Caldaie rotte a Rebibbia, il garante dopo la denuncia di Alemanno: “Situazione al limite, serve l’indulto”

I riscaldamenti del carcere di Rebibbia a Roma non funzionano. I detenuti soffrono il freddo e l'unica fonte di calore sono gli altri carcerati, con cui vivono sempre più attaccati a causa della situazione di terribile sovraffollamento che affligge tutte le ‘patrie galere' d'Italia. "Un problema che non si risolve in tempi brevi – commenta a Fanpage.it il garante dei diritti dei detenuti per il Lazio Stefano Anastasìa -. O meglio, si potrebbe fare se non ci fosse un tabù sulla soluzione dell'indulto".
Il gelo a Rebibbia: caldaie rotte anche per gli agenti della penitenziaria
La denuncia delle temperature glaciali a Rebibbia, dopo quella di quest'estate sul caldo infernale, arriva da Gianni Alemanno, ex sindaco della Capitale condannato a un anno e dieci mesi di reclusione per traffico d'influenze. "Stiamo morendo dal freddo. Siamo giunti al 23 novembre e i termosifoni sono completamente spenti, mentre nevica in tutta Italia e le temperature scendono anche a Roma", ha scritto in una lettera pubblicata ieri sulla sua pagina Facebook.
Uno sfogo che trova conferma nel garante dei detenuti Anastasìa: "Non so se a Rebibbia si poteva fare un collaudo prima per verificare che tutto fosse in ordine, visto che l’incidente è avvenuto fin dall’accensione del 15 novembre. Mi sto informando per capirlo. Speriamo sia tutto risolto in tempi brevi".
Il gelo non penetra le ossa solo dei detenuti, ma anche degli agenti della polizia penitenziaria. "L’impianto è condiviso sia dal carcere che dalla caserma adiacente. Se la caldaia ha un difetto, si blocca tutto il servizio", aggiunge.
A Rebibbia peggiora la situazione di sovraffollamento
Il guasto alle caldaie si può aggiuntare in tempi brevi, ma "il problema vero è il sovraffollamento", continua il garante per le carceri. La situazione nel penitenziario di Roma est è stata interessata anche dal crollo di una parte del soffitto avvenuto a Regina Coeli, per cui molti detenuti sono stati trasferiti in altri istituti del Lazio e non solo.
"L’ultimo dato che ho su Rebibbia, del 31 ottobre, è di 1621 persone – aggiunge Anastasìa -. È probabile che ora siano anche aumentate, perché con gli ingressi chiusi a Regina Coeli gli arrestati vengono portati qui. I posti regolamentari sono 1060: significa oltre seicento detenuti in più".
Una situazione al limite che va inserita nel quadro nazionale. "Oggi in Italia ci sono 16mila detenuti oltre la capienza regolamentare – sottolinea il garante -. Per queste persone in più si trova una sistemazione con le ‘terze brande', cioè letti a castello fino al terzo livello, e occupando le stanze di socialità". Questi luoghi, dotati di semplici tavoli da ping pong, scacchiere o biliardini, sono state trasformate in camerate.
"Sei brande disposte a caso lungo i muri, i materassi arrivati dopo qualche giorno, nessun armadietto per riporre le povere cose di ogni persona detenuta, niente TV, tutto appoggiato alla rinfusa sul tavolo centrale che un tempo serviva appunto per il pingpong", così li descrive Gianni Alemanno nella sua ultima lettera. "Qui dovrebbero passare il pomeriggio quando non ci sono attività – aggiunge Anastasìa – e, ormai in gran parte degli istituti del Lazio, il pomeriggio non ci sono più attività".
"Nelle carceri del Lazio non ci sono più attività pomeridiane"
Le attività sono scomparse, secondo quanto riporta il garante, per due motivi. Primo, una recente circolare del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria impone che qualunque attività con persone esterne debba essere autorizzata dal Ministero della Giustizia. "Ma la legge non lo prevede: dice chiaramente che è il magistrato di sorveglianza, previo parere del direttore, ad autorizzare", commenta il garante. Questa procedura sta rallentando di molto le pratiche necessarie a far svolgere ai detenuti attività di apprendimento, volontariato, imprenditoria. "Abbiamo criticato molto questa circolare: noi garanti, i magistrati di sorveglianza, tutte le associazioni che lavorano negli istituti".
