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Opinioni

Professor Monti, per il bene dell’Italia riformi la cultura

Mario Monti si appresta ad annunciare la terza manovra correttiva del 2011: c’è da augurarsi che stavolta si gettino le basi per riforme strutturali anche a livello culturale. O sarà uno sforzo vano.
A cura di Luca Spoldi
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Mario Monti

Ancora un paio di giorni di attesa e la “suspence” cesserà, quando il governo Monti presenterà in Parlamento (e seguendo un “rito” berlusconiano che molti esponenti dell’ancien regime trovano ora scandaloso illustrato anche in una trasmissione televisiva nazional-popolare) la nuova manovra correttiva (la terza da inizio anno e questa la dice lunga sull’inconsistenza delle misure precedentemente “adottate”) che come le sue sorelle ha visto il proprio importo stimato lievitare come una forma di pane nel forno e dagli iniziali 15-18 miliardi sembra destinata ad arrivare a 25 miliardi.

Sapete qual è il problema di fondo, che mina la credibilità dell’Italia agli occhi dei mercati e la possibilità di una ripresa dell’economia su basi durature? E’ un problema culturale, è la grassa ignoranza in fatto di economia dei nove decimi degli italiani, governanti compresi a tutti i livelli (come si dice a Napoli del resto, “il pesce puzza dalla testa”). Non ne siete convinti, pensate che i problemi “siano altro”? Riflettete con me: delle ultime manovre, quanto avete capito personalmente? Io che di mestiere debbo analizzare numeri e dati ci ho mediamente capito pochissimo e ho mediamente avuto pochissimi per non dire nessun riscontro sugli effetti concreti di ogni singolo provvedimento. Ho solo visto una pioggia di provvedimenti, a volte tra loro contraddittori, sparati all’impazzata per coprire falle sempre più gravi nei conti pubblici senza toccare la struttura dei problemi e ho visto poi i risultati complessivi e lordi, ossia l’andamento delle entrate e del deficit.

Il risultano non è stato incoraggiante, visto che nonostante un continuo aumento della pressione fiscale e delle entrate relative, il deficit resta più simile al virus del raffreddore, viene e va come vuole lui più che come desidererebbe un governo, mentre il debito è ormai salito a 1,2 volte il Prodotto interno lordo (ossia se anche tutti quanti noi decidessimo di utilizzare l’intera produzione di un anno di lavoro non per vivere ma per ripagare i debiti pregressi, non basterebbe… e nel frattempo tutti coloro che non avessero avuto imponenti risparmi da “consumare” in qualche modo sarebbero morti di fame dopo poche settimane).

Ma il problema non è solo la scarsa comprensione dei provvedimenti e dei loro effetti o se volete la scarsa trasparenza degli stessi: il problema è una concezione dell’economia che è frutto di un mix della dottrina sociale della Chiesa e del retaggio marxista/socialista, il che produce un tono di fondo anticapitalista della cultura italiana, il che al di là del giudizio morale che si possa darne è un problema oggettivo per un paese che vive in un mondo capitalista. Non solo: l’Italia è sempre più un paese di vecchi (e lo sarà sempre di più a giudicare dalle previsioni demografiche da qui al 2051 elaborate dall’Istat un paio di anni fa) che ragiona in modo vecchio e tutela interessi vecchi. Si guarda e si tutela il passato, non si riesce a gestire il presente, non si immagina il futuro.

Pensate alle polemiche di questi giorni: si dice (non senza ragione) che non sia giusto toccare le pensioni e che sia scandaloso introdurre una patrimoniale. Ma le pensioni sono frutto di azioni passate (sono legate vuoi alle retribuzioni vuoi ai contributi accumulati in una vita, passata, di lavoro), così come buona parte degli immobili (che spesso sono stati acquistati nel corso degli anni, quando non sono stati lasciati in eredità). In entrambi i casi si potrebbero riscrivere le regole per le future pensioni, si potrebbero prevedere tassazioni che risparmiano le case nuove e colpiscono solo gli immobili esistenti ad una certa data (così da non penalizzare l'intero mercato immobiliare ma solo cespiti che si presume abbiano iniziato a fruttare delle rendite). Si potrebbe insomma decidere di non penalizzare l'oggi e il domani e chiedere in cambio un maggiore contributo a ieri (fatto salvo ogni altro distinguo per censo e per sesso che si voglia introdurre o mantenere).

