288 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

G20 Cultura, protesta dei lavoratori: “Sfruttati e pagati una miseria, questo è il vostro rilancio?”

Pagati poco e male, a volte anche niente, lavorano tutto il giorno per 5 euro l’ora. Sono i professionisti dei beni culturali, lavoratori specializzati che hanno deciso di protestare contro il G20 della Cultura che si terrà il 29 e il 30 luglio a Roma. “L’Italia si dice culla della cultura ma non ci sono fondi, mentre i lavoratori sono sfruttati e sottopagati”.
A cura di Natascia Grbic
288 CONDIVISIONI
Immagine

"Si chiudono il Colosseo e Palazzo Barberini per ospitare un evento elitario e negare al visitatore la possibilità di accedere. Si scelgono posti simbolici per fini propagandistici, negando il diritto alla cultura di chi vuole visitare questi luoghi. Quella stessa cultura che nel nostro paese non viene valorizzata ma privatizzata, con i suoi lavoratori bistrattati e pagati una miseria, se non nulla. Per questo abbiamo deciso di organizzare due giorni non solo di proteste, ma anche di iniziative, contro il G20 della Cultura che si terrà a Roma il 29 e 30 luglio". Federica è una lavoratrice precaria dei Beni culturali e fa parte della rete ‘Mi riconosci?', movimento nazionale che punta a ottenere più dignità per il lavoro culturale e una riforma strutturale del sistema culturale italiano. Da questa sera, a Roma, i ministri della cultura dei paesi del G20 si riuniranno per discutere del futuro del settore dopo la pandemia. Un incontro duramente contestato dagli operatori del settore dei beni culturali, la maggior parte dei quali precari, che vogliono con una due giorni di eventi "combattere la retorica politica riguardo la situazione in Italia, che si dice culla della cultura quando i lavoratori sono sfruttati e sottopagati".

La situazione dei lavoratori della cultura in Italia non è rosea. Pagati poco e male, a volte anche niente, molti di loro decidono di intraprendere altre strade perché impossibilitati ad arrivare alla fine del mese. Professionisti altamente specializzati, che se non hanno una famiglia alle spalle pronta ad aiutarli devono cambiare mestiere. E lasciare un settore che fa sempre più ricorso al lavoro di volontari. "I salari non sono adeguati, in genere si guadagna 5/6 euro l'ora, e si continua a fare un grosso ricorso al lavoro gratuito. Succede spesso che per non pagare le persone e rientrare nei costi ci si serva dei volontari e si chiedano prestazioni molto elevate, per le quali si è investito molto e per cui però non si viene pagati. Basti pensare al bando del concorso per il ministero, che dava un punto in più ai candidati per ogni ora gratuita di lavoro offerta. Dopo le critiche è stato ritirato, ma non si tratta di un caso isolato".

Il bando del ministero
Il bando del ministero

"Non siamo mai stati ascoltati e con la pandemia i problemi per noi sono emersi ancora di più", continua Federica. La loro, specifica, non è solo una protesta: vogliono proporre un dibattito alternativo a quello dei ministri dei paesi del G20, coinvolgendo dal basso chi ogni giorno la cultura "la vive, la tutela e la protegge". In questi due giorni saranno proposti dibattiti tematici che trattano temi cari a questa realtà, "per trovare le storture e cercare di costruire percorsi comuni, aprendo un dialogo con le istituzioni che hanno sempre ignorato lavoratori e professionisti".

Immagine

Per i ministri questo G20 è un'occasione di rilancio per il settore. Convinzione contestata dai lavoratori, che invece denunciano non solo le condizioni in cui sono costretti a operare, ma anche il fatto che gli investimenti sulla cultura sono molto scarsi. "Non esistono investimenti concreti nella cultura, e quando ci sono vanno a favore del profitto di pochi. Servizi di musei e monumenti vengono esternalizzati, i soldi vanno nelle tasche dei concessionari e le aziende mantengono i salari bassi per rientrare nei costi. Questo non può essere considerato un rilancio, che deve essere un investimento pubblico. La cultura deve essere accessibile a tutti, non deve essere merce, con il cittadino che diventa cliente e non diretto beneficiario. E questo è testimoniato anche dal Recovery Plan dove si parla di digitalizzazione, con i fondi che vengono dati alle grandi aziende, mentre il pubblico è messo da parte. Un settore dove c'è carenza di fondi, di personale, di archivi. Come si può parlare di digitalizzazione senza un adeguato finanziamento? Solo attraverso la distribuzione di fondi pubblici si può rendere la cultura accessibile a tutti".

288 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views