Referendum 2025

Referendum 8 e 9 giugno, i testi dei cinque quesiti spiegati: guida al voto

I prossimi 8 e 9 giugno si vota per cinque referendum abrogativi: quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza. Domenica si vota dalle 7 alle 23, mentre lunedì 7 alle 15. Perché il risultato sia valido sarà necessario il quorum, ovvero che il 50%+1 degli elettori si rechi alle urne. Le schede elettorali saranno cinque e di colore diverso a seconda dei quesiti. Vediamole e cerchiamo di capire assieme come funziona il referendum abrogativo, che cosa chiedono i quesiti e quali leggi vorrebbero cambiare.
A cura di Giulia Casula
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Manca pochissimo ai prossimi 8 e 9 giugno, quando si voterà per cinque referendum abrogativi, quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza. Si vota domenica 8 giugno dalle 7 alle 23 e lunedì 9 giugno sul lavoro dalle 7 alle 15. Le schede sono in tutto cinque, di colore diverso a seconda del quesito (verde per il primo, arancione per il secondo, grigio per il terzo, rosso per il quarto e giallo per il quinto). Si potrà barrare la X sul Sì o No.  Perché i referendum passi sarà necessario raggiungere il quorum, ovvero una partecipazione del 50%+1 degli aventi diritto. Ma che cosa chiedono i quesiti? E come funzionerà alle urne?

Che cos'è e come funziona un referendum abrogativo

Partiamo innanzitutto, da un aspetto fondamentale. Quelli dell'8 e 9 giugno sono dei referendum abrogativi, cioè una consultazione in cui si chiede ai cittadini se sono d'accordo ad abrogare leggi o parti di legge attualmente in vigore. Ecco perché in tutte le schede troviamo due opzioni: Sì o No. Votare ‘sì' significa volere eliminare la norma o la parte di norma indicata dal quesito, mentre votare ‘no' significa volerla mantenere così com'è. A differenza di altre tipologie di referendum, come quelli consultivi, con cui si chiede il parare dei cittadini su determinate questioni o quelli confermativi, in cui si chiede agli elettori se sono favorevoli all'entrata in vigore di determinate leggi, quello abrogativo elimina. In altre parole, non si sta riscrivendo una legge o proponendo di modificarla, ma si dà ai cittadini la possibilità di intervenire direttamente per eliminarla tutta o una parte.

Prima di passare ad esaminare nel dettaglio che cosa chiedono i quesiti, c’è un altro punto che occorre sottolineare. Perché i risultati del referendum siano validi non basta fare la conta di quanti hanno votato sì e quanti no, ma è necessario raggiungere un certo grado di partecipazione al voto, quello che chiamiamo quorum. In sostanza, a prescindere dall’esito, perché il referendum passi deve votare almeno il 50% più uno degli elettori. In caso contrario, che passi il sì o il no cambierà poco perché il risultato sarà invalidato. Ecco perché i partiti di maggioranza – che non sono d’accordo con i contenuti di questi referendum – hanno chiesto ai loro elettori di non andare a votare. Ma quindi, cosa chiedono questi cinque quesiti e soprattutto, cosa vorrebbero cambiare?

Primo quesito: Jobs act (scheda verde)

Partiamo dai quattro quesiti sul lavoro. Il referendum è stato promosso dalla Cgil e punta a superare alcune delle modifiche introdotte dal Jobs Act, la discussa riforma del lavoro approvata dal governo Renzi nel 2014. La scheda del primo quesito sul lavoro è verde. All’interno troviamo scritto: “Contratto di lavoro a tutele crescenti- disciplina licenziamenti illegittimi: abrogazione” e subito sotto la domanda con la legge che si chiede di eliminare, con il solito sì o no.

Come funziona oggi: Quando parliamo di contratto di lavoro a tutele crescenti ci riferiamo ai contratti previsti dal Jobs act e che si applicano a tutti i lavoratori assunti dopo il 2015. Parliamo sempre di contratti di lavoro a tempo indeterminato come li conosciamo, ma la grande differenza che aveva introdotto il Jobs act riguarda l’aspetto del licenziamento illegittimo. Oggi un lavoratore assunto dopo il 7 marzo 2015 all’interno di un’impresa medio grande, se licenziato illegittimamente, ha diritto soltanto a un indennizzo economico, calcolato sulla base dell’anzianità di servizio, ma non a riottenere il posto di lavoro. Ci sono delle eccezioni come nei casi di licenziamenti discriminatori o nulli, dove il lavoratore può esser reintegrato, ma in linea di massima lo schema è questo. Negli anni la disciplina sui licenziamenti prevista dal jobs act è stata criticata sia dalla Corte costituzionale che dalla Cassazione, che hanno espressamente chiesto di intervenire.

Cosa si chiede: Il quesito chiede di eliminare questa norma e di ritornare così al famoso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970 che prevedeva la reintegrazione nel posto di lavoro. Va detto non sarebbe un ritorno completo al vecchio articolo 18, ma a quello che resta di questa norma. Negli anni, tra il 1970 e prima del Jobs act, diversi governi avevano ridimensionato il diritto a essere reintegrati, lasciandolo soltanto nei casi più gravi di licenziamento illegittimo. Ad ogni modo, se passasse il sì questo diritto – seppur modificato – verrebbe ripristinato.

Ecco il fac simile della scheda:

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Secondo quesito: licenziamenti piccole imprese (scheda arancione)

Per il secondo quesito la scheda è arancione. Anche in questo caso parliamo di licenziamenti ma all’interno delle piccole imprese, quelle con meno di 15 dipendenti.

