Il dramma dei lavoratori ex Alitalia a rischio licenziamento, la storia di Gennaro: “Molti in mano agli usurai”

Dopo quattro anni dalla cessazione delle attività di quella che per tre quarti di secolo è stata la compagnia area di bandiera, l'odissea per le oltre duemila lavoratrici e lavoratori Alitalia potrebbe concludersi e non positivamente. La cassa integrazione scadrà il 31 ottobre 2025 dopo tante vertenze sindacali, conferenze stampa, piani di riorganizzazione aziendale. Questa volta potrebbe davvero aprirsi un baratro per quelli che, in un continuo tira e molla fra governo, compagnie e investitori, sono rimasti tagliati fuori e per le loro famiglie.
"Io ho uno spirito abbastanza creativo e coriaceo", racconta a Fanpage.it Gennaro Pacchiarotti, classe 1964, una vita sulle piste d'atterraggio di Fiumicino, "ma per molti colleghi questi anni sono stati difficili. Molti sono finiti nelle mani dell’usura". Subito dopo l'attivazione della cassa integrazione guadagni (cig) nel novembre 2022, infatti, questa non è stata versata per cinque mesi, in continui rimpalli di responsabilità fra Inps e azienda. "Affitto, mutuo, bollette, scuola, piscina, cibo, quelli li devi pagare lo stesso. Chiudete gli occhi e immaginate di non percepire il vostro stipendio per cinque mesi. Cosa fareste? Come vi sentireste?", continua Gennaro. "Il 31 finisco e mi ritrovo davanti a un problema: per la pensione mi manca ancora tempo e dovrò cercare tra le persone che conosco una possibilità di ricollocarmi".
Giovedì 16 ottobre l'incontro per salvare i cassintegrati Alitalia
Giovedì 16 ottobre 2025 al Ministero del Lavoro è previsto un incontro fra rappresentanti del governo e sindacati, che puntano a far prolungare la cig e temporeggiare. "Le tre aziende in cui è stata scorporata Alitalia – Ita Airways per piloti, assistenti di volo e personale amministrativo, Atitech per tecnici e impiegati, Airport Handling per i servizi a terra – stanno crescendo, così come tutto il mercato", spiega Fabrizio Cuscito, segretario generale della Filt Cgil del Lazio e coordinatore nazionale per il trasporto aereo, "questo permetterebbe di riassorbire le persone rimaste fuori in questi anni".
Una volta chiusa la cassa integrazione, i lavoratori potranno fare richiesta per l'indennità di disoccupazione Naspi, di 24 mesi di durata massima. "Nel momento in cui un lavoratore passa alla Naspi, però, perde il contatto con l’azienda e di fatto è licenziato", aggiunge Cuscito.
Ma non è solo quello a tormentare chi, come Gennaro Pacchiarotti, ha passato la vita lavorando fra rampe e carrelli: "La frustrazione più grande è sapere che, al 7 di ogni mese, ti arriverà qualcosa ma senza avere il lavoro. La retribuzione è fondamentale, ma il lavoro ti rende un uomo libero. Se non lavori, sei uno schiavo. Se sbagliano e bloccano la cassa integrazione o la Naspi per qualsiasi motivo, resti appeso e devi inventarti qualcosa. Il ricatto più grosso è proprio questa forma di assistenzialismo".
Gennaro, una vita nell'aeroporto di Fiumicino
Gennaro non si perde mai d'animo e anche fra mille difficoltà riesce a trovare un punto di vista da cui guardare alla vicenda sua e di tanti altri colleghi in maniera positiva. "Noi siamo privilegiati – commenta – rispetto ad altre aziende più piccole che hanno sofferto di più. Questa compagnia, negli anni, ha dato opportunità: ha esportato il nostro stile, il nostro abbigliamento, ci ha fatto conoscere nel mondo. Avremmo dovuto lottare per conservare un gioiello del genere".
Parla ancora al "noi" quando si riferisce ad Alitalia. A quella compagnia ha dato tanto, ma sente di aver ricevuto altrettanto. Almeno fino al 2021, quando il suo rapporto di lavoro si è interrotto – anche se in una forma ibrida – dopo quasi quarant'anni. "Ho iniziato alla fine degli anni Ottanta, ma in Aeroporti di Roma. Poi, nel 2000, in tanti siamo passati in Alitalia Airport, società che si occupava della gestione aeroportuale come handler". Ovvero chi presta servizio di assistenza a terra agli aeromobili e ai passeggeri e si occupa della gestione di bagagli e merci.
"È stato il periodo più bello della mia carriera", ricorda Gennaro. "C’era collaborazione e valorizzazione delle competenze. Anche se non eri un dirigente chiedevano la tua opinione. Questa è la strategia delle aziende forti: coinvolgere chi lavora davvero sul campo". Un momento in cui ci si sentiva parte di una famiglia, non solo di una società. "Ricordo che a Natale c'erano i pacchi per i figli, e poi la Befana aziendale, gli autobus aziendali per tornare a casa, il parcheggio, le visite mediche… c’era un’attenzione reale per le persone".
