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Più della metà dei soccorsi in mare classificata come operazione di polizia: i dati raccolti da Open Arms

L’Ong Open Arms lancia la campagna “Rotta comune”: l’obiettivo dell’appello è chiedere al Parlamento europeo di ripristinare una missione coordinata di ricerca di soccorso. Dai dati del Viminale, emerge che il 58% dei soccorsi in mare viene ancora classificato come ‘operazioni di polizia’, e non come missioni di ricerca e salvataggio (SAR). Un tentativo di ridurre il salvataggio delle vite a una questione di ordine pubblico.
A cura di Annalisa Cangemi
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I soccorsi in mare continuano a essere classificati come operazioni di polizia dal governo Meloni. Si tratta di una prassi ormai consolidata dal 2019 in poi. Di fatto significa che i migranti non vengono considerate persone salvate nell’ambito di operazioni di Search and Rescue (Sar), ma vengono etichettati come soggetti intercettati appunto nell’ambito di operazioni di polizia (Law enforcement).

Dai dati di inizio ottobre, che emergono da un accesso agli atti avviato dall’ong Open Arms la scorsa estate, risulta che oltre il 58% dei soccorsi in mare effettuati dal 2019 a oggi è stato classificato come “operazioni di polizia” (Law Enforcement) e non come missioni di ricerca e salvataggio (SAR).

Una scelta che non è solo linguistica, ma politica, e di fatto trasforma il dovere umanitario di salvare vite in una questione di ordine pubblico, spiega Open Arms, che lancia oggi la campagna europea “Rotta comune”, un’iniziativa di informazione e sensibilizzazione. L’obiettivo è smantellare la deriva securitaria nella gestione dell’immigrazione e la narrazione distorta secondo cui chi effettua salvataggi compie un crimine.

Sempre dai dati del ministero emerge che solo tra il 2023 e il 14 settembre 2025, le persone soccorse in operazioni SAR sono state 171.622, mentre quelle intercettate in operazioni di polizia 81.511: in pratica quasi la metà degli arrivi via mare è gestita come azione di law enforcement.

Sono dati dicevamo che confermano una tendenza. Nell’aprile 2023, la rivista Altreconomia, dopo un accesso civico, aveva pubblicato i dati della Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Viminale: nel periodo considerato, cioè 2019-2023, su 6.356 ‘eventi’, oltre il 75% è stato considerato attività di Law enforcement.

Gli effetti del decreto Piantedosi sul soccorso in mare

Il governo, fin dai primissimi momenti dopo il suo insediamento, ha dichiarato guerra alle Ong. Lo ha fatto prima di tutto emanando il decreto Piantedosi, restringendo il campo d’azione delle organizzazioni, con l’obiettivo di impedire loro di svolgere le loro missioni di pattugliamento in mare e ostacolarle nell’attività di soccorso in mare. Le azioni di contrasto alle ong sono passate anche da navi sotto sequestro, equipaggi indagati, porti di sbarco assegnati sempre più lontano dal luogo del soccorso. Eppure la gran parte delle operazioni SAR vengono effettuate dalle autorità italiane, il lavoro delle Ong rappresenta una piccola porzione dei salvataggi che avvengono nel Mediterraneo: dai dati raccolti da Open Arms, si evince che dal 2023 (certamente anche per via del decreto legge Piantedosi del 2023) a oggi, le Ong hanno portato a termine 543 interventi di salvataggio, pari a circa il 12% di tutte le operazioni SAR, contro le 3.949 operazioni condotte dalle autorità italiane.

Eppure Il Mediterraneo centrale resta una delle rotte più letali al mondo. Dal 2016 a oggi, secondo i dati OIM, sono state oltre 25.400 le persone morte o disperse nel tentativo di attraversare quel tratto di mare. Nonostante questa tragedia umanitaria, il lavoro delle Ong come abbiamo visto è stato contrastato e penalizzato: le navi umanitarie hanno subito 32 fermi amministrativi e oltre 700 giorni complessivi di stop operativo, riducendo drasticamente la loro capacità di intervento.

