Scudo penale, incentivi e più specializzandi: la riforma Schillaci per salvare la sanità pubblica

In Italia, ogni giorno, centinaia di turni in ospedale restano scoperti. Mancano medici di pronto soccorso, infermieri, specialisti. Le liste d'attesa si allungano, i reparti si svuotano, le ambulanze fanno la fila davanti ai pronto soccorso. Chi resta in corsia lavora con organici ridotti all'osso, strumenti spesso obsoleti, e una crescente esposizione al rischio legale. Il risultato è una sanità pubblica che arranca, fragile, svuotata, in molte aree del Paese già oltre il punto di rottura. È in questo scenario che il governo prova a intervenire: sul tavolo del Consiglio dei ministri arriva infatti un disegno di legge delega firmato dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, che tocca molti aspetti del lavoro sanitario: dalla responsabilità penale dei medici alla riforma delle scuole di specializzazione, dal reclutamento degli specializzandi alla promessa di nuovi incentivi per chi lavora in condizioni difficili.
L'obiettivo dichiarato è chiaro: arginare la fuga dal servizio sanitario pubblico, a partire dai presidi più esposti come i pronto soccorso. La domanda che resta aperta, però, riguarda l'efficacia e soprattutto l'urgenza dell'intervento: se questo disegno di legge riuscirà davvero a cambiare le cose, o se sarà solo il primo, tardivo, passo verso una ricostruzione più lunga e complessa.
Meno denunce ai medici, ma solo in caso di colpa grave
Uno dei punti centrali della riforma è lo scudo penale; già sperimentato in passato in modo temporaneo, ora il governo vuole stabilizzarlo: secondo l’articolo 7 del disegno di legge, il personale sanitario sarà punibile solo in caso di colpa grave, quando si parla di lesioni o morte del paziente. L'obiettivo dichiarato è doppio: proteggere i medici da cause considerate spesso infondate, e limitare la medicina difensiva, cioè quella che si fonda più sulla paura di essere denunciati che sulle reali necessità cliniche. Il dato citato dal governo è significativo: ogni anno circa 20mila denunce penali contro i medici, ma solo il 3% porta a una condanna. Il resto intasa i tribunali, consuma tempo e risorse, e spesso mette alla gogna chi opera in condizioni già complicate. Ma qui la questione si fa più delicata: serve uno scudo legale, o servono condizioni di lavoro in cui gli errori si riducano perché si lavora bene?
Anche il contesto conta
Il testo del ddl tocca poi un punto finora quasi mai riconosciuto nei testi normativi: il contesto conta. All'articolo 8 si legge infatti che, nella valutazione della responsabilità civile, va tenuto conto della "scarsità di risorse umane e materiali", delle "carenze organizzative" e delle condizioni di emergenza. In sostanza: se un medico lavora in un reparto sottodimensionato, senza strumenti adeguati, non può essere giudicato come se fosse in una clinica privata perfettamente funzionante. È un principio che, per chi lavora nella sanità pubblica, è una realtà quotidiana. Resterà da vedere chi decide cosa è "inevitabile" e cosa no, e soprattutto se il sistema cambierà davvero o si limiterà a prendere atto delle sue mancanze.
Specializzandi, incentivi e intelligenza artificiale: tutte le promesse
Per provare ad arginare la crisi, il governo prevede anche interventi più strutturali; il disegno di legge affida infatti al governo, da qui al 2026, il compito di adottare uno o più decreti legislativi che dovranno:
- Riformare la formazione, in particolare la scuola di medicina generale, oggi poco attrattiva;
- Valorizzare economicamente e professionalmente chi lavora in reparti critici o in aree disagiate;
- Rendere flessibile l'impiego degli specializzandi, già laureati ma ancora in formazione;
- Promuovere l’uso dell’intelligenza artificiale nella governance sanitaria.
Il quadro reale: turni scoperti, reparti vuoti, personale allo stremo
La situazione della sanità in Italia, intanto, continua a essere ben oltre l'allarme, e i dati ufficiali lo dicono chiaramente:
- Mancano 4mila medici di famiglia;
- Servono 65mila infermieri in più;
- Nei pronto soccorso, il 38% del fabbisogno medico non è coperto;
- Il 17% dei turni resta scoperto ogni giorno.
A Nord come a Sud, si ricorre a soluzioni-tampone: cooperative, liberi professionisti, specializzandi. Ma nel 43% dei casi non si trova proprio nessuna soluzione. E il futuro è tutt'altro che rassicurante: entro il 2030 usciranno infatti dal sistema 80mila medici e 110mila infermieri. Una vera emorragia, che rischia di diventare irreversibile.