Come funziona oggi: Oggi esiste un limite al risarcimento che viene riconosciuto al lavoratore ingiustamente licenziato, che è stato introdotto da una legge del 1966 e mantenuto anche dal Jobs Act. L’importo del risarcimento va da un minimo di 2,5 mensilità a un massimo di sei.

Cosa si chiede: Il quesito chiede di togliere il limite di sei mensilità e di lasciare al giudice la valutazione, caso per caso, di quanto deve essere risarcito il lavoratore ingiustamente licenziato. Se passasse il sì quindi, il giudice potrebbe stabilire anche un’indennità più alta di 6 mesi, proporzionata al danno subito.

Ecco il fac simile della scheda:

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Terzo quesito: precariato sul lavoro

Per il terzo quesito la scheda è grigia. Dentro leggiamo “abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi”. Il tema quindi è quello dei contratti a tempo determinato.

Come funziona oggi: Oggi le aziende possono stipulare contratti a tempo determinato per il primo anno senza dover indicare una motivazione specifica, cioè senza spiegare perché ha deciso di assumere con quelle modalità anziché a tempo indeterminato. Questo vale per il primo contratto – che comunque non può durare più di dodici mesi – ma non per i rinnovi. Se si vuole rinnovare un contratto a termine il datore deve esplicitare la causale, cioè una ragione. Naturalmente non può essere un motivo generico ma deve rientrare tra le causali previste dalla legge (ad esempio la necessità di sostituire dei lavoratori assenti o esigenze temporanee come accade in alcuni lavori legati alle produzioni nel mondo dello spettacolo). Questo perché in teoria, la modalità contrattuale principale dovrebbe essere quella dell’indeterminato, che tutela maggiormente il lavoratore per una serie di ragioni. Tra cui il fatto che per poter essere recesso da parte del datore deve esserci una giustificazione (a differenza di quello a termine che invece si estingue automaticamente alla scadenza).

Cosa si chiede: Il quesito chiede di cancellare la norma che consente di non motivare contratti a termine per i primi dodici mesi, per cui, se vincesse il sì, un datore di lavoro avrebbe l’obbligo di motivare fin dall’inizio, perché ha ricorso a un contratto a tempo determinato, e con delle ragioni specifiche.

Ecco il fac simile della scheda:

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Quarto quesito – Sicurezza sul lavoro (scheda rossa)

Per l'ultimo dei quesiti sul lavoro, la scheda è rossa. Si parla di sicurezza sul lavoro, in particolare di responsabilità negli appalti.

Come funziona oggi: Partiamo da due imprese: la committente, cioè quella che affida l’esecuzione a un’altra, e l’appaltatrice, ovvero quella a cui avviene assegnato il lavoro. Nella catena degli appalti, quando un lavoratore si infortuna sul luogo di lavoro sia il committente che l’appaltatore sono chiamati a rispondere. Questo tipo di responsabilità si chiama responsabilità solidale ed è prevista proprio per proteggere il lavoratore, che così potrà rivolgersi a entrambi. Tuttavia, secondo la legge, ci possono essere dei casi in cui il committente non è chiamato a rispondere, ovvero quando il danno è riconducibile a "rischi specifici" dell’impresa appaltatrice. Una formula un po’ ambigua che spesso ha finito per far sì che a risarcire fosse uno solo e non tutti i soggetti coinvolti.

Cosa si chiede: il quesito chiede di eliminare questa norma in modo tale che, in caso di infortuni, anche il committente, insieme all'appaltatore, possa essere chiamato a rispondere. Non scatterebbe una ‘colpa automatica’ per il committente, ma l’idea è quella di tutelare maggiormente i lavoratori soprattutto in quei casi – piuttosto frequenti – in cui l’impresa appaltatrice per un motivo o per un altro risulta fallisce o risulta irreperibile.

Ecco il fac simile della scheda:

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Quinto quesito: cittadinanza italiana (scheda gialla)

Il quinto e ultimo quesito riguarda la cittadinanza. In questo caso la scheda è di colore gialla. Dentro si legge "dimezzare da 10 a 5 anni i tempi di residenza legale in italia dello straniero maggiorenne" per ottenere la cittadinanza italiana.

Come funziona oggi: Oggi chi ha più di 18 anni deve risiedere continuativamente in Italia per almeno dieci anni prima di poter fare domanda. Abbassare questo periodo a 5 anni, aiuterebbe i tantissimi italiani di fatto nel nostro Paese nel difficile percorso per ottenere la cittadinanza.

Cosa si chiede: Il quesito qui sotto chiede di eliminare dalla legge che regola il meccanismo con cui si diventa cittadini italiani solamente la parte che riguarda il tempo di soggiorno, abbassandolo a 5 anni. Tutti gli altri requisiti previsti – come il non avere precedenti penali o la conoscenza dell’italiano – non vengono toccati dalla modifica e continuerebbero a essere richiesti.

Ecco il fac simile della scheda:

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Lo ricordiamo, perché il referendum passi serve che l’8 e il 9 giugno vada a votare la maggioranza degli elettori. In caso contrario il risultato, qualunque esso sia, non potrà essere considerato valido. Come avrete capito, questo voto ha a che fare con questioni centrali nella vita di tantissime persone: sia la cittadinanza che il lavoro sono temi che in un modo o nell’altro ci riguardano da vicino e per questo motivo, a prescindere da come la si pensi, sarà importante partecipare e far sentire la propria voce.

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