Ben pochi invece si lamentano del fatto che i giovani scontino tassi di disoccupazione stellari, con un ragazzo su tre (tra coloro che cercano attivamente lavoro) che resta a spasso e contributi non ne può iniziare ad accumulare in alcun modo, né sostentamento per sé (e infatti resta sempre più spesso a casa dei genitori sino ai suoi trent’anni). Ben pochi si lamentano del fatto che i giovani non riescano a comprarsi la prima casa (perché le banche sono molto restie a fare prestiti a chi non dispone di un reddito certo, prima ancora che garanzie patrimoniali), ben pochi si lamentano che le aziende in Italia assumano (in forma stabile) sempre meno, tutti essendo impegnati a gridare allo scandalo dei licenziamenti facili (che di nuovo toccano chi già lavora chi già ha iniziato ad accumulare patrimonio e contributi, chi insomma ha iniziato a far parte oltre che del presente anche del passato, per quanto recente). Ben pochi si lamentano del fatto che in Italia i servizi e le infrastrutture siano arretrate come e a volte più che nell’ex “terzo mondo”.

Eppure è gestendo il presente e investendo nel futuro che un sistema può garantirsi la sopravvivenza. Eppure è guardando avanti e non indietro che si può seguire una qualsivoglia rotta. Eppure dovrebbe essere a tutti chiaro che limitarsi a tutelare “al meglio” (si fa per dire) rendite di posizioni, diritti acquisiti o presunti tali, interessi pregressi, non ci ha evitato di veder depauperato il nostro apparato produttivo, non ci ha evitato di veder un flusso crescente di giovani “cervelli” scegliere di andare a lavorare e vivere all’estero. L’attuale cultura italiana ha generato un sistema di selezione negativa, per cui resta (e in qualche modo prospera) solo chi non ha “i numeri” per andarsene, per confrontarsi col mondo, per trovare commesse e clienti in Europa, Asia o America, chi è “amico” del potente di turno.

Se la manovra che Mario Monti si prepara a varare oltre che “sacrifici” saprà imporre agli italiani un nuovo modello culturale, saprà fornire i primi elementi per spezzare catene ormai insopportabili, per stroncare il sistematico ricorso alla corruzione e al clientelismo e rilanciare l’imprenditoria italiana a tutti i livelli, per favorire il rafforzamento delle nostre imprese, dargli la possibilità di tornare competitive all’estero, saprà premiare i migliori in tutti i campi, riequilibrare e ridurre l’imposizione fiscale su reddito da impresa e da lavoro, allora questo paese avrà un futuro. Se gli interessi di mille lobbies, cricche e corporazioni, se le paure di tante persone, se l’ignoranza di molte altre, prevarranno, allora i sacrifici di oggi rimarranno (anche se qualcuno ne sopporterà meno di altri) senza che per questo si possa sperare in benefici futuri.

Non mi attendo una rivoluzione culturale in pochi giorni dopo vent’anni di “Berlusconomic”, non prevedo che chi ha sostenuto i vari governi guidati da Berlusconi, D’Alema o Prodi improvvisamente avvalli con entusiasmo misure che dovrebbero anzitutto disfare buona parte del lavoro fatto da tali esecutivi e danneggiare dunque gli interessi delle caste che li hanno sostenuti e ne hanno beneficiato. Ma un piccolo rinsavimento e la consapevolezza che ormai rinviare riforme strutturali equivale a lasciare andare a fondo la nave, sapendo che non ci saranno scialuppe per tutti.

Come dice un mio collega, "andrà molto peggio prima che inizi ad andare meglio" ed io aggiungo "speriamo": il professor Monti è certamente uno degli alfieri di una cultura economica (e sociale) al passo coi tempi, in grado di gestire l'oggi e costruire le condizioni per avere un domani. Lo ha fatto per anni come accademico oltre che come politico (quale è a tutti gli effetti ogni Commissario Ue). Speriamo sia in condizioni di farlo anche ora e non ceda ai mille condizionamenti e pressioni che sembrano già venire esercitati da fuori (e forse da dentro) al suo esecutivo.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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