Via libera al Protocollo del lavoro contro l’emergenza caldo: ecco cosa prevede

Il cambiamento climatico non è più una minaccia lontana: le ondate di calore, sempre più frequenti e intense, hanno trasformato ormai da tempo anche le condizioni in cui si lavora, soprattutto nei settori più esposti come l'edilizia, l'agricoltura, la logistica e i servizi all'aperto. Di fronte a questo scenario, è stato firmato, presso il ministero del Lavoro, un nuovo Protocollo nazionale condiviso sulle condizioni climatiche estreme, promosso dalle parti sociali con il coinvolgimento delle istituzioni. L'obiettivo appare chiaro: garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori, adattando l'organizzazione del lavoro all'impatto crescente del caldo estremo, senza compromettere la continuità produttiva. Il Protocollo verrà formalmente recepito dal ministero tramite decreto e sarà applicato a livello territoriale attraverso specifici accordi tra sindacati e associazioni datoriali; si tratta di un intervento articolato e strutturale che introduce misure operative concrete, dalla Cassa integrazione automatica in caso di sospensioni, alla riorganizzazione di turni e orari, fino alla valutazione del rischio microclimatico nei Piani di sicurezza, con l'intento dichiarato di prevenire infortuni, malattie professionali e situazioni di malessere nei contesti lavorativi.
Il nodo centrale: la Cassa Integrazione automatica e senza penalizzazioni
Uno dei punti cardine del documento riguarda l'utilizzo esteso e automatico degli ammortizzatori sociali, in particolare della Cassa integrazione ordinaria (CIGO), per tutte le ipotesi di sospensione o riduzione dell'orario di lavoro causate da eventi climatici estremi. Una misura che si applica anche al lavoro stagionale, molto presente nei settori agricolo, turistico e dell'edilizia. Le ore di cassa integrazione richieste in questi casi non verranno conteggiate nel monte ore massimo previsto per legge, riconoscendo così il carattere straordinario ed "oggettivamente non evitabile" dell'interruzione. Un altro punto importante riguarderebbe le imprese: non saranno ritenute responsabili per i ritardi nelle consegne legati a fermi produttivi causati dal caldo estremo, purché l'interruzione sia giustificata da ordinanze o protocolli ufficiali.
Le quattro direttrici d'intervento: informazione, sorveglianza, protezione, orari
Il Protocollo individua poi quattro aree prioritarie di intervento per rafforzare la prevenzione e la protezione nei luoghi di lavoro:
- Informazione e formazione: i lavoratori devono essere adeguatamente informati sui rischi legati al caldo e sulle misure di prevenzione. La formazione deve diventare un pilastro dell’organizzazione, in grado di accrescere la consapevolezza individuale e collettiva.
- Sorveglianza sanitaria: occorre rafforzare il monitoraggio della salute dei lavoratori, con particolare attenzione alle condizioni di rischio aggravate da patologie pregresse o da attività fisicamente impegnative.
- Abbigliamento e dispositivi di protezione individuale (DPI): i cosiddetti DPI devono essere adeguati alla stagione in corso, traspiranti, leggeri e capaci di proteggere dal sole e dal caldo. Il vestiario deve diventare uno strumento attivo di tutela.
- Riorganizzazione di turni e orari di lavoro: sarà possibile anticipare o posticipare l’inizio delle lavorazioni, introdurre pause supplementari, ridurre i turni nelle ore più calde, e prevedere aree d’ombra o di ristoro climatizzate.
Valutazione del rischio: il microclima nei Piani di sicurezza
Il Protocollo sottolinea l'importanza di una valutazione del rischio climatico all'interno dei Piani di Sicurezza e Coordinamento (PSC), obbligatori nei cantieri e in molti altri contesti lavorativi; nella valutazione devono essere inclusi i rischi derivanti dal microclima, prevedendo misure concrete di prevenzione, come la presenza di aree ombreggiate, la fornitura di bevande, l'interruzione temporanea delle lavorazioni durante i picchi di calore. Anche le imprese in appalto sono tenute a inserire queste valutazioni nei loro Piani Operativi di Sicurezza (POS), dimostrando attenzione alla stagionalità, alla possibilità di pause e alla flessibilità negli orari.
L'allerta caldo e l'obbligo del monitoraggio meteorologico
Un passaggio fondamentale riguarda poi l'obbligo, per i datori di lavoro, di monitorare costantemente le previsioni meteorologiche. In assenza di una soglia di temperatura universalmente valida, il datore deve fare riferimento al bollettino ufficiale pubblicato sul sito del ministero della Salute (www.salute.gov.it/caldo) e attivare tutte le misure di prevenzione previste quando scatta l'allerta per la propria area geografica: questo strumento diventa così il riferimento formale per avviare in modo tempestivo le tutele, incluse la sospensione delle attività o la modifica degli orari.
Il ruolo delle istituzioni: accompagnare le imprese e sostenere i lavoratori
Il ministero del Lavoro si impegnerebbe poi anche a supportare le imprese nella rimodulazione degli orari, aiutandole a interpretare e applicare correttamente il Protocollo, anche attraverso la qualificazione delle ordinanze come strumenti giustificativi delle interruzioni; un modo per evitare che le imprese virtuose, che fermano i lavori per garantire la sicurezza, siano penalizzate nei contratti o nelle gare pubbliche. Allo stesso tempo, il governo riconoscerebbe poi anche la necessità di interventi mirati di tutela per i lavoratori, non solo in fase emergenziale ma anche in una prospettiva strutturale e preventiva, aggiornando periodicamente il Protocollo con il contributo delle parti sociali.
Una misura anche per studenti e tirocinanti
Non solo lavoratori dipendenti: il Protocollo estende l’applicazione delle tutele anche agli studenti in tirocinio, spesso impegnati in attività pratiche in ambienti non climatizzati o all’aperto. Anche per loro valgono le regole di sorveglianza, informazione, protezione e adattamento degli orari.
Le richieste dei sindacati: tracciabilità degli infortuni da caldo e valore soglia per legge
Le confederazioni sindacali Cgil e Uil chiedono di fare un passo ulteriore: per Francesca Re David (Cgil) occorre uscire dalla logica emergenziale e fissare per legge una soglia termica precisa, oltre la quale scattino automaticamente le misure di sospensione o rimodulazione dell’attività lavorativa. Anche le ordinanze delle Regioni devono essere valorizzate come strumenti normativi efficaci. Ivana Veronese (Uil) chiede all'Inail di classificare e registrare formalmente gli infortuni legati al caldo come tali, così da rendere il rischio tracciabile e affrontabile in modo sistemico nei programmi di prevenzione.