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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Secondo l’Onu a Gaza 300mila bambini rischiano di morire per malnutrizione acuta

Da ormai quasi due anni la crisi umanitaria a Gaza ha raggiunto livelli catastrofici: oltre 300mila bambini sono in condizioni di malnutrizione acuta, mentre l’accesso al cibo, all’acqua e ai soccorsi continua a essere ostacolato dal blocco di Israele e dai bombardamenti incessanti delle IDF.
A cura di Francesca Moriero
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AP Photo/Jehad Alshrafi
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Non è la prima volta che le Nazioni Unite parlano di fame a Gaza, ma questa volta le parole hanno il peso di una condanna globale: l'Ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha definito infatti "un punto di non ritorno" il superamento della soglia di cento bambini morti "solo" di malnutrizione da ottobre 2023. Le autorità sanitarie palestinesi parlano di 222 vittime per fame in totale, di cui più della metà minori. Le strade di Gaza raccontano la stessa storia: volti scavati, corpi smunti, madri che stringono figli troppo leggeri per la loro età. I bambini hanno occhi enormi, non per curiosità ma per la sproporzione tra la testa e il corpicino ormai consumato. Alcuni non riescono più a piangere: il pianto richiede energie che non hanno.

Nel frattempo, il Programma Alimentare Mondiale avverte che 300mila bambini sono oggi in condizione di malnutrizione acuta, mentre un terzo della popolazione non mangia per giorni interi. La fame non è una conseguenza collaterale della guerra, ma una strategia deliberata, resa possibile dal blocco imposto da Israele, dalla sistematica distruzione delle infrastrutture agricole e dal controllo soffocante degli aiuti umanitari ai valichi di frontiera.

Il collasso del sistema alimentare a Gaza

AP Photo/Abdel Kareem Hana
AP Photo/Abdel Kareem Hana

La FAO calcola che solo l’1,5% dei terreni agricoli della Striscia sia ancora accessibile e coltivabile. Il resto è diventato terra bruciata, macerie o campi minati. Per sfamare i due milioni di abitanti servirebbero oltre 62mila tonnellate di cibo al mese, ma le quantità che entrano sono una frazione irrilevante. I camion umanitari che riescono a passare dal valico di Kerem Shalom vengono accolti da folle disperate che, in molti casi, svuotano i carichi prima che arrivino ai centri di distribuzione: è un gesto normale, che testimonia non il disordine, ma la disperazione assoluta: chi non sa se vedrà un’altra alba, non aspetta in fila. Intanto, le fonti d’acqua potabile sono quasi tutte contaminate; il carburante per i mezzi di soccorso è sotto la soglia minima: metà delle ambulanze è ferma, incapace di raggiungere i feriti. E senza carburante, anche i generatori degli ospedali si spengono, e con loro le macchine per la ventilazione, le incubatrici, le sale operatorie.

"Non siamo combattenti, ci state affamando"

Fuori da un ospedale di Gaza City, un padre urla il suo dolore davanti alle telecamere di Al Jazeera. Suo figlio, disarmato, era uscito per cercare cibo; lo hanno riportato morto: "Non abbiamo armi, non siamo parte di alcun movimento. Ci state sterminando di fame e di fuoco", dice con la voce spezzata. Nella sua disperazione c’è la rabbia di chi non capisce più la logica dell’assedio: non si uccidono combattenti, si uccidono bambini, vecchi, madri, studenti. Si uccide il tessuto stesso della società, così che anche chi sopravvive lo faccia in una terra svuotata di futuro.

Giornalisti nel mirino

AP Photo/Jehad Alshrafi
AP Photo/Jehad Alshrafi

In questo scenario, raccontare è diventato un crimine punibile con la morte: nel fine settimana, sei giornalisti palestinesi sono stati uccisi in un attacco mirato dell’esercito israeliano a Gaza City; cinque di loro lavoravano per Al Jazeera. Tra loro, Anas al-Sharif, volto noto delle cronache dal fronte, e Mohammed Qreiqeh. Il drone ha colpito una tenda stampa posizionata davanti all’ingresso dell’ospedale al-Shifa, non una zona di combattimento, ma un luogo riconoscibile, segnalato, dove i reporter si radunavano per inviare al mondo immagini e testimonianze. Le Nazioni Unite parlano di 270 giornalisti uccisi dall'inizio dell'invasione militare israeliana: è la conferma che eliminare i testimoni è parte integrante della strategia di Israele.

Due anni di distruzione

Dall’ottobre 2023, il bilancio ufficiale palestinese parla di oltre 61mila morti e più di 153mila feriti. Sono numeri al ribasso, che non raccontano la distruzione di interi quartieri, la dissoluzione di famiglie, la cancellazione di un'intera generazione di bambini. L'UNRWA lo ha detto con parole che pesano come pietre: "Intere famiglie, quartieri e una generazione stanno scomparendo. Il silenzio è complicità. È tempo che le dichiarazioni si trasformino in azioni". Un appello che suona come un'ultima chiamata alla coscienza internazionale.

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