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Perché il sequestro preventivo dell’inchiesta di Fanpage.it è un attacco al giornalismo

Le intimidazioni, le querele predatorie, l’idea che un’inchiesta giornalistica sia senza dignità se non interviene la magistratura: la richiesta di oscuramento e sequestro dell’inchiesta di Fanpage.it sui fondi della Lega ha origine lontane ed è un colpo inferto a tutti i giornalisti che ancora credono nell’autonomia della professione.
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Non so quando è iniziata, non c’è una data precisa. Piuttosto un’epoca, un contesto, con la corruzione che dilagava e la mafia che uccideva e soffocava. E i magistrati venivano ammazzati, e i giornalisti intimiditi o uccisi. Forse è stato allora che, sentendosi dalla stessa parte della barricata, è iniziata quella sovrapposizione e confusione di ruoli che ha portato via via all’identificazione tra l’inchiesta e il processo, tra i giornalisti e le Procure, tra il fatto di interesse pubblico e il reato. Il resto, e non è cosa da poco, l’hanno fatto le migliaia di querele e di richieste di risarcimento del danno – e poco importa quale ne sia stato l’esito – con i costi di assistenza legale sempre più insostenibili per giornali sempre più in difficoltà. È stato allora che il malware della “pezza di appoggio della Procura” (un comunicato stampa, un’indiscrezione) ha destrutturato, fin quasi a ucciderla la mission, la sola, dei giornalisti: pubblicare notizie verificate di interesse pubblico. Poco importa se siano reati, ad altri tocca – se ritengono – accertarlo. Molto di più se segnalano  violazioni di diritti, malcostumi radicati, pratiche dubbie o inaccettabili. Fatti, insomma, spesso sgradevoli, urticanti, imbarazzanti.

Se sia andata proprio così sarebbe materia di studio e di approfondimento in altri luoghi e in altre forme. Ma è forte il sospetto che senza questo corto circuito non sarebbe mai potuto accadere che un giudice ordinasseil sequestro preventivo di un’inchiesta giornalistica, ormai in rete da mesi, con la sola ed esclusiva giustificazione di una querela presentata da una persona che si è sentita diffamata. Querela a carico di ignoti (ma una testata giornalistica registrata non ha, né può avere, responsabili ignoti) e senza che sia stato svolto uno straccio di accertamento su quanto documentato con un video pubblicato da Fanpage.it. Vero o falso che sia ciò che afferma l’ex sottosegretario leghista Claudio Durigon nel filmato. Vero o falso, al di là delle doverose verifiche (giornalistiche e non giudiziarie) effettuate dai colleghi con i mezzi propri della professione (che non sono né possono essere quelli della polizia giudiziaria), ad altri toccherebbe accertare, se lo riterranno, se quelle affermazioni costituiscono un fatto-reato, oltre che un fatto di interesse pubblico. Ma è passato il convincimento, pericolosissimo, che ciò che è vero può dirlo solo un ufficio giudiziario, arrivando così a una conclusione paradossale: se non c’è inchiesta qualunque fatto è falso.

L’incredibile decreto di sequestro, privo di qualsiasi motivazione, è stato notificato nel giorno in cui si commemorava la morte di Giancarlo Siani. Nei suoi articoli c’erano anche indiscrezioni di fonte giudiziaria ma, soprattutto, c’erano  ricostruzioni dei fatti frutto di ragionamento, di contatti con fonti proprie, di una profonda conoscenza del territorio. Oggi, per zittirlo per sempre, sarebbe bastata una querela, verosimilmente infondata. L’equivalente di una scarica di pallettoni contro i giornalisti che ancora credono nell’autonomia della professione e nell’obbligo costituzionale di informare, soprattutto su ciò che accade nelle stanze del potere.

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Rosaria Capacchione, giornalista. Il suo lavoro di cronista giudiziaria e le inchieste sul clan dei Casalesi le sono costate minacce a causa delle quali è costretta a vivere sotto scorta. È stata senatrice della Repubblica e componente della Commissione parlamentare antimafia.
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