Ricordiamo che Open Arms è coinvolta anche nella vicenda che vede imputato il ministro Matteo Salvini per i reati di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio. Salini

L’Europa non fa nulla per evitare le morti in mare

Dal 2023, ricorda Open Arms, il Parlamento europeo ha avuto l’occasione di cambiare rotta. Ogni anno alcuni esponenti del gruppo The Left, S&D e The Greens presentano un emendamento al bilancio dell’Unione chiedendo l’istituzione di una missione europea di ricerca e soccorso in mare attraverso lo stanziamento di un fondo ad hoc. Nel 2025, il budget per tale operazione sarebbe stato di 240 milioni, ovvero un terzo del bilancio di Frontex, ma purtroppo il 22 ottobre scorso non è stato votato dalla maggioranza, la stessa che chiede che le organizzazioni non operino più nel Mediterraneo centrale. Agire sul bilancio avrebbe avuto un valore politico significativo, comunicando che il salvataggio non è un gesto volontario, ma un dovere collettivo. Avrebbe ricordato a ogni contribuente europeo che il documento di bilancio è un manifesto politico che racconta l’indirizzo che l’Europa intende seguire con le nostre risorse.

Eppure, l’emendamento non è mai stato approvato, così come non è mai stata attuata la risoluzione del Parlamento europeo del luglio 2023, che chiedeva un meccanismo europeo coordinato di ricerca e di soccorso e la fine della criminalizzazione delle Ong.

La campagna ‘Rotta comune’ di Open Arms

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“Chi salva, paga il prezzo. Ma a pagare davvero è l’Europa, che affonda insieme ai suoi valori”, dichiara Òscar Camps, fondatore di Open Arms. “Con Rotta comune vogliamo ricordare che la solidarietà non è un crimine: è l’essenza dell’Europa che vogliamo difendere. Serve agire e invertire una rotta che parta dalle parole e arrivi alle azioni istituzionali: una rotta che rispetti i diritti umani e racconti la realtà”.

Secondo Open Arms, tra le attività che hanno contribuito a cambiare la percezione del soccorso in mare, rendendolo di fatto un atto da criminalizzare, c’è senza dubbio l’uso improprio delle parole.

Open Arms, con questa campagna, vuole puntare l’attenzione su come il cambio di vocabolario possa portare al cambiamento politico: il linguaggio contribuisce in modo decisivo a formare l’immaginario collettivo. Definire le navi umanitarie come “pirati” o “taxi del mare”, significa spostare la narrazione, dalla solidarietà al sospetto, insinuando un’idea di illegalità che non corrisponde alla realtà.

Come da anni evidenzia l’Associazione Carta di Roma, le parole non sono mai neutre: termini come “clandestino” o “illegale” adottati per definire lo status di persone migranti, generano un pregiudizio che alimenta paura e disinformazione. Cambiare linguaggio dunque non è una questione di forma, ma di responsabilità, e può effettivamente determinare un cambiamento.

La campagna “Rotta comune” punta a riaprire il dibattito europeo su una missione comune di ricerca e soccorso e sul riconoscimento del diritto di salvare vite. “Serve una rotta unica, che parta dal mare e arrivi alla terraferma, passando per la dignità,” sottolinea Camps. “Perché finché salvare sarà un crimine, l’Europa continuerà ad affondare”.

Open Arms coinvolta nel processo a Salvini: l’udienza in Cassazione il prossimo 11 dicembre

Ricordiamo che Open Arms è coinvolta anche nella vicenda giudiziaria che ha visto imputato il ministro Matteo Salvini per i reati di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio, per aver impedito all’ong spagnola di sbarcare a Lampedusa 147 migranti che aveva salvato in mare nell’agosto 2019. Salvini a dicembre dell’anno scorso è stato assolto in primo grado, poi la Procura della Repubblica di Palermo ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione contro l’assoluzione, e l’udienza è in calendario per il prossimo 11 dicembre.

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