Cinque anni fa l’omicidio di Willy Duarte, la sorella: “Era speciale, ma non serve dire che era un eroe”

Il grande cedro di largo Oberdan a Colleferro non è più l’elemento di una scena del crimine. Per più di tre anni, dopo il 6 settembre 2020 ha portato i segni del lutto sostenendo gli striscioni lasciati in ricordo di Willy Monteiro Duarte, il ragazzo di Paliano ucciso a calci e pugni da Marco e Gabriele Bianchi, Francesco Belleggia e Mario Pincarelli. Un delitto feroce che ha sconvolto l’Italia in piena pandemia, durante un’estate che sembrava ristabilire una parvenza di normalità dopo l’isolamento forzato contro il Coronavirus.
Oggi intorno all'albero c’è una seduta in marmo bianco. Il travertino si estende per qualche metro, circonda anche la statua e la targa in memoria del giovane chef. A cinque anni da quella notte, Milena Monteiro Duarte, la sorella di Willy, spiega il valore di questa piazza bianca inaugurata il 6 settembre del 2023: adesso ci sostano le persone. Milena ragiona sul senso dei luoghi e sulle tracce che mantengono viva la memoria del fratello.
Questa storia ha modificato uno spazio pubblico. È un cambiamento che aiuta a ricordare Willy?
Secondo me la ristrutturazione ha ridato vita a questo luogo, è come se avesse fatto il passo successivo. Dopo l’accaduto era diventato un luogo triste. Io ci passavo ed era come se sul mattonato fosse rimasto quel pensiero negativo, quel pensiero triste. Era un luogo importante, anche un modo per lasciare un messaggio, c’erano gli striscioni, era piena di fiori e di cartelli. Mia madre ci passava sempre, cambiava i fiori, era un luogo che lei frequentava quanto il cimitero. C’è ancora quel capitolo, si può ricordare quello che è accaduto ma adesso c’è anche altro. Adesso non è fermo a quel momento, a quella cosa terribile. L’ architetta che ha disegnato la piazza ci ha coinvolti nel progetto, abbiamo seguito i lavori. Per me è molto importante questa piazza perché rappresenta l'andare avanti, la trasformazione sia di noi che del luogo in cui è successa questa cosa.
E che tipo di trasformazione c’è stata in te?
Io quando è successa la cosa ero una ragazzina, avevo diciannove anni, mi sentivo una bambina. Questa cosa mi ha costretta a crescere in fretta, e a crescere anche a livelli che una ragazza di 20 anni normalmente non si aspetta. Prima di questa cosa non avevo i pensieri che ho adesso, non avevo le responsabilità che ho adesso. Per me la perdita di qualcuno era una cosa lontanissima. Poi ti accade, succede proprio a te, nella tua vita. Inizi a ragionare in un altro modo, inizi ad avere attenzioni per altre cose, inizi anche a curarti di altro.
E su cosa hai messo più attenzione?
Cerco di passare più tempo di qualità con tutte le persone che considero importanti nella mia vita.
Diamo un po’ per scontate le persone?
Esatto, ecco, questo è uno dei miei più grandi cambiamenti: non dare più nessuno per scontato, soprattutto le persone che mi stanno accanto. Ho iniziato a pensare sempre a non girarmi mai dall'altra parte, anche se è difficile, e ammetto che anche io tante volte l'ho fatto. Quando accadono situazioni spiacevoli, pericolose o brutte, può arrivare la paura, ti puoi bloccare. Non è non è indifferenza. Non tutti riusciamo a ragionare a mente lucida sempre e subito. Poi la mia vita è cambiata in tutti i sensi, perché sono diventata mamma, sono andata a convivere. Sono diventata adulta in poco tempo, mi sono ritrovata a crescere in fretta. Il cambiamento in me è stato drastico.
Quindi Willy è zio?
Sì, Willy è zio.
E che dice sua nipote dello zio?
Mia figlia ha sempre vissuto con la figura di Willy. Lei lo conosce. Anzi, è sempre stata abituata a vederlo. Mi sono trasferita in un’altra casa con il mio compagno quando lei aveva 2 anni e mezzo. Casa dei miei è tappezzata di foto di Willy, quindi è nata e cresciuta in quell'ambiente lì. Ora che è più grande, se vede una foto di mio fratello lo chiama. Mi ricordo la prima volta che è passata davanti al murales a Paliano, l'ha riconosciuto subito. Mi ha fatto impressione, è passata e ha detto: “Mamma, guarda zio!”. E ha iniziato a dare tutti i bacini. Lei lo sa, quando sarà più grande la storia le sarà raccontata.