Un aiuto concreto e necessario, "perché il lavoro in aeroporto è totalizzante. Natale, Ferragosto, festività… ero sempre lì. E infatti molti di noi hanno avuto problemi familiari, uno o due divorzi e cose così". È successo anche a Gennaro. È nonno di due nipoti da figli avuti nel primo matrimonio, ed è anche papà di due ragazze di 14 e 13 anni avute con Bee, la sua seconda moglie.
La crisi di Alitalia: "Davano sempre la colpa ai lavoratori"
La serenità finisce quando Alitalia Airport subisce la prima insinuazione al passivo: il momento in cui i creditori di un'impresa che si avvia al fallimento o alla liquidazione chiedono di essere ripagati partecipando alla spartizione dei beni della società debitrice. "Da lì iniziano anni di incertezze. Eravamo disorientati e non capivamo quale sarebbe stato il nostro futuro".
Poi arrivano i "Capitani Coraggiosi": un gruppo di imprenditori e manager, guidati da Roberto Colaninno e Corrado Passera, chiamati nel 2008 dall'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per salvare la compaagnia dopo il fallimento dell'accordo per la cessione a Air France-Klm. "Spostano tutto verso Milano, anche se Malpensa serviva solo le compagnie straniere", ricorda con frustrazione Gennaro. "Di quel periodo ricordo Rocco Sabelli, un amministratore delegato molto deciso, che portò la sua cordata di uomini fidati e creò un clima duro: chi seguiva le sue indicazioni prosperava, altrimenti venivi isolato. Si sono viste umiliazioni pesanti".
Di quest'incertezza una cosa proprio non va giù a Gennaro Pacchiarotti: "In tutto questo marasma, il problema erano sempre i lavoratori. Sbagliavano a comprare i mezzi e le divise ed era colpa nostra.
"Il malumore era palpabile – continua – . Molta gente se n’è andata, o si è lasciata andare. Quando lavori in un contesto del genere, non puoi approcciarti all’aeromobile con superficialità. Io facevo il rampista e dovevo avere mille occhi. Se vedi un bozzo o un taglietto e non sei meticoloso, può diventare un problema. Lì sopra ci sono esseri umani, quindi non puoi andare a casa con il rimorso o l'ansia di non aver controllato".
"Hanno colpito prima i soggetti più deboli"
È sempre il ricordo delle decisioni aziendali, però, a riportare più rabbia nella voce di Gennaro. "Negli ultimi tempi, quello che ci ha colpito è che hanno individuato in modo chirurgico donne sole, mamme, padri di ragazzi con disabilità, persone socialmente deboli. Li hanno fatti fuori tutti. Per rientrare a lavorare, molti si sono dovuti “mettere in ginocchio”. Non è una metafora: hanno dovuto accettare situazioni insopportabili". Una pratica atroce, frutto anche di divisioni fra i dipendenti create ad hoc: "C’era un clima di delazione tra colleghi, non ti potevi fidare di nessuno, e questo era esattamente quello che l’azienda voleva".
Rapporti fra amici che durano da decenni si incrinano, si accumulano rancori e anche solo l'attesa della cassa integrazione diventa uno stillicidio, una tortura della goccia cinese. "Il Totonomi che si crea sul posto di lavoro era terribile. Sentire la gente che diceva “Tu ci stai, tu non ci stai”, quella è la cosa più brutta. E poi chi, ancora prima che ti venga detto, ti chiama: "Oh, ma davvero ti hanno fatto fuori?". Poi arriva la lettera "fredda, impersonale. Scritta da chi ha già fatto fallire Alitalia quattro volte".
Gli ultimi anni di cassa integrazione: "Ho fatto lavoretti per mantenere la famiglia"
Ed ecco la messa in cig il primo novembre del 2022. Fino ad aprile, però, i soldi non si vedono. "Abitavo a Ostia e portavo le mie figlie a scuola. Lì incontravo spesso dei colleghi. Siamo un bel gruppo di ex dipendenti ad abitare lì. Li vedevo trasandati nel vestire, preoccupati. Ho visto qualcuno parlare da solo: la mancanza di denaro si fa sentire".
L'aria era pesante anche per Gennaro: "Mi sono trovato in un momento in cui non ero proprio depresso, ma mortificato". Riesce ad andare avanti e tenere duro grazie al sostegno della sua famiglia, "ma non è una cosa scontata per 3mila persone". Si tiene impegnato e fa associazionismo oltre a trovare altre soluzioni con cui andare avanti: "Mi sono dato da fare e ho fatto dei lavoretti. Ho montato pannelli solari, ho lavorato al cinema… Mai a a nero, con tutti i versamenti. Avvertivo l'azienda. Mi sono fatto un culo così e ne sono fiero. Perché per me i soldi si fanno lavorando, in nessun altro modo".
Gennaro vorrebbe rientrare in aeroporto: "Sono cresciuto là, dove ho tutti gli amici, gente che è cresciuta con me". Ma non ci spera più tanto. "Non lo so come andrà, ma io voglio lavorare".