Salvini esulta per una ragazza incinta detenuta in carcere, Antigone: “Questo è essere pro vita?”

Una ragazza di 24 anni è detenuta in carcere, a Venezia, anche se è incinta. È in custodia cautelare, dopo essere stata sorpresa nel presunto furto di un borsello, perché era già finita al centro di indagini della Procura per altri furti. A permetterlo è il decreto Sicurezza, varato dal governo Meloni, che ha cambiato il Codice penale per togliere tutele alle donne incinte e a quelle con figli piccoli. Una battaglia portata avanti soprattuto dalla Lega. Matteo Salvini, vedendo la notizia della detenzione di una giovane che presto sarà madre, ha esultato sui social: "Bene così!", ha scritto, rivendicando la misura.
Parole che hanno sollevato proteste dall'opposizione. "Che Stato è quello che si vanta di togliere la libertà a una donna incinta invece di aiutarla, accompagnarla, reinserirla?", ha chiesto Sandro Ruotolo, eurodeputato del Pd.
Fanpage.it ha contattato Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, associazione che si impegna per tutelare i diritti umani nelle carceri italiane. Marietti non si è limitata a commentare le parole del vicepresidente del Consiglio, ma ha spiegato cosa significa, davvero, per una donna vivere l'esperienza del carcere quando è incinta o quando ha un figlio di meno di un anno.
Cosa pensa delle dichiarazioni di Matteo Salvini sul caso di Venezia?
Si commenta da sola una persona che esulta sempre e solo quando i più fragili e i più deboli vengono gestiti con la repressione e il pugno duro, invece che attraverso gli strumenti delle politiche sociali. La gioia di chi è contento di vedere un feto svilupparsi dentro una galera, con tutti tutti i rischi che questo comporta, e con la possibilità che poi la stessa donna si ritrovi a partorire in carcere, come già altre volte è successo.
Questa evidentemente è l'idea del ministro di essere ‘pro vita'. Negli anni ci ha abituati, e d'altra parte questa è una norma che ha voluto in prima persona, non potevamo aspettarci nulla di diverso.
Al di là della situazione giudiziaria che si è verificata con la 24enne di Venezia, Antigone ha comunicato che negli ultimi mesi è tornato a salire. Sono gli effetti del decreto Sicurezza?
È presto per dirlo, bisogna valutare la situazione specifica di ciascuna detenuta e vedere se la tendenza continuerà anche in futuro. Ma mi sembra verosimile che le due cose siano collegate. Certamente questa è la direzione in cui va la norma.
Quando si parla di carcere, spesso lo si fa in maniera vaga e un po' astratta. Ma cosa significa concretamente, per una donna incinta, ritrovarsi detenuta invece di poter usufruire di misure alternative?
Una donna incinta in carcere, nella gran parte dei casi, vive continuamente nella paura. Come tutte noi donne che abbiamo partorito sappiamo, durante una gravidanza sei seguita costantemente, e da vicino. Ci sono medici che monitorano la situazione, e questo ti dà tranquillità. In carcere tutto questo è molto più difficile.
Il nostro sistema penitenziario è a macchia di leopardo, il sistema sanitario è regionalizzato, sono le Asl che entrano negli istituti, quindi le condizioni possono cambiare molto da un carcere all'altro. Ma in generale non si riesce ad avere le attenzioni specifiche di cui avrebbe bisogno la donna che aspetta un figlio. E in una gravidanza l'inaspettato può sempre succedere. Per una perdita di sangue, ad esempio, chiunque correrebbe subito dal ginecologo o al Pronto soccorso. Ma nelle carceri è tutto molto rallentato.
Senza parlare di quando poi si arriva al parto. La situazione si complica soprattutto se è un parto prematuro, ma non solo. Pochi anni fa, a Roma, una donna partorì da sola, aiutata solo dalla compagna di cella, perché il medico non arrivò in tempo. La compagna era un'altra donna incinta, e senza nessuna competenza.
Il decreto Sicurezza colpisce non solo le donne incinta, ma anche quelle con figli piccoli, fino a un anno. Per loro la vita in carcere è ancora più difficile?
Abbiamo parlato con molte di loro. Una cosa che ritorna spesso è il senso di colpa che provano per l'esperienza che loro figlio sta vivendo, un'esperienza che rischia di segnarlo per tutta la vita. Tutti gli psicologi dell'età evolutiva ce lo dicono: in quella fase, i bambini sono delle ‘spugne', assorbono sensazioni ed emozioni che hanno un forte impatto nel loro sviluppo cognitivo verso l'età adulta. Molte detenute sono frustrate all'idea che i loro bambini si porteranno strascichi di questa esperienza in futuro. Detto questo, non dipende tutto dalle norme.
In che senso?
Mi piacerebbe vedere un'amministrazione penitenziaria e una magistratura di sorveglianza più reattive. Sono certa che se si lavorasse caso per caso, si riuscirebbe anche con le norme attuali a trovare alternative per tutte, o quasi, le donne che si trovano in carcere. Non parliamo mai di grandi criminali, ma di piccoli reati di strada.
E anche quando una donna è in carcere con il bambino, l'amministrazione penitenziaria potrebbe intervenire per migliorarne la vita. Il bambino non è detenuto, non c'è motivo per cui non possa allontanarsi dalla struttura. Servirebbero delle figure apposite che lo portino all'esterno – all'asilo, al parco, in piscina, come tutti i bambini – e la sera lo riportino in carcere dalla mamma. Questa cosa si fa, oggi, solo dove ci sono associazioni di volontariato che se ne fanno carico. Perché non intervengono le istituzioni a riempire questo vuoto?
Perché non lo si fa?
Probabilmente, perché queste donne vengono prese come simbolo di qualcosa da colpire, da punire. Lo dimostra anche l'esultanza di Salvini.
La legge prevede che le donne in questa situazione siano detenute nei cosiddetti Icam, Istituti a custodia attenuata per detenute madri. Ma i posti a disposizione sono pochi, gli Icam sono solo quattro in Italia. Bisognerebbe espanderli?
In realtà, l'Icam non è poi così diverso da un carcere. È una struttura detentiva chiusa, gestita dal ministero della Giustizia, da cui la madre non può allontanarsi. Concretamente, hanno degli spazi un po' più adeguati. Ma, per fare un esempio a Roma, l'asilo nido di Rebibbia non è così lontano dall'Icam di Lauro.
Su cosa bisogna puntare, allora?
Le case famiglia. Quelle sì, sono un'altra cosa. Sono una misura alternativa, principalmente le si usa per la detenzione domiciliare speciale introdotta nel 2001 proprio per le madri, fino ai dieci anni di età. L'idea è di ripristinare la convivenza con il figlio. Sono piccole strutture a vocazione familiare, un po' come un appartamento d'accoglienza, dove la mamma può stare col figlio e il figlio esce tranquillamente. Servirebbero i soldi per espanderle: all'epoca, la legge fu fatta scaricando tutte le responsabilità sugli enti locali, che però nel tempo non vi hanno dedicato molte risorse.