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Permesso di soggiorno a punti per i minori stranieri: cosa dice la proposta della Lega

La Lega propone un sistema a punti per il permesso di soggiorno dei minorenni stranieri, basato su frequenza scolastica e comportamento, con il rischio di espulsione in caso di punteggio azzerato. La misura solleva dubbi etici e pratici, soprattutto per i giovani più fragili e senza supporto familiare.
A cura di Francesca Moriero
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Quella che inizialmente sembrava solo una proposta televisiva è diventata ora un progetto concreto. La Lega, guidata da Matteo Salvini, starebbe infatti lavorando a un disegno di legge che introdurrebbe un sistema a punti per il permesso di soggiorno anche per i minorenni stranieri. Una vera e propria pagella per restare in Italia.

L'idea riguarda i ragazzi e le ragazze a partire dai 14 anni e si baserebbe su un meccanismo simile a quello già ipotizzato per gli adulti: a ogni titolare verrebbe assegnato un punteggio iniziale, che può aumentare o diminuire in base al comportamento. Attività considerate positive come la frequenza regolare a scuola o la partecipazione a corsi di lingua italiana farebbero sostanzialmente guadagnare punti, mentre infrazioni, comportamenti scorretti o il mancato rispetto di determinati obblighi comporterebbero invece la perdita di punti. Il rischio più grave sarebbe l'azzeramento totale del punteggio, che porterebbe alla revoca del permesso di soggiorno e, di conseguenza, all'allontanamento dal territorio italiano.

Dietro questa proposta ci sarebbe una norma già prevista nel 2009, durante il ministero dell'Interno di Roberto Maroni, che introduceva una sorta di "accordo di integrazione" basato su criteri simili, un sistema che non è mai stato applicato in modo esteso e che non ha dato risultati significativi. Oggi la Lega vuole riprendere quella vecchia idea, ma ampliandone l'ambito e rendendo le regole più rigide. Un testo, attualmente in fase di definizione, che prevede di applicare il sistema a punti non solo ai nuovi ingressi in Italia, ma anche a chi arriva nel Paese per solo ricongiungimento familiare.

Minori stranieri oggi: tra protezione legale e incertezze pratiche

Per comprendere le implicazioni di questa misura, è fondamentale considerare la situazione attuale dei minori stranieri in Italia. La legge, in linea con le convenzioni internazionali, garantisce una protezione rafforzata per i minorenni, in particolare per quelli non accompagnati, assicurando loro l'accesso a percorsi di accoglienza, istruzione, assistenza sanitaria e integrazione sociale. Molti di questi giovani affrontano però situazioni di forte fragilità: spesso vivono lontani dalle loro famiglie, in comunità di accoglienza, senza una rete di supporto stabile. Non solo, la protezione e il sostegno garantiti durante la fase della minore età rischiano di interrompersi bruscamente al compimento dei 18 anni, esponendo molti a condizioni di grave precarietà e isolamento.

Il ruolo della scuola

Nel modello ipotizzato, è la scuola che assumerebbe il ruolo centrale: frequenza e rendimento sarebbero tra i criteri decisivi per mantenere il permesso. Questo però cambierebbe la natura stessa dell'istituzione scolastica: da luogo di apprendimento e accoglienza, a spazio di monitoraggio. Per insegnanti, educatori e operatori delle comunità, ciò significherebbe anche quindi dover valutare non solo i progressi scolastici, ma anche la "condotta" e il grado di integrazione, consapevoli che una segnalazione potrebbe avere conseguenze decisive per il futuro del ragazzo o della ragazza. Una responsabilità ambigua e difficile, che rischia di minare il rapporto educativo e la fiducia.

Il rischio di subordinare l'integrazione al punteggio

L’estensione di un sistema a punti anche ai minorenni solleva insomma numerose perplessità: applicare logiche sanzionatorie a ragazzi e ragazze di 14 o 15 anni, spesso arrivati in Italia dopo percorsi traumatici e senza riferimenti familiari, significa introdurre una valutazione costante delle loro "prestazioni". Il diritto a restare nel Paese diventerebbe condizionato a una serie di obiettivi da raggiungere, con la minaccia, quotidiana, dell'espulsione sullo sfondo. Frequenza scolastica, condotta personale, adesione a corsi di lingua o a percorsi formativi: ogni elemento diventerebbe parametro di giudizio. Ma è realistico – e giusto – applicare questo modello a minori in condizioni di fragilità, esposti a disagi psicologici, difficoltà linguistiche, traumi pregressi?

