Donna incinta sfrattata a Roma, l’assessora alle Politiche Sociali Funari: “I nostri operatori cercano la soluzione migliore”

"Mi dispiace sentirci accusare di ‘accoglienza disumana': gli operatori della Sala Operativa Sociale lavorano con grande impegno e rispetto", l'assessora alle Politiche Sociali e alla Salute di Roma Capitale Barbara Funari risponde dopo le critiche di Unione Inquilini sullo sgombero della mattina di mercoledì 12 novembre in via Eudo Giulioli a Cinecittà.
"Gli assistenti sociali svolgono un lavoro difficile, a volte non compreso, ma sempre attento alla dignità delle persone", continua Funari. Nel corso dello sfratto Fanpage.it ha raccolto la testimonianza di una donna incinta di otto mesi e con tre figli che aveva dovuto lasciare la casa che aveva occupato con il marito due anni fa.
Assessora Funari, partiamo dallo sgombero di via Eudo Giulioli, che segue quello del 5 novembre. Quali soluzioni avete messo in campo per le famiglie sfrattate?
Sì, lo sgombero non è avvenuto tutto ieri: è cominciato già la scorsa settimana e noi, come assessorato alle Politiche sociali e Sala Operativa Sociale, lavoriamo da oltre un mese insieme al Municipio per accompagnare le famiglie. Le persone coinvolte erano state informate da più di un mese e mezzo e sapevano che l’intervento sarebbe stato inevitabile.
Abbiamo avviato colloqui direttamente a casa, poi nei servizi territoriali del Municipio, per valutare caso per caso le situazioni. Le famiglie che avevano alternative sono state accompagnate anche nel trasferimento dalla casa da dove dovevano uscire. La scorsa settimana nessuna delle persone a cui avevamo offerto accoglienza ne ha avuto bisogno, mentre oggi abbiamo accolto alla fine 20 persone di cui 10 minori, quindi in tutto quattro nuclei familiari. Si tratta di sistemazioni temporanee, ma dignitose, pensate per mantenere l’unità familiare quando possibile.
Laddove possibile, proprio per poter tenere insieme un nucleo familiare, abbiamo accolto anche in struttura anche i papà. Nel caso della signora che avete intervistato, la madre con tre figli è stata accolta in una struttura comunale, mentre il padre ha trovato un appoggio dal cognato. È una soluzione temporanea, con l’obiettivo di riunirli il prima possibile. Gli altri due nuclei accolti sono composti da mamme sole con bambini, senza alcuna separazione familiare.
Quindi a lei non risulta che alla donna sia stato detto che il padre non potesse andare con loro?
Il posto che abbiamo trovato non dava possibilità di a un uomo. Tengo a precisare che molti dei centri in cui troviamo sistemazioni sono comunità condivise, con camere da tre o quattro posti letto, e che non possiamo inserire uomini in spazi destinati solo a donne e minori. È una regola di tutela, non una discriminazione. Lo abbiamo spiegato alla signora, la soluzione è stata condivisa in modo sereno e lei è stata accompagnata in questo posto anche molto bello e nuovo che ha appena aperto
Va anche ricordato che non gestiamo case popolari, quindi non possiamo garantire assegnazioni stabili: possiamo intervenire solo in emergenza. Roma ha un fabbisogno stimato di oltre 20.000 alloggi sociali, mentre il Comune ha potuto acquistare finora 1.500 immobili. Non basta. Non esiste un Piano Casa nazionale e questo lascia sole le amministrazioni locali. Il risultato è che il welfare comunale può solo contenere l’emergenza, non risolverla.
Ci sono stati altri sfratti nelle ultime settimane, ad esempio al Quarticciolo, in appartamenti Ater. Che tipo di interventi avete fatto lì?
Sì, in uno di questi casi siamo intervenuti dopo la segnalazione delle forze dell’ordine, dopo che sono entrate. Si trattava di una donna anziana, sola e allettata, in condizioni di salute gravi, con piaghe da decubito. È stata immediatamente ricoverata. Senza l'intervento probabilmente nessun servizio sociale o sanitario l’avrebbe intercettata.
Ora la seguiamo in ospedale, in contatto con il figlio, per garantire l’assistenza sanitaria e sociale necessaria. Quindi in questo caso, paradossalmente, lo sgombero ha permesso di scoprire una situazione di bisogno grave e invisibile.
Ci tengo a spiegare come lavora la Sala Operativa Sociale su delle istanze che tendenzialmente diventano sempre più frequenti, ma non sono neanche nelle nostre competenze. Interveniamo quando c’è un’urgenza segnalata da Prefettura o forze dell’ordine, offrendo soluzioni temporanee, spesso in collaborazione con il terzo settore.
Nel caso di via Giulioli, siamo riusciti a dare risposte concrete perché abbiamo lavorato prima dello sgombero, non il giorno stesso. Quando arriviamo in ritardo, è molto difficile convincere le persone a lasciare la casa o trovare soluzioni in tempo reale.
Come diceva queste situazioni stanno diventando sempre più frequenti. State elaborando un piano a lungo termine?
Intanto abbiamo aumentato i posti nei centri d’accoglienza della Sala Operativa Sociale: ne abbiamo trovati 700 e ora siamo a 1300.
