Sardegna, sarà possibile accedere all’aborto farmacologico in consultorio e a casa: prima Regione del Sud a farlo

In un'Italia dove il diritto all'interruzione volontaria di gravidanza è garantito dalla legge ma spesso ostacolato nella pratica da obiezione di coscienza, scarsità di servizi e disparità territoriali, la Sardegna sceglie di cambiare passo. La Regione ha infatti approvato un provvedimento che consente la somministrazione della pillola abortiva non solo negli ospedali ma anche nei consultori pubblici e negli ambulatori autorizzati, avviando così una sperimentazione pionieristica per l’assunzione domiciliare del farmaco; una decisione che rompe anni di immobilismo e colloca la Sardegna all'avanguardia sul fronte dell'accesso sicuro, gratuito e dignitoso all’aborto farmacologico.
Mentre in molte aree del Paese l'accesso all'IVG resta infatti un percorso a ostacoli, soprattutto per chi vive lontano dai grandi centri o si confronta con un sistema sanitario affollato di obiettori, l'isola diventa la prima regione del Sud a recepire pienamente le linee guida nazionali aggiornate nel 2020. Il nuovo modello riduce l’invasività delle procedure, amplia l’offerta territoriale e risponde concretamente alle richieste delle reti femministe, dei movimenti transfemministi e delle associazioni laiche che da anni chiedono più libertà, più sicurezza, meno stigma.
Una riforma attesa da anni
La delibera, promossa dall’assessore alla Sanità Armando Bartolazzi e approvata dalla Giunta regionale, dà il via a un percorso che rende possibile l’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica anche al di fuori degli ospedali: ambulatori pubblici e consultori familiari adeguatamente attrezzati, purché collegati a una struttura ospedaliera e autorizzati dalla Regione, potranno finalmente ora somministrare i due farmaci previsti dal protocollo, mifepristone e prostaglandine, senza alcun costo per le pazienti. Contestualmente, parte anche una fase sperimentale per l’assunzione domiciliare del farmaco, finora attivata solo in Emilia-Romagna: "Dopo oltre dieci anni di silenzio, la Sardegna compie un grande salto di qualità e si allinea agli standard più avanzati a livello europeo", ha dichiarato Bartolazzi. "È un cambiamento atteso da anni che ci pone tra le regioni più virtuose sul fronte dei diritti e della modernizzazione dei servizi sanitari".
I numeri che spiegano l’urgenza
L’iniziativa regionale arriva in risposta a dati che evidenziano una situazione preoccupante: in Sardegna, infatti, il ricorso all’aborto farmacologico resta al di sotto della media nazionale: nel 2022 solo il 38,1% delle IVG è avvenuto con la pillola, contro il 51,3% in Italia. Ancora più allarmante è la frequenza del raschiamento, una pratica chirurgica più invasiva, che rappresenta il 21% dei casi sardi, quasi tre volte la media nazionale (7,2%). E l’11,9% delle interruzioni di gravidanza chirurgiche avviene ancora in regime di ricovero ordinario, mentre nel resto d’Italia la media è del 5%. In questo contesto, la riforma ha insomma un obiettivo chiaro: ridurre l’invasività, migliorare l’accessibilità, ottimizzare le risorse del sistema sanitario. Soprattutto, offrire una reale possibilità di scelta alle pazienti.
Come funzionerà il nuovo modello sardo
Il nuovo percorso sarà delineato da un tavolo tecnico istituito presso la Direzione generale della Sanità e composto da ginecologi e ginecologhe ospedalieri/e e territoriali, esperti ed esperte in medicina territoriale e personale amministrativo. Le linee guida definiranno in dettaglio poi ogni fase del processo: dagli esami preliminari alla somministrazione dei farmaci, fino alle visite di controllo, sempre in coordinamento con la rete ospedaliera. È prevista anche la formazione specifica del personale coinvolto e l’inserimento obbligatorio dei dati nella piattaforma informatica Gino++ per il monitoraggio delle procedure.
I progetti pilota per l’assunzione domiciliare del farmaco partiranno nei prossimi mesi in una rete selezionata di consultori pubblici; anche in questo caso, la presa in carico sarà gratuita e garantita dal servizio sanitario pubblico, con l’obiettivo di tutelare la salute della paziente in ogni fase.
In Sardegna il 60% dei ginecologi è obiettore
L’iniziativa sarda si pone anche come risposta diretta al problema strutturale dell’obiezione di coscienza: in Sardegna, oltre il 60% dei ginecologi è obiettore, e il dato resta elevato anche tra anestesisti e personale non medico. Questa situazione ha portato, negli anni, a una compressione sistematica del diritto all’aborto legale, creando percorsi ad ostacoli, attese lunghe e, in alcuni casi, vere e proprie impossibilità di accesso. Il nuovo modello, alleggerendo la pressione sugli ospedali e valorizzando i consultori pubblici, contribuisce a ridurre il potere di interdizione dell’obiezione. Non solo, rendendo possibile l’assunzione domiciliare del farmaco, aprirà facilmente la strada a forme di autogestione sicura, già raccomandate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e sperimentate con successo in altri Paesi.
Le voci dei movimenti
"Siamo soddisfatte ma restiamo caute", dichiara Carla Porcheddu del collettivo Strajk Kobiet Sardynia, sezione sarda del movimento polacco per il diritto all’aborto. "Questa sperimentazione rappresenta un enorme passo avanti per le nostre comunità. Ma chiediamo che i movimenti e le associazioni transfemministe, che da anni lavorano su questi temi, vengano coinvolti nei tavoli istituzionali. Le nostre competenze possono essere un ponte tra le decisioni politiche e i bisogni reali delle persone". Anche il nodo sardo di Non una di meno accoglie positivamente la novità: "È un cambiamento importante, che favorisce una maggiore libertà di autodeterminazione e genera benefici per tutta la sanità pubblica. Continueremo però a monitorare con attenzione lo sviluppo del progetto".
Una scelta politica, non solo sanitaria
"Dopo le dichiarazioni inquietanti di Priamo Bocchi (Fratelli d'Italia), che ha definito l’aborto in telemedicina ‘disumano’, la decisione della Sardegna rappresenta una risposta netta e concreta", commenta Federica di Martino, attivista del progetto Ivg, ho abortito e sto benissimo. "È una scelta di civiltà. Le persone devono poter decidere se abortire in ospedale, in consultorio o a casa, in base alle proprie condizioni e desideri, non a ostacoli culturali o ideologici". Secondo Di Martino, l’aborto in telemedicina, e più in generale l’autogestione dell’IVG farmacologica, è una pratica sicura, raccomandata a livello internazionale e capace di restituire dignità, autonomia e libertà: "Molte donne vengono lasciate sole in luoghi che dovrebbero essere presìdi di laicità e cura. Offrire loro un’alternativa è un atto di rispetto. Ed è anche un modo per contenere i costi, miglioare i servizi e superare una volta per tutte il ricatto dell’obiezione".