Salvini non ritira la querela contro Saviano: “È un maleducato”. Lo scrittore: “In Aula farfugliava”

Matteo Salvini e Roberto Saviano si sono incontrati nell'aula 27 del tribunale di Roma per il processo che vede imputato lo scrittore per il reato di diffamazione. Il ministro non intende ritirare la querela presentata nel 2018, quando si trovava alla guida del Viminale sotto il governo Conte.
Le querele seguono alcuni post Facebook di Saviano e un'intervista da lui rilasciata a un quotidiano tedesco in cui, citando il libro dello storico Gaetano Salvemini, aveva definito Salvini "ministro della malavita". "Ora come allora sono rimasto stupito da alcune definizioni – ha detto Salvini fuori dall'aula – contenuti espliciti e pesanti, come l'appellativo di ministro della malavita o amico della ‘ndrangheta".
A margine dell'udienza, parlando con i giornalisti il vicepremier ha detto di aver stretto la mano a Saviano. "Lui mi ha detto ‘vergognati'. È un maleducato, ma non è certo un reato", ha proseguito. "Io non ce l'ho con lui. Se qualcuno mi da del mafioso o amico della ‘ndrangheta non è normale: non è normale per un ministro, per un padre, per un cittadino. Noi i clan li abbiamo combattuti", ha aggiunto. Il leader della Lega ha ribadito che il suo operato è stato sempre orientato al contrasto dei clan mafiosi. "Noi i clan li abbiamo combattuti".
L'espressione ‘ministro della malavita' "la riutilizzerei", ha replicato Saviano da piazzale Clodio. "È di Gaetano Salvemini, che scrisse un libro meraviglioso, intitolato ‘Ministro della malavita' – ha spiegato lo scrittore -. Era riferito a Giolitti, un politico di razza, non a uno come Salvini, e dice che quando i partiti del nord capirono che non riuscivano ad avere consenso nel nord Italia con facilita', andarono dai ‘terroni del sud', a manipolarli, condizionarli, a ottenere il loro livore di popolazioni abbandonate e illuse. Usò queste parole. E ritengo di avere tutto il diritto di poter utilizzare il paradigma di Salvemini per criticare Matteo Salvini", ha ribadito.
Il giornalista e autore di Gomorra ha inoltre, sottolineato che "questa è una giornata importante perché finalmente Salvini, dopo anni, è venuto a rendere testimonianza. Mi ha sconvolto perché non si ricordava, ometteva. Più volte in aula ha letto di aver promesso all'elettorato di andare al governo e togliere ‘l'inutile scorta a Saviano'. Ha balbettato che era una valutazione politica, ma che poi non lo ha fatto", ha raccontato. "Ho ricordato a Salvini che millanta degli arresti, che da sempre fa la polizia, chiunque sia al governo, non possono essere attestati a lui. Gli ho ricordato che quando andò in Calabria, e da lì nacque il mio post e la mia critica, dinnanzi all'elettorato si ostinò a dire che il problema calabrese era l'immigrazione. E c'erano tra le persone membri del clan Pesce e del clan Bellocco, probabilmente suoi sostenitori", ha proseguito. "E Furgiuele, il politico della lega in Calabria, che ha come suocero Mazzei, figura condannata per estorsione mafiosa e da cui lui non ha mai preso le distanze. La cosa assurda è che è emerso la figura di un politico che fa e dice cose senza pensarci", ha attaccato.
Dall'udienza di oggi, "è emerso, ancora una volta, che quando Salvini parla non pensa: è tutto frutto di emotività del momento, di calcolo sui follower. L’orrore della superficialità populista e dell’estremismo, in genere", ha scritto poi sui social. "Come al solito, ha rispolverato la strategia antica di tutti i governi: “Sotto il mio governo si arresta, sotto il mio governo si condanna”. Ma sotto qualsiasi governo ci sono arresti di mafia, perché le polizie agiscono e, soprattutto, le mafie sanno bene che verranno scoperte, arrestate, contrastate. Ed è proprio questo che lui non arriva nemmeno a comprendere", ha concluso.