Di murales che raffigurano Willy ce ne sono diversi. Sono in tutti e tre i paesi coinvolti nella storia, ma ce ne sono altri anche in giro per l’Italia: a Roma, a Pescara e in altre città. Willy oggi è un’icona, un esempio di coraggio e anche un simbolo di altruismo. La sua storia ha commosso l’Italia intera, ha colpito per la dinamica, per la velocità e per la brutalità di quella violenza arrivata sul corpo di Willy da parte di quattro ragazzi, in particolare da Marco e Gabriele Bianchi. Allontaniamoci un attimo dai murales, dalle celebrazioni ufficiali e dalle ricorrenze. Come possiamo avvicinarci alla figura di tuo fratello? Come racconterai questa storia a tua figlia?
Come una persona normale, un ragazzo che potrebbe essere qualunque ragazzo. Una persona che andava a lavorare, che si divertiva, che si impegnava nella vita ma che aveva anche le sue sbandate. Non serve dire che è stato un eroe, semplicemente quella sera ha scelto di interessarsi e di capire se il suo amico stesse bene, si è preoccupato del suo amico. Non ha diviso nessuno, non si è trovato in mezzo a un rissa. Ci metto quasi la mano sul fuoco: se ci fosse stata una rissa in corso lui non si sarebbe avvicinato alla situazione. Non gli piacevano quelle situazioni. Se proprio dovessi parlare di lui come un ragazzo speciale lo farei per altre cose. Lo farei per raccontare una persona capace di starti vicino. Se avevi bisogno di un mano, di un sostegno, lui prendeva la macchina e veniva da te. Va raccontato come una persona che dava valore a quello che voleva fare e chi aveva intorno.
Prima hai raccontato di te a diciannove anni, e di come all’improvviso questa perdita abbia trasformato il modo di considerarti e di curare quello che hai intorno. Proviamo a tornare un attimo a quel giorno? Come hai saputo dell’accaduto?
Io l'ho saputo in un modo traumatico. Quella sera ero a Roma. Domenica mattina sarei dovuta andare al mare a casa di parenti. Mi sveglio, mi chiama mio padre: “Devi tornare a casa”, mi dice. Mi deve dire qualcosa, ho pensato. Sarà qualcosa che riguarda me. Chiedo perché, ma non mi dice nulla. Anche mia madre mi dice di tornare. Durante il tragitto per andare a prendere il treno inizio a ragionare: ma perché devo tornare? Che cosa è successo? Ho pensato a qualunque cosa. In treno quasi impazzisco, ho pianto tanto e ho attirato involontariamente l’attenzione, una persona vicino a me mi ha dato un fazzoletto, un’altra mi ha chiesto se stessi bene, non riuscivo a fermarmi. All’improvviso iniziano ad arrivarmi tutti messaggi di condoglianze ma nessuna spiegazione. Non ho risposto a nessuno, ho risposto solo a un’amica scrivendole “ma che è successo?”. E lei mi ha detto “Milly, mi dispiace, ma se non sai niente non sono io a dovertelo dire”. Ho iniziato a chiamare chiunque ma nessuno riusciva a dirmi niente e dopo un po’ provo a chiamare Willy. Alle prime chiamate il telefono ancora squilla, poi dopo un po’ mi dice “telefono irraggiungibile”. Dentro di me capisco.
Era l’unica persona che non mi rispondeva, ma non potevo realizzare una cosa del genere. Scendo dalla stazione e a prendermi trovo una persona a me molto cara. In macchina continuo a fare domande ma la risposta resta sempre che una volta arrivata a casa avrei capito. Poi, arrivati a Paliano, non c’è stato bisogno di dire niente. Ora riesco a parlarne ma per tanto tempo è stato un blocco per me. Ci sono momenti di quel giorno che ancora oggi sono un vuoto.
C’è stato anche il tentativo di tratteggiare il luogo dell’omicidio come un posto pericoloso, come un luogo di perdizione fuori controllo perché si trova vicino la zona dei locali di Colleferro. Lo stesso vale per Artena, paese degli assassini, dipinto come un paese di delinquenti. Nei mesi successivi all’omicidio sono nate delle interpretazioni di quella violenza esplosa in pochi secondi. Si è cercato di capire l’origine della violenza di quella sera. A distanza di anni, tu che interpretazioni dai?
