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Omicidio Marco Vannini

Caso Vannini, parla Federico Ciontoli: “Pronto a pagare ma non è andata come scritto dai giudici”

Abbiamo incontrato Federico Ciontoli, a pochi giorni dalla sentenza di Cassazione che dovrà decidere se è colpevole e deve andare in carcere. I giudici della Seconda Corte di Assise di Appello lo hanno condannato a 9 anni e 4 mesi di carcere per concorso anomalo in omicidio volontario per la morte di Marco Vannini.
A cura di Simona Berterame
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Il 3 maggio la Cassazione potrebbe mettere la parola fine su uno dei casi di cronaca che più ha mobilitato l'opinione pubblica: l’omicidio di Marco Vannini. Due processi e un annullamento con rinvio richiesto dai giudici di piazza Cavour. La vicenda la conosciamo ormai tutti. La sera del 17 maggio 2015 Marco è a casa della fidanzata Martina a Ladispoli, sul litorale romano. Insieme a loro è presente il padre della ragazza Antonio, la madre Maria, il fratello Federico e la fidanzata di quest'ultimo Viola. Il giovane viene colpito da un colpo d'arma da fuoco mentre si trova nella vasca da bagno. A sparare è il suocero Antonio Ciontoli, che poi si difenderà prima dichiarando che l'arma gli sarebbe scivolata fino a poi ammettere di aver premuto il grilletto "per gioco" pensando fosse scarica. Il ritardo nei soccorsi, calcolato dai giudici come pari a 110 minuti, ha avuto un ruolo fondamentale per la sorte di Marco morto a soli 20 anni. "Gli imputati hanno messo in atto depistamenti" come la pulizia delle superfici delle pistole e del bossolo, della pulitura delle tracce di sangue e soprattutto nel luogo dove asseritamente era avvenuto il ferimento del giovane' e sono state ripetute le menzogne rivolte per circa 110 minuti ai soccorritori sia prima del loro intervento che al momento e che dopo",  hanno scritto i giudici della Seconda Corte di Assise di Appello nelle motivazioni che hanno portato a quattro condanne: 14 anni ad Antonio Ciontoli per omicidio volontario con dolo eventuale e 9 anni e 4 mesi alla moglie e ai due figli per concorso anomalo in omicidio volontario.

Abbiamo incontrato Federico Ciontoli, a pochi giorni dalla sentenza di Cassazione che dovrà decidere sulla sua colpevolezza, aprendo eventualmente per lui le porte del carcere. All'epoca dell'omicidio aveva 23 anni mentre oggi, alla soglia dei 30, attende il giudizio degli ermellini.

L'attesa della sentenza di Cassazione

"Non voglio sfuggire alle mie responsabilità, se la Cassazione sceglierà che io debba andare in carcere, ci andrò perché è giusto che sia così". Dice senza batter ciglio Federico Ciontoli. E spiega poi perché ha deciso di esporsi pubblicamente a quasi 6 anni dall'omicidio, sia sui social che attraverso questa intervista, perché pur sostenendo di volersi assumere le proprie responsabilità ritiene che la verità giudiziaria scritta finora dai giudici non corrisponda al vero: "Il motivo per cui sto raccontando è semplicemente perché mi sembra tutto assurdo, penso che sia importante raccontare come sono andate veramente le cose".

Il rumore dello sparo

Come è stato possibile non riconoscere il rumore di un colpo di pistola all'interno della stessa casa? Questa è una delle principali domande che in tanti, giornalisti e non, si sono posti seguendo l'inchiesta e il dibattimento in aula, tra perizie e controperizie. Un rumore forte che è stato udito anche dai vicini. Federico si difende affermando che non si è trattato di uno sparo standard. "In condizioni normali probabilmente sarebbe stato diverso ma stiamo parlando di un'arma maltenuta e con all'interno proiettili dell'82. Quando c'è stato lo sparo io mi trovavo in camera mia con Viola. Stavamo vedendo un film sul letto, la porta era chiusa e quando ho sentito quel rumore non ero neanche sicuro che provenisse da casa mia. Mi sono deciso ad alzarmi quando ho sentito subito un vociare provenire dal bagno".

La maglietta di Marco

Una maglietta blu a maniche corte con scritto ‘Maiorca'. Marina e Valerio la cercano ormai da anni. "Che fine ha fatto e soprattutto perché è sparita?" ha ripetuto più volte in televisione la mamma di Marco dopo averla cercata ovunque, anche nella loro seconda casa in Sardegna. "Io non so i panni che Marco aveva a casa, io ti posso dire quello che ho vissuto quella sera e quando sono arrivato Marco non aveva vestiti perché chiaramente era in vasca. Se questa maglietta non c’è o non è a casa io non posso sapere il perché" replica Federico.

L'arrivo dei soccorritori

Un altro nodo cruciale della vicenda è l'arrivo dei soccorritori del 118 all'interno della villetta di Ladispoli. Marco è stato colpito da ormai circa un'ora eppure anche in quel frangente nessuno dice che si è trattato di uno sparo, nessuno replica al castello di bugie creato da Antonio. Il barelliere e l'infermiera nelle deposizioni in aula collocano l'intera famiglia all'interno dell'abitazione. Secondo le loro testimonianze erano tutti presenti quando il padre Antonio continuava a parlare di attacco di panico e di un "buchino" provocato da un pettine. Anche su questo punto, Federico si difende affermando che non era in casa quando sono arrivati gli operatori del 118. "Sono sceso insieme a Viola per fare cenno all'ambulanza che non trovava la nostra abitazione e poi mi sono accorto che la mia macchina si trovava davanti al cancello e sono andato a spostarla. Io al loro arrivo non ero in casa e non c'era neanche Viola. – spiega – Lo ha dichiarato anche mio padre, con lui c'erano solo mia madre e mia sorella".

Il rapporto con il padre

"Lui è giusto che paghi, è giusto che paghi perché la vita di una persona, Marco non c’è più e gli è stata strappata per una cazzata, per uno scherzo del cazzo". Federico non usa mezzi termini per rispondere alla  domanda "pensi che tuo padre debba andare in carcere?". Però aggiunge: "Non è giusto inventare una storia affinché paghi di più, non si può dire che c'è stato un clan. Io non sarei mai stato complice di mio padre nel far soffrire una persona, figuriamoci nel farla morire". E rivela di aver reagito malissimo quando il padre scelse di fare ricorso contro la condanna a 5 anni per omicidio colposo: "Non ci siamo parlati e visti per mesi, so che mio padre non voleva la morte di Marco ma presentare ricorso dopo quella condanna per me era assurdo e irrispettoso". Infine si rivolge ai genitori di Marco: "Io non so se loro riusciranno mai a perdonarmi per il fatto di non essere riuscito a salvare il loro figlio. Sono stato stupido, ingenuo, ho creduto alle bugie ma questo è quello che sono riuscito a fare quella sera".

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