto centro-periferia, potendo, quella che chiamiamo periferia, potersi giovare della maggiore vicinanza e prossimità con questa nuova forma urbis. La forma porosa di Roma, un territorio grande come una provincia, dove gli spazi “non costruiti” come afferma il collega Piero Ostilio Rossi, “sono potenziali elementi vitali di un sistema continuo nel quale la figura della spugna e quella dell’arcipelago si contrappongono e si confrontano”. Invece che processi di densificazione ci aspettano azioni di intensificazione dell’uso di questi spazi porosi, e soprattutto delle connessioni tra il paesaggio del non costruito e quello edificato.

Roma non è solo la città agricola più grande d’Europa, Roma può essere la prima città Europea che sperimenta il superamento della contrapposizione tra città e campagna e diventare la prima Cittàcampagna.

La seconda è che il futuro di Roma va pensato allargando lo sguardo alla Roma Grande Formato, quella che travalica i confini comunali fino a dove sono andati i romani, nei comuni dell’intorno, alla ricerca di case a costo accessibile ma anche di forme dell’abitare più individuali e connesse con la natura. In questa città territorio non solo si abita ma si lavora e si produce (in termini di addetti è il secondo polo produttivo d’Italia dopo Milano), ma soprattutto ci sono una quantità sterminata di beni ambientali, storici e culturali che prendono la forma di parchi, riserve, fiumi, laghi, aree agricole di interesse paesaggistico. Un territorio del loisir a portata spesso di piede o di bicicletta dall’ultimo lembo abitato.

Il mio auspicio è che la prossima consiliatura costruisca il Futuro di Roma e lo faccia  a partire da queste due figure, “il sistema dei vuoti” e “la Roma Grande Formato”: tutto il resto deve essere deciso e orientato da queste, dai bisogni di attrezzature e servizi, di mobilità e traguardano un orizzonte temporale al  2030-2050. Farlo vuol dire aprire il cantiere per un nuovo Piano regolatore generale. Facciamolo.

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