Poniamo alcuni esempi concreti per capire meglio come questo sistema potrebbe incidere sulla vita quotidiana dei minorenni stranieri: immaginiamo, per esempio, un quattordicenne che vive in una comunità di accoglienza situata in una zona periferica della città, lontano dalla scuola e dai principali servizi; la distanza, la difficoltà negli spostamenti e la mancanza di trasporti adeguati potrebbero rendere difficile la frequenza regolare alle lezioni, con conseguente perdita di punti. Oppure pensiamo a una ragazzina che, pur vivendo in città, affronta problemi personali legati a un passato traumatico o a fragilità psicologiche: le difficoltà nell'adattarsi a un ambiente nuovo e a un sistema scolastico estraneo potrebbero tradursi in ritardi nell'apprendimento e nella partecipazione alle attività, mettendo così a rischio il suo permesso di soggiorno. Ancora più complessa potrebbe essere la situazione di un giovane appena arrivato, che si trova a dover affrontare non solo la barriera della lingua e la nuova realtà sociale, ma anche la solitudine, magari senza un riferimento affettivo stabile.

Molto spesso, infatti, i minori stranieri non sono accompagnati, vivono in comunità, lontano dalle loro famiglie di origine e privi di una rete di sostegno personale. Per questi giovani, la pressione di dover dimostrare costantemente un comportamento esemplare e di conseguire risultati scolastici significativi può diventare un peso insostenibile, soprattutto quando si trovano a confrontarsi con un ambiente completamente nuovo e complesso; la loro capacità di adattamento e successo non dipende esclusivamente dalla volontà individuale, ma è il risultato di un insieme di fattori sociali, psicologici e ambientali, che richiedono un accompagnamento paziente e costante. In questo contesto, un sistema che interpreta ogni difficoltà come un fallimento, punibile con la revoca del permesso di soggiorno, rischia non solo di essere ingiusto, ma anche di compromettere le possibilità stesse di integrazione e crescita di questi ragazzi.

Il quadro normativo internazionale: cosa prevede la Convenzione ONU

Sul piano giuridico, restano aperte anche questioni di compatibilità. La Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia, ratificata dall'Italia, stabilisce infatti che in ogni decisione che coinvolge un minorenne debba prevalere il suo superiore interesse. Garantisce poi il diritto alla protezione, all’istruzione e alla non discriminazione, indipendentemente dalla cittadinanza o dallo status giuridico. Subordinare la permanenza in Italia a un sistema a punti può dunque porre seri interrogativi di conformità con questi principi, soprattutto se la conseguenza estrema è l'espulsione. Il rischio è, cioè, che i diritti fondamentali si trasformino in premi condizionati, anziché in garanzie inviolabili.

Un equilibrio difficile

Che ogni cittadino – italiano o straniero – debba rispettare le leggi è un principio condiviso. Ma quando si parla di minori, e soprattutto di adolescenti privi di sostegno familiare, il rispetto delle regole non può prescindere da un sistema che garantisca supporto, istruzione, mediazione culturale, protezione, accesso alla salute e all'ascolto. I percorsi di integrazione non possono dunque essere fondati su una logica punitiva, ma costruiti su investimenti reali in strumenti educativi, accompagnamento individuale e opportunità. Senza questo, anche i giovani più motivati rischiano di trovarsi soli di fronte a ostacoli insormontabili.

La proposta della Lega si inserisce insomma in un dibattito davvero molto delicato: come coniugare controllo e inclusione? Come evitare che un meccanismo pensato per "premiare" chi si integra finisca per penalizzare proprio i più fragili? Le risposte non possono arrivare solo da nuove norme, ma forse, da un ripensamento profondo delle politiche per l'infanzia migrante.

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