Dopo Askatasuna e Leoncavallo, Roma nel mirino degli sgomberi. Blasi (SI): “Gualtieri difenda i centri sociali”

"Noi eravamo in piazza a Torino a difendere Askatasuna, soprattutto perché si è verificato un atto che può essere definito come una forma di bullismo istituzionale all’interno dei confini della città. Per l’occasione è stata messa in campo un’operazione completamente sproporzionata: un intero quartiere blindato, strade chiuse, polizia ovunque. Due scuole sono state chiuse e i bambini hanno dovuto rinunciare alle feste e alle iniziative natalizie". A parlare, a Fanpage.it, è Luca Blasi, assessore alla Cultura e alle politiche abitative del III Municipio. Parte di Sinistra italiana, Blasi da anni anima e fa parte delle esperienze dei centri sociali romani, ora sotto concreta minaccia di cancellazione. "A Torino si è creato un clima di paura diffusa in tutta la città, all’interno di uno spazio che era perfettamente integrato nelle dinamiche del quartiere e sul quale il Comune aveva avviato, da due anni, un percorso ormai giunto alla fase conclusiva – continua -. A noi sembra evidente che tutta l’operazione abbia il sapore della vendetta e risponda alla volontà di continuare a utilizzare le forze dell’ordine come strumento politico. Un altro tema centrale è proprio l’uso della polizia come se fosse una milizia privata e l’ostentazione di operazioni presentate nel discorso pubblico come interventi di sicurezza, quasi come trofei da esibire alla piazza".
Dopo Milano e Torino, l’attenzione si è concentrata su Roma, dove da tempo è aperto il tema degli sgomberi di occupazioni abitative e centri sociali.
Ciò che si dovrebbe chiedere con forza – e che già viene richiesto con forza dalle piazze, sia per il Leoncavallo sia per Askatasuna – è una presa di posizione netta da parte delle città e delle amministrazioni comunali. Occorre affermare chiaramente che una storia fondamentale per il tessuto democratico del Paese, come quella dei centri sociali, non può diventare la valvola di sfogo dei fallimenti politici ed economici dei governi, a partire dalla gestione delle politiche finanziarie. Allo stesso tempo, ovunque sia possibile, bisogna avviare percorsi di collaborazione e di assunzione di responsabilità per salvaguardare queste esperienze. Più volte i centri sociali hanno rappresentato l’unica possibilità di sviluppo per intere comunità, anche in quartieri in cui lo Stato era di fatto scomparso, lasciando solo degrado e abbandono. Su quei luoghi, abbandonati per decenni, sono state ricostruite comunità politiche che hanno spezzato isolamento, marginalità, degrado e dipendenze, introducendo anche nuove pratiche amministrative e creando servizi territoriali basati sull’idea di beni comuni e di interesse pubblico. Dobbiamo calcolare che non esiste nessun progetto di rigenerazione urbana sviluppato a livello europeo negli ultimi anni che non prenda l'esperienza dei centri sociali italiani come un modello di difesa dei beni comuni e di riappropriazione dello spazio pubblico da parte delle comunità locali.
In questo quadro, vengono messe sullo stesso piano occupazioni molto diverse tra loro, come CasaPound e Spin Time. Ma sono la stessa cosa?
Spin Time, il Forte Prenestino e Acrobax sono luoghi da tempo particolarmente attenzionati. In questo quadro rientra anche l’utilizzo strumentale della questione CasaPound. Si tratta dell’operazione perfetta per affermare: ‘Non siamo fascisti, sgomberiamo anche l’estrema destra non istituzionale'. Tuttavia è evidente che il rapporto di continuità politica con l’area che fa riferimento a CasaPound, già ampiamente documentato e certificato. Si tratta di un’operazione comunicativa di altissimo profilo, funzionale al governo, che serve a legittimare successivamente uno sgombero indiscriminato di altre esperienze antagoniste. È un chiaro disegno politico: far apparire tutte le occupazioni come uguali, quando non lo sono affatto. CasaPound, inoltre, si trova all’interno di un enorme contenzioso economico, con milioni di euro di affitti non versati. Una soluzione comoda, sia per loro sia per il governo, potrebbe essere la chiusura formale di quell’esperienza, così da legittimare operazioni di polizia e di riaffermazione dell’autorità dello Stato. È però noto che il lavoro comune e le relazioni sotterranee tra governo e CasaPound esistono da tempo, sia sul piano militante sia su quello operativo. Sono persone che hanno condiviso spazi, percorsi e azioni politiche nei decenni passati. Non credo che esistano già accordi definitivi, ma è plausibile che eventuali operazioni non compromettano in alcun modo la possibilità per CasaPound di continuare ad avere spazi e risorse per la propria attività politica di matrice fascista.
Quindi non si tratta solo di una questione di ordine pubblico, ma di una scelta politica precisa?
Si tratta di uno scontro tra città e Stato. È necessario rivendicare il diritto delle città all’autodeterminazione rispetto ai propri modelli di sviluppo urbano e sociale. Il Leoncavallo è stato una ricchezza per Milano, così come Askatasuna lo è per Torino e come lo sono spazi come il Forte Prenestino per Roma. Queste realtà offrono modelli di sviluppo alternativi a una città basata esclusivamente sul commercio, sul consumo e sullo sfruttamento. Al loro interno esistono anche elementi conflittuali, che non vanno nascosti ma riconosciuti come un valore. Ogni avanzamento sociale e politico, individuale e collettivo, è sempre avvenuto attraverso forzature, mobilitazioni e pratiche di disobbedienza civile, più o meno radicali, che hanno contribuito allo sviluppo della democrazia.
Roma può rappresentare un caso diverso rispetto a Milano e Torino?
Di fronte a una minaccia concreta di sgombero, credo che Roma abbia una traiettoria diversa rispetto a Milano e Torino. La rete dei centri sociali romani è storicamente forte e radicata, e difficilmente potrà essere cancellata con la chiusura di alcuni spazi. Siamo però in una fase storica molto complessa, caratterizzata da un livello di controllo e di sorveglianza sui movimenti sociali particolarmente preoccupante. Sempre più spesso il modello sembra avvicinarsi a quello di Paesi come l’Ungheria di Orban. Le politiche securitarie e le nuove norme su sfratti e gestione degli spazi abitativi dimostrano come l’intervento dello Stato stia entrando sempre più nella vita quotidiana delle persone. Per questo è fondamentale che il cosiddetto campo largo prenda posizione: i movimenti sociali non possono essere lasciati soli. Se esiste davvero un’idea diversa di Paese, alternativa alla deriva autoritaria della destra, questa è la battaglia da combattere fino in fondo. Da subito è necessario che il sindaco Roberto Gualtieri affermi con chiarezza: giù le mani da Roma. Non si colpiscano simboli fondamentali come il Forte Prenestino e Spin Time.