“Torniamo all’immunità parlamentare”: parte la proposta di legge popolare, quali partiti sono a favore

Una proposta che potrebbe essere destinata a far discutere, quella depositata in Cassazione dai Radicali italiani, la fondazione Luigi Einaudi di Roma, e altri soggetti e enti civici che la sostengono: una proposta di legge popolare che, se approvata da Camera e Senato, farebbe tornare in vigore l'immunità parlamentare nella forma cancellata nel 1993. Per il momento la raccolta firme è appena iniziata, ma tra i partiti della maggioranza già mesi fa erano arrivati dei segnali di sostegno, soprattutto da Forza Italia e dalla Lega.
Cos'è l'immunità parlamentare e come funziona oggi
L'immunità parlamentare era prevista dalla Costituzione, all'articolo 68. Prima del 1993, questo articolo affermava che "senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale", quindi indagato.
E, sempre senza permesso, non può essere sottoposto a perquisizioni, messo in stato di fermo, né arrestato o messo in carcere in caso di condanna, anche definitiva. Tutti gli aspetti dei procedimenti penali nei confronti dei parlamentari, dalle indagini all'esecuzione della condanna, erano quindi rimesse al voto della Camera o del Senato, con la cosiddetta "autorizzazione a procedere".
Nel 1993, nel periodo dell'inchiesta Mani pulite, le cose cambiarono. Con una riforma, l'articolo 68 della Costituzione diventò quello che conosciamo oggi. L'autorizzazione serve ancora per le perquisizioni, la messa in stato di fermo e le intercettazioni. In caso di condanna, invece, questa prerogativa salta del tutto. Così come non serve più un voto per dare il via libera alle indagini.
Cosa prevede la proposta di legge per reintrodurre l'immunità
La proposta di legge popolare, che si può consultare sul sito della fondazione Einaudi, ha un'ampia premessa ma è composta da un solo articolo: cancellare l'attuale articolo 68 della Costituzione, e sostituirlo con la vecchia formulazione. Tornare completamente alle norme pre-1993 e pre-Mani pulite, dunque.
Si tratterebbe di una riforma costituzionale. Perciò non solo servirebbe un iter decisamente lungo, con doppia conferma di Camera e Senato, ma con tutta probabilità si finirebbe anche a votare in un referendum dedicato al tema, se la maggioranza decidesse di insistere sulla questione.
L'obiettivo è raggiungere le 50mila firme che porterebbe la proposta in Parlamento. A quel punto, comunque, non ci sarebbe nessun obbligo della Camera o del Senato di esaminarle: è sempre possibile che le pdl di iniziativa popolare finiscano nel cassetto una volta arrivate a Palazzo Madama o a Montecitorio.
"La classe politica di allora per pura vigliaccheria abrogò l'immunità parlamentare nella speranza di sedare la bestia dell'antipolitica e le procure di Mani pulite. Naturalmente non ottenendo né l'una né l'altra cosa", ha commentato il segretario della fondazione, Andrea Cangini, senatore di Forza Italia nella scorsa legislatura (poi ricandidato con Azione, ma non rieletto, nel 2022). Giuseppe Benedetto, presidente della fondazione, ha insistito che questa riforma servirebbe perché c'è "la necessità di un riequilibrio tra i poteri dello Stato".
Come si sono schierati i partiti
In questo caso, però, già negli scorsi mesi alcuni esponenti della maggioranza avevano mostrato interesse. A febbraio il segretario di Forza Italia e vicepremier, Antonio Tajani, aveva dichiarato: "Non ne abbiamo parlato ma potrebbe essere un'idea, io personalmente non sono contrario". Il capogruppo forzista in commissione Giustizia alla Camera, Tommaso Calderone, aveva detto che che il "tabù" dell'immunità parlamentare andava superato.
Nella Lega, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari aveva affermato che si trattava di un'iniziativa "che merita di essere approfondita senza connotazioni di partito", invitando il Parlamento a "valutare il percorso migliore per riequilibrare i poteri". Non un appoggio aperto, ma nemmeno una chiusura.
Più freddo era sembrato Fratelli d'Italia: il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Alberto Balboni, aveva chiarito che non vedeva "ragioni per modificare l'articolo 68". Il partito aveva sottolineato che non era "una priorità" e non rientrava nel programma di governo.
Tra le opposizioni, come prevedibile, l'opposizione più netta era arrivata da Pd, Movimento 5 stelle (Giuseppe Conte aveva parlato di "deilirio di onnipotenza") e Alleanza Verdi-Sinistra. Non si era posizionato pubblicamente Azione di Carlo Calenda, che però in passato ha condiviso altre iniziative con la fondazione Einaudi.