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UNRWA a Fanpage: “A Gaza abbiamo raggiunto il punto di non ritorno per la nostra umanità”

Mentre Israele si prepara a una nuova offensiva su Gaza, l’UNRWA denuncia una crisi umanitaria senza precedenti: gli aiuti sono bloccati da mesi e la loro distribuzione rischia ora di essere privatizzata sotto il controllo militare israeliano. In un’intervista a Fanpage, Juliette Touma lancia un appello: “Siamo al punto di non ritorno della nostra umanità”.
Intervista a Juliette Touma
Direttrice della comunicazione dell'Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa)
A cura di Francesca Moriero
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Mentre Israele annuncia quella che definisce la "fase finale" della sua offensiva, la Striscia di Gaza è sull'orlo del collasso. Benjamin Netanyahu ha parlato di una nuova intensificazione della guerra, a diciotto mesi dall'inizio dell'invasione lanciata il 7 ottobre 2023. Un video diffuso sui social ha anticipato il richiamo di migliaia di riservisti israeliani e promesso che l'esercito andrà avanti fino al "traguardo", con un'escalation che, nei fatti, si traduce in bombardamenti continui, deportazioni forzate verso sud, e una possibile occupazione militare permanente. Le parole del premier israeliano non lasciano spazio a interpretazioni: non si tratta più di operazioni militari isolate, ma di un controllo diretto e duraturo sulla Striscia. E mentre l'esercito avanza, la diplomazia internazionale sembra saper dire ancora molto poco. L'amministrazione Trump, in visita in Medio Oriente dal 13 al 16 maggio, non ha posto finora alcun freno all'agenda israeliana, lasciando campo libero a Tel Aviv. Nel frattempo, anche l'accesso agli aiuti umanitari è diventato un terreno di battaglia. Dopo mesi di blocco totale, Israele ha proposto di riaprire con criteri che, di fatto, privano però gli aiuti della loro natura indipendente e neutrale: sessanta camion al giorno, distribuzione consentita solo nei campi, solo a chi si registra secondo le regole imposte dall'Idf, e affidata a operatori privati sotto supervisione militare. Le agenzie delle Nazioni Unite e il coordinamento internazionale per gli aiuti d'emergenza hanno già definito questa impostazione una violazione dei principi fondamentali dell'azione umanitaria, denunciando il tentativo di trasformare i beni essenziali in strumenti di controllo.

È in questo contesto che Fanpage.it ha intervistato Juliette Touma, direttrice della comunicazione dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), che ha raccontato delle condizioni estreme della popolazione, delle responsabilità politiche e dell'erosione, ormai quasi totale, del diritto internazionale nella Striscia.

Alla luce delle recenti dichiarazioni del governo israeliano e del piano del premier Netanyahu, cosa pensa che accadrà ora a Gaza?

Il territorio di Gaza è distrutto, la popolazione è stremata e da ottobre gli aiuti umanitari sono stati a malapena autorizzati. Prima del 7 ottobre 2023 Gaza era sottoposta a un blocco. Ora, invece, assistiamo a un assedio perché non entra nulla e a nessuno è permesso di uscire. È assolutamente il momento di porre fine a questa guerra. Una guerra che ormai va avanti da oltre un anno e mezzo. Ci deve essere un cessate il fuoco. Devono essere liberati tutti gli ostaggi trattenuti a Gaza. È necessario ristabilire un flusso regolare di aiuti umanitari, ma anche di forniture commerciali per il mercato. È il momento del coraggio, è il momento della pace, ed è il momento di salvare ciò che resta della nostra umanità.

A proposito di aiuti umanitari: Israele parla di "privatizzazione", che cosa significa concretamente per voi?

Noi abbiamo una posizione chiara, condivisa in tutto il sistema delle Nazioni Unite: siamo contrari alla cosiddetta privatizzazione degli aiuti. Lavoriamo all'interno dell'ONU e della comunità umanitaria nel rispetto dei principi umanitari, e forniamo assistenza a chi ne ha più bisogno. Questa è e resterà la nostra posizione. Per noi è fondamentale raggiungere ogni persona in stato di necessità, ovunque si trovi, chiunque essa sia. Civili, ovviamente.

Da gennaio l'Unrwa è però stata ufficialmente bandita da Israele, e ai gruppi israeliani è vietato collaborarvi. Qual è stato finora l'impatto di questa misura?

A Gaza nessun posto è sicuro. Continuiamo però a operare nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania grazie al nostro personale locale palestinese, che ha tenuto duro ed è in prima linea nell'offrire assistenza e servizi. Per esempio, nei territori occupati della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, le nostre scuole restano aperte per circa 50mila bambini e bambine. A Gaza forniamo ancora aiuti umanitari, quel poco che resta, poiché non entra quasi nulla da oltre due mesi. Abbiamo anche squadre sanitarie operative. L'impatto più grande, però, è l'impossibilità per tutto il personale internazionale di ottenere visti.

Questo significa non poter accedere ai territori occupati?

Si, ci impedisce di accedere ai Territori palestinesi occupati. Inoltre, le autorità israeliane, l'esercito, il governo, hanno vietato ogni tipo di contatto o coordinamento con noi.

Cosa dovrebbe fare oggi la comunità internazionale, sia a livello politico che umanitario?

Come funzionaria dell'ONU non spetta a me dire agli Stati membri cosa devono fare. Ma posso citare il nostro Segretario Generale, che pochi giorni fa si è rivolto al Consiglio di Sicurezza dell'ONU dicendo chiaramente: è tempo di agire.
Le parole di solidarietà sono importanti, ma ora è il momento dei fatti. E io credo che gli Stati sappiano molto bene che cosa bisogna fare.

Gaza ha raggiunto un punto di non ritorno, secondo lei? 

Abbiamo già raggiunto il punto di non ritorno per la nostra umanità. Per salvare ciò che resta della nostra umanità, dopo un anno e mezzo di una delle guerre più brutali della storia recente, bisogna fare molto di più, di ciò che è stato fin'ora fatto, per fermare questa guerra.

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