“Vai a cucinare e poi a tr…”: la sottosegretaria Siracusano legge gli insulti sessisti ricevuti sui social

"Vai a cucinare e poi a tr…", "Povera donna, lecca lecca", "L'unica cosa chiusa è il tuo cervello". Sono frasi che non dovrebbero esistere, e invece arrivano quotidianamente sul telefono di Matilde Siracusano, sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento. In un video pubblicato sui social, Siracusano ha scelto di leggere a voce alta alcuni dei messaggi che riceve, mostrando senza filtri il linguaggio del sessismo violento che circola sotto ogni post, ogni intervento pubblico, ogni immagine condivisa. "Questi sono alcuni dei commenti che ricevo ogni giorno", ha spiegato, "È inaccettabile. Ma che schifo è? Non vi vergognate?". Nel video, la sottosegretaria annuncia anche che presenterà denuncia: "Io ho le spalle larghe, ma ci sono ragazze che soffrono enormemente per questo schifo gratuito. Il mio consiglio è uno solo: denunciate". Un gesto, il suo, che va oltre la reazione personale e diventa una presa di posizione pubblica contro una forma di violenza ancora troppo tollerata.
Le altre voci: Salis e Cavanna
La denuncia di Siracusano arriva a pochi giorni da quella di Silvia Salis, sindaca di Genova, che durante una seduta del Consiglio comunale ha letto ad alta voce gli insulti sessisti ricevuti sui social. È successo nel corso di un dibattito sull'introduzione dell'educazione sessuo-affettiva nelle scuole, tema che la stessa sindaca considera cruciale: "Un uomo mi ha scritto: ‘Sei proprio una gran putt***', ha detto Salis davanti all'aula. "Per lui è normale. Non mi ha detto ‘incapace', come si direbbe a un uomo, ma putt***, perché alle donne si dice così. E questo dobbiamo ricordarcelo". Le sue parole hanno riportato la questione alla radice culturale del problema: "Viviamo in una società che normalizza la violenza, che sessualizza le donne e giustifica la mancanza di rispetto. È per questo che serve l'educazione affettiva e sessuale nelle scuole. Per insegnare ai ragazzi a riconoscere i confini, a rispettare le persone, a capire cosa significa consenso".
Nei giorni scorsi episodi simili hanno coinvolto anche altre figure femminili della politica italiana, come Alessandra Todde, presidente della Regione Sardegna, travolta anche lei da una valanga di insulti sessisti e violenti sotto i suoi post social: commenti in cui non si discute delle sue scelte amministrative, ma si attacca la sua persona con parole degradanti e volgari — "pu***na, bugiarda, scrofa, mafiosa" — offese che mirano a ridicolizzare, delegittimare e oggettificare.
Qualche mese prima era stata Silvia Cavanna, allora candidata del Partito Democratico al Comune di Genova, oggi attivista di Possibile, a denunciare pubblicamente un'ondata di insulti. In un video mostrava anche lei i messaggi ricevuti: "Dovevo restare in cucina o farmi delle sane scop****, invece di parlare", leggeva con voce ferma. Poi aggiungeva: "La maggior parte di questi commenti arriva da uomini ‘normali', con foto insieme a figlie o nipotine. Persone che probabilmente, per strada, non mi direbbero mai una cosa del genere. Ma dietro uno schermo tutto diventa lecito". Cavanna concludeva ricordando che anche le parole possono essere una forma di violenza, e che ignorare il problema significa esserne complici.
Una svolta nella legge, ma la cultura è ancora ferma
Queste denunce arrivano in giorni in cui la politica italiana compie un passo importante sul piano normativo. La Commissione Giustizia della Camera ha infatti approvato all'unanimità una modifica all'articolo 609-bis del Codice penale, quello che disciplina la violenza sessuale. La nuova formulazione chiarisce che se non c'è un "consenso libero e attuale", non si tratta di un rapporto sessuale, ma di stupro. Un principio già adottato in molti Paesi europei, che segna un cambiamento profondo: non è più la vittima a dover dimostrare di essersi opposta, ma chi agisce a dover garantire che ci fosse un consenso reale. L'approvazione unanime — sostenuta trasversalmente da maggioranza e opposizione, dopo un confronto tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein — rappresenta un risultato davvero raro in questa stagione politica. Ma, come mostrano le denunce di Siracusano, Todde, Salis e Cavanna, la distanza tra la legge e la vita quotidiana resta ancora ampia.
Le storie di queste politiche, diverse per appartenenza e percorso personale, disegnano un filo rosso che attraversa ancora il nostro Paese, luogo in cui l'odio sessista continua a essere un linguaggio accettato, abituale, che colpisce le donne non per ciò che dicono, ma per il semplice fatto di parlare. Mentre la politica compie piccoli passi avanti sul terreno legislativo, il fronte culturale resta ancora profondamente fragile. La violenza non si manifesta solo nei tribunali o nelle cronache dei femminicidi: si nasconde nei commenti sui social, nelle battute di scherno, nelle parole che riducono e umiliano.
Le donne che oggi denunciano non chiedono solo giustizia, ma un cambiamento che cominci dall'educazione: un'educazione che parta dalle scuole, che affronti il tema dell'affettività, del rispetto dei corpi e delle differenze: perché il rispetto, il consenso, la libertà e la dignità non sono concetti astratti, ma comportamenti che si imparano presto, da bambini e da bambine, molto prima di diventare leggi.