Oggi ero alla presentazione del rapporto sulla povertà della Caritas ed è stato ricordato come l’anno scorso il sindaco Gualtieri abbia chiesto pubblicamente un blocco degli sfratti, ma la richiesta è rimasta inascoltata.
Il nostro Piano Casa comunale prevede l’acquisto di immobili con fondi propri, ma servono risorse statali. Il mio collega Tobia Zevi saprà dirle meglio, ma, come ha detto il sindaco Gualtieri: "Se non si comprano case, non si potranno mai dare case a chi è povero". Roma da sola non può farcela. Serve un piano nazionale per l’edilizia sociale, che coinvolga Stato e Regioni.
Un altro caso di marginalità, anche più estremo, è quello di Tor Cervara, dove c’è stato un incendio in un edificio e dove una persona è rimasta gravemente ferita. Come si può evitare che episodi simili si ripetano?
L’edificio di Tor Cervara è una proprietà privata, già sgomberata più volte ma continuamente rioccupata. Il Comune non ha competenza sulla sicurezza degli immobili: è materia della Prefettura.
Noi siamo intervenuti con la Sala Operativa Sociale subito dopo l’incendio. Per fortuna non c’erano altre persone dentro. La persona ferita è seguita dalle autorità competenti.
Il nostro impegno è quello di riqualificare gli spazi abbandonati e restituirli a un uso abitativo. L’esperienza di Porto Fluviale lo dimostra: un ex edificio occupato è stato rigenerato con fondi nazionali e trasformato in un progetto abitativo gestito da Roma Capitale. È un modello che vogliamo replicare anche altrove.
In altri casi stiamo dialogando con i proprietari privati per capire se il Comune può acquisire o prendere in gestione immobili inutilizzati, in modo da tutelare chi ci vive e restituire dignità a spazi oggi degradati. Bisogna contrastare non solo l’abbandono delle persone, ma anche quello degli edifici. Ogni immobile abbandonato può e deve tornare a essere casa.
Ma sul caso di Tor Cervara si parla anche di tossicodipendenza e in particolare di crack, una sostanza che si sta diffondendo in diversi quartieri. Cosa sta facendo il Comune sul fronte delle dipendenze da un punto di vista sociale?
Abbiamo varato un nuovo piano comunale di contrasto alle dipendenze. In passato la competenza era stata affidata a un’agenzia capitolina esterna, che di fatto era diventata una ‘scatola vuota'. L’abbiamo chiusa e abbiamo internalizzato il servizio, riportandolo dentro l’amministrazione.
Da due anni lavoriamo con molte associazioni del terzo settore, in co-progettazione, per definire interventi di prevenzione, orientamento e cura. L’obiettivo è intercettare i consumi il prima possibile, spiegare nelle scuole cosa comportano droghe come il crack e avviare percorsi di sostegno.
Abbiamo potenziato le unità di strada per il contatto con le persone che vivono in strada con gravi dipendenze e collaboriamo con le Asl per i percorsi terapeutici. Il Comune non può sostituirsi alla sanità, ma può facilitare l’accesso ai servizi e creare una rete che arrivi prima possibile, per prevenire e curare.
Sul fronte migranti, Roma affronta due problemi: le file interminabili davanti alla Questura per i permessi di soggiorno e le condizioni del CPR di Ponte Galeria, che l’onorevole Rachele Scarpa in visita a luglio aveva definito "lesive della dignità". Cosa state facendo su questi fronti?
Sono due questioni diverse. Sui CPR in generale, non solo quello di Ponte Galeria, la mia posizione è chiara: andrebbero chiusi. Non si possono detenere persone per una funzione amministrativa. È una forma di reclusione che, a mio parere, non ha giustificazione.
Il Comune non ha competenza diretta, ma abbiamo fatto piccoli interventi per umanizzare le condizioni: abbiamo acquistato telefoni di base per permettere ai reclusi di comunicare, allestito una sala per i corsi di lingua italiana e cercato di offrire strumenti minimi per rendere la vita meno disumana.
Per quanto riguarda le file alla Questura di via Patini, collaboriamo con l’Ufficio Immigrazione del Comune per offrire orientamento esterno. Aiutiamo le persone a preparare la documentazione in anticipo, per evitare lunghe attese. Il problema è che molti dei senza dimora che accogliamo vivono per strada perché sono in attesa del permesso di soggiorno: se le procedure fossero più rapide, potremmo liberare posti nei centri di accoglienza e aiutare altri che ne hanno bisogno.
Negli ultimi tempi i temi sociali vengono raccontati sempre più spesso come problemi di sicurezza. C’è anche il fenomeno degli influencer anti-degrado, che con la loro retorica contribuiscono a confondere marginalità e pericolo. Pensa che il Comune abbia delle responsabilità in questo? E come può proporre una narrazione diversa?
Oggi è molto difficile far emergere una narrazione diversa. Il Comune vorrebbe raccontare di più queste storie, e io per prima cerco di farlo. Mi sto interrogando anche io su questo, come trovare altre modalità più efficaci di narrazione diverse da quelle che attualmente circolano.
Ma è complicato, perché molto spesso non trovano spazio: non emergono le esperienze positive, i percorsi di riscatto, il lavoro quotidiano dei nostri operatori sociali che ogni giorno cambiano la vita delle persone. Si raccontano solo gli episodi più eclatanti, i numeri dei senza dimora o lo sgombero del giorno, ma non quello che c’è dietro — i servizi, le reti, le soluzioni.