Il fatto che sia successo a Colleferro per me non è rilevante. Poteva accadere ovunque. Anche quando c'è stato quel periodo in cui dicevano che Artena era un luogo di banditi, non mi sembrava il caso neanche di scrivere una cosa del genere. Il male è ovunque. Su quello che è accaduto ho due possibilità: persone che sono cresciute con valori sbagliati, ovvero pensare che la violenza porta al potere e al rispetto, oppure persone con traumi e disagi. Se ti è stato sempre detto che con la violenza ottieni tutto quello che vuoi rischi di crescere in quel modo. Ci sono tanti tipi di violenza, probabilmente anche io e te abbiamo fatto violenza in qualche modo. Non lo abbiamo fatto con calci e pugni o andando in giro a terrorizzare la gente, ma ci saranno stati comunque dei comportamenti che hanno fatto del male agli altri.
E sicuro non è facile farci i conti. Magari a un certo punto ti accorgi del male che hai fatto, o della cura che non hai avuto.
Sì, riconosci la violenza, una volta riconosciuta provi a migliorare. Ed è segno di maturità, di stabilità emotiva. Le persone stabili emotivamente non sono le persone che non perdono il controllo, ma sono le persone che sono consapevoli della perdita del controllo poi si mettono in discussione e decidono di migliorare. Sicuramente mi è accaduto, penso prima o poi accada a tutti. Non siamo perfetti.
C’è anche chi ha parlato dell’omicidio di Willy come di un atto razzista. In realtà l’aggravante per motivi razziali non c’è in questa storia, non emerge neanche nella vicenda giudiziaria. Invece esiste una dinamica razziale, in strada, negli uffici, a lavoro, a scuola. Come hai letto questo aspetto?
Non ho mai pensato a una questione di razzismo. Col tempo i dubbi vengono: l’unico nero lì in mezzo era lui, ma questa resterà una domanda che non avrà una risposta. Solo loro possono rispondere, ma non credo che siano capaci di rispondere a questa domanda. Sull’aspetto del razzismo: non ho mai ricevuto atti di vero e proprio razzismo. Certo, viviamo in una società in cui l’apparenza sembra la chiave per leggere tutto. Per farti un esempio: in gruppo di ragazze bianche e bionde, magari io sono l’unica italiana del gruppo, eppure sarò io a non essere considerata italiana, anche se sono nata qui, anche se conosco perfettamente la lingua, non sarò riconosciuta come italiana.
Mentre gli italiani neri si sono riconosciuti in questa storia, ovviamente soprattutto la comunità capoverdiana. Come ricorda oggi Willy?
La comunità capoverdiana si è stretta a noi dall’inizio e non ci ha mai lasciati soli. Come famiglia abbiamo sempre frequentato la comunità a Roma, soprattutto con l’associazione Tra Noi che riunisce tante persone capoverdiane. La nostra infanzia l’abbiamo passata lì, andando spesso a eventi, spettacoli, cene e incontri. Anche gli ambasciatori sono stati molto vicini alla nostra famiglia. Anche il Presidente della Repubblica ci ha contattato più volte, è sempre stato molto presente. Ancora oggi organizzano momenti in ricordo di Willy.
Le pratiche per fare memoria sono diverse, ognuna fa degli esercizi differenti. Per esempio, un gruppo di amici e di ex colleghi di Willy ha scelto la cucina come forma di ricordo, altri ragazzi e altre ragazze hanno scelto di tatuarsi una W. Secondo te qual è il modo per continuare a coltivare memoria di questa storia?
Per me il modo migliore per continuare a tenere viva la memoria è parlare a scuola con i ragazzi. Soprattutto mia madre ci tiene a girare nelle scuole per trasmettere questa storia, si sente in dovere di lasciare un messaggio, di trasmettere dei valori, di parlare di non violenza. La scelta di fare ogni anno una cena di beneficenza in nome di Willy per me è un’idea bellissima. Stai ricordando una persona tramite la sua passione. Anzi, anche ragione di vita, perché per Willy la cucina era una ragione di vita. Così stai onorando la memoria di Willy.
Ma cucinava mai per te?
Saranno state dieci volte in tutto. Studiava molto, si esercitava a casa, a volte si metteva ai fornelli per fare la cena però per me al massimo ha fatto una pasta aglio, olio e peperoncino. Diciamo non ho assaggiato le sue specialità, non mi ha cucinato da ristorante, ma grazie a lui ho iniziato a mangiare i peperoni e le melanzane. Mi ingannava per farmi mangiare le verdure. Una volta le ha cucinate in una pasta buonissima. “Willy ma che sono quelle cose rosse?”. Mi ha risposto “mangia, mangia!”.
Quali erano i suoi piani per il futuro?
Andare via per un po’, andare fuori e fare esperienza. Voleva partire per la Francia, come prima esperienza all’estero voleva andare lì. Poi non so dove l’avrebbe portato la vita.