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Raccontare è un atto di Resistenza: perché dovremmo dare il Nobel per la pace ai giornalisti di Gaza

Sarebbe giusto dare il Nobel al giornalismo di Gaza. Senza dubbio meriterebbero il riconoscimento più alto: un Nobel per la pace. Raccontare è un atto di Resistenza e Mariam Abu Dagga lo sapeva e non ha smesso di scrivere.
A cura di Saverio Tommasi
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Mariam Abu Dagga, giornalista uccisa a Gaza durante il bombardamento dell’ospedale Nasser
Mariam Abu Dagga, giornalista uccisa a Gaza durante il bombardamento dell’ospedale Nasser

Una persona uccisa sarebbe troppa. Sarebbe troppo un panettiere, un'insegnante, un'idraulica, una sola animatrice di feste per bambini uccisa a Gaza, sarebbe troppa. Anche un solo giornalista ucciso sarebbe troppo. A Gaza, poi, siamo al record dei record. Lo possiamo chiamare senza esitazioni il genocidio dei giornalisti (e quello dei panettieri, degli insegnanti e degli animatori di feste per bambini). È cominciato col divieto d’ingresso per tutti i giornalisti internazionali, poi è proseguito con la mattanza di quelli palestinesi. Uomini e donne. Il genocidio ha agito da genocidio: selettivo con una popolazione, a partire dai bambini perché poi tanto crescono. Disumano.

Al Jazeera ha pubblicato la lista completa dei 278 giornalisti uccisi a Gaza dal 7 ottobre 2023. Una lista aggiornata a oggi, e se non mi sbrigo a finire questo pezzo, questo numero diventerà vecchio. Il silenzio su Gaza non è solo effetto collaterale: è progetto. Israele impedisce ancora oggi ai media stranieri di entrare nella Striscia di Gaza. Se ne parla comunque, di quello che avviene? Sì, ma spesso poco (sì, comunque poco), e male. Ridurre le testimonianze del crimine è funzionale a proseguire il crimine stesso. E passa dalla riduzione del mondo a spettatore.

Raccontare è un atto di Resistenza – e sì, la scrivo con la maiuscola perché sono cresciuto col valore delle parole e so che chi sa e tace, o chi può ma sceglie di non disturbare il bombarolo, è complice. Mariam Abu Dagga lo sapeva e non ha smesso di scrivere, nemmeno dopo essere riuscita a far evacuare da Gaza suo figlio di tredici anni. Ha continuato a fare quello che sapeva fare: testimoniare. Era il suo modo di essere completamente madre. Mariam Abu Dagga ha agito con le parole finché ha potuto. Poi con il corpo nel momento in cui le parole le sono state sottratte con un bombardamento all’ospedale Nasser, dove è stata uccisa insieme ad altri quattro suoi colleghi.

Sarebbe giusto dare il Nobel al giornalismo di Gaza. Senza dubbio meriterebbero il riconoscimento più alto: un Nobel per la pace. Un premio alla memoria e al presente, perché noi conosciamo il genocidio grazie a loro che ci hanno messo la faccia, e dato la vita anche quando non sono stati uccisi. Il premio nobel alle giornaliste e ai giornalisti di Gaza sarebbe davvero la cosa più giusta. Un richiamo universale contro gli influencer a seguito dell’IDF, davvero Gobbles non avrebbe saputo fare di meglio.

A cosa serve raccontare? Lo chiedo a te che stai leggendo. Se stai pensando "a ricordare", non sono d’accordo con te, perché tutto finisce dimenticato. "Raccontare" serve piuttosto a trovare una soluzione. E siccome la soluzione non si trova, allora si continua a farlo. Non ricorderai mai le parole precise, ma raccontando (e leggendo) i concetti entrano dentro e fanno dimora, non c’è un altro motivo per il quale qualcuno sceglie di raccontare.

Mariam Abu Dagga lo sapeva e per questo ha chiesto a suo figlio, in quella sua straziante ultima lettera, di custodire il senso della sua morte, non il dolore. "Non dimenticare che io facevo di tutto per renderti felice", scrive a suo figlio. Per questo gli ha poi chiesto di chiamare la figlia di suo figlio, quando nascerà, con il suo nome. Perché “Miriam” è il nome di chi ha scommesso sulla vita, e quasi non importa – questo sembra dire – se nel cammino ha incontrato un bombardamento. Lei ha raccontato e dunque ha vissuto.

Capito cosa significa raccontare? Lo dico anche a me stesso: è cura soprattutto per quelli dopo.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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