La seconda motivazione è di carattere strutturale: la carenza di personale della Polizia Penitenziaria. "Nel pomeriggio non ci sono abbastanza agenti per supervisionare le attività. Anche quando le associazioni ci sono, le attività non si possono fare – continua il garante per le carceri -. I detenuti potrebbero uscire per partecipare alle attività o per andare nelle sale socialità: ma le attività non si fanno e le sale socialità sono piene di letti. Risultato: oltre le quattro ore d'aria, restano chiusi in cella".
"Con il sovraffollamento è più difficile evitare suicidi"
Il problema del sovraffollamento è grave, ma secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, non è legato a un altro dramma delle carceri italiane: i suicidi. "Paradossalmente il sovraffollamento è una forma di controllo: alcuni tentativi di suicidio sono stati sventati proprio dai compagni di cella", ha detto a luglio 2025. "Presto dirà che aiuta anche a combattere il freddo perché, accatastati gli uni sugli altri, ci riscaldiamo tra di noi", lo attacca nella sua lettera Alemanno.
Lo contraddice anche, soprattutto alla luce dei nuovi dati, Stefano Anastasìa: "Chi vuole suicidarsi ci riesce anche in una cella con altre cinque o sei persone: basta aspettare che gli altri vadano all’aria, o dormano, o siano distratti. I suicidi avvengono non solo nelle celle singole o in isolamento. Il ministro dovrebbe saperlo, o farselo spiegare".
I due fenomeni sono invece, secondo il garante dei detenuti del Lazio, strettamente collegati. "Il vero problema del sovraffollamento, che il ministro dovrebbe considerare, è che non significa solo mancanza di spazio, ma anche mancanza di personale e di cura. Polizia penitenziaria, educatori, sanitari e psicologi sono commisurati alla capienza regolamentare, non alle presenze reali. Se a Rebibbia ci sono seicento persone in più di cui occuparsi, è più facile perdere di vista qualcuno. È più facile che nessuno riesca a rispondere a una richiesta di aiuto. Questo aumenta il rischio suicidario".
Le soluzioni contro il sovraffollamento delle carceri: "Serve l'indulto"
Come contrastare un fenomeno che non sembra far altro che peggiorare? Il governo di Giorgia Meloni ha varato un programma di edilizia per le carceri che punta ad aumentare di diecimila unità i posti entro il 2027. Un progetto che, però, non convince il garante Anastasìa: "Innanzitutto negli ultimi tre anni la capienza è diminuita, non aumentata. Poi, la scorsa settimana il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro ha inaugurato un padiglione a Civitavecchia, aperto in fretta per l’emergenza di Regina Coeli e finanziato con i fondi PNRR. Fa parte del piano edilizio del governo, ma quello è un progetto del 2010, del governo Berlusconi. È stato inaugurato 15 anni dopo. Solo perché i fondi PNRR impongono di spenderli entro l’anno prossimo. Questo significa che i nuovi padiglioni, se tutto va bene, produrranno risultati nel 2030, 2035, 2040. Nel frattempo, le persone che oggi stanno in carcere cosa dovrebbero fare?", si chiede il garante dei detenuti.
"L’unica risposta efficace e immediata è un provvedimento generale di clemenza: amnistia o indulto", aggiunge Anastasìa. Un'ipotesi che, però, non viene considerata "per una chiusura politica, soprattutto nelle forze di maggioranza, che hanno sposato il populismo penale – aggiunge -. Puntano a ottenere consenso con la repressione e quindi non vogliono dare all’opinione pubblica un segnale percepito come ‘lassista'. Ma un provvedimento che punti a svuotare gli istituti sarebbe ben accolto non solo dalle persone detenute, che vivono condizioni indegne, ma anche dal personale che lavora in condizioni impossibili".