Furto del secolo al Tribunale di Roma: “Alla rapina c’era pure il Bufalo della Magliana, Carminati si è tenuto i soldi”

"Di sotto io ho 2, 3 milioni miei, capito? Io voglio investire e chiudere, io con il prossimo carico chiudo… che questi mi chiudono… capito?". A parlare così, intercettato con un complice, è Marcello Colafigli, 73 anni, ‘Il Bufalo' della banda della Magliana, oggi di nuovo sotto processo al tribunale di Roma. L’uomo, considerato tra gli ultimi superstiti della banda, dopo una condanna all’ergastolo, era uscito in semilibertà per qualche tempo, ma poi era stato di nuovo arrestato il 4 giugno del 2024 insieme ad altre 27 persone.
Ora, nel giudizio che si sta celebrando a Piazzale Clodio, dalle informative depositate agli atti da polizia e carabinieri, stanno emergendo nuovi particolari utili per ricostruire la geografia criminale passata e presente della Capitale. Per esempio, da un dialogo tra due appartenenti alla nuova organizzazione al comando del ‘Bufalo‘ che operava nel territorio di Roma Sud ma con ramificazioni anche sul piano nazionale, si apprende che "Colafigli avanza i soldi in giro, ha crediti per denaro prestato o, comunque, dato a soggetti che sono in debito con lui, per centinaia di milioni delle vecchie lire".
Il tesoro del boss
Oggi quindi il tesoro del ‘Bufalo' equivale a qualche milione di euro e, tra i suoi debitori, ci sarebbero anche vecchi arnesi della malavita romana come Walter Domizi detto ‘il Gattino', in carcere da tempo e zio del boss Leandro Bennato. Ma, soprattutto, nel corso della conversazione, i due complici rivelano che tra coloro che devono soldi a ‘Marcellone' ci sarebbe anche Massimo Carminati. E non per un semplice prestito – si dicono i due – ma per quella che la pubblicistica e qualche serie tv, forse esagerando, ha raccontato come la ‘rapina del secolo'. Tra coloro che hanno debiti nei confronti di Colafigli vi è anche ‘il Cecato', dunque, ‘perché deve ridargli i soldi del Caveau', è la frase intercettata.
La rapina del secolo
Il dialogo lascia intendere in qualche modo che anche il Bufalo avrebbe avuto un ruolo nel furto avvenuto nella notte tra il 16 e il 17 luglio del 1999, quando un gruppo di rapinatori guidati da Carminati ha svaligiato alcune cassette di sicurezza custodite a Piazzale Clodio che contenevano, oltre a valori, anche documenti riservati appartenenti a magistrati importanti titolari di delicate indagini, avvocati e altre personalità di rilievo.
Dalle cassette di sicurezza di Piazzale Clodio furono asportati oltre 10 miliardi di vecchie lire. Fu un’azione spettacolare, condotta dai banditi con l’aiuto di alcuni carabinieri corrotti. Non fu sparato neppure un colpo e non fu forzato neppure un lucchetto. Per lungo tempo questa rapina è stata raccontata come una storia di ricatti che Massimo Carminati avrebbe teso a personalità dello Stato, dato che tra le 147 cassette c’erano anche quelle appartenenti ad alti magistrati: il magistrato Domenico Sica che si era occupato delle indagini più delicate di quegli anni, dall’omicidio Pecorelli alla scomparsa di Emanuela Orlandi, era tra questi. La storia dei ricatti ai poteri dello Stato rimase negli anni solo una ipotesi. Ora però sappiamo da nuove rivelazioni che anche il Bufalo avrebbe avuto un ruolo nella ‘rapina del secolo' e che i superstiti di quella banda conservano ancora un posto di tutto rispetto nel Pantheon della malavita romana.
Il processo a Bufalo
"Nel corso dell’indagine ora approdata a giudizio, abbiamo captato diverse conversazioni che attestano il livello di autorevolezza ancora espresso da Marcello Colafigli nel mondo della criminalità romana", dice a Fanpage Massimiliano Vucetich, colonnello oggi in pensione dell’Arma dei Carabinieri che per circa vent’anni ha coordinato l’articolazione del Nucleo Investigativo di via In Selci specializzata nella repressione dei reati contro la pubblica amministrazione, svolgendo inchieste complesse su faccendieri e politici, ma anche sulla criminalità organizzata romana. L’investigatore conferma che le indagini hanno dimostrato la grande considerazione che il contesto criminale romano riserva ancora nei suoi confronti. E poi aggiunge un altro particolare sul carisma del vecchio boss, finora rimasto inedito: "Ad alcuni di noi è rimasto qualche dubbio sulla posizione di Marcello e dei suoi sodali anche in merito all’omicidio Gioacchini. Ci sono alcuni elementi che hanno portato a ipotizzare che la consorteria con a capo Colafigli possa essere coinvolta in quel feroce assassinio, al limite solo sotto il profilo autorizzativo, ma questa è un’ipotesi che non ha trovato conferma", conclude l’ex investigatore che ha raccontato le indagini su molti fatti e delitti considerati strategici per gli equilibri malavitosi romani degli ultimi 20 anni in ‘Crimine Capitale, Fiumi di cocaina, Ak47 e chat criptate, il mondo di Senese, Diabolik e Colafigli', un libro uscito ieri nel quale racconta importanti retroscena delle indagini sulle più importanti organizzazioni criminali attive nella Capitale.