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Opinioni

Perché il governo Meloni va contro la sovranità alimentare che dice di voler difendere

Per promuovere la sovranità alimentare si devono tutelare la biodiversità e le piccole produzioni contro il cambiamento climatico e la grande industria alimentare. Peccato che il governo sembra avere in mente tutt’altro.
A cura di Fabio Deotto
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C’è un termine che è emerso più volte nel discorso che la neo-presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha fatto di fronte alla Camera martedì, una parola-totem che è stata determinate nella formazione del consenso della leader di Fratelli d’Italia negli anni di opposizione, ma che ora la maggioranza sembra determinata a utilizzare più come ornamento che per veicolare concetti reali. La parola in questione è: sovranità. Non c’è da stupirsi, del resto stiamo parlando di una maggioranza costituita da partiti in larga parte sovranisti, che non hanno mai nascosto l’intenzione di calcare col pennarello grosso i confini italici.  È curioso però notare come il termine “sovranismo”, un tempo sfoderato per rivendicare, senza troppi indugi, un’indipendenza monetaria e politica dall’Unione Europea, venga riciclato in quello che è un discorso dichiaratamente europeo e atlantista, e utilizzato per tutt’altro.

Il termine sovranità compare quattro volte nel discorso di Meloni: la prima volta per definire il popolo italiano come “titolare della sovranità”; la seconda per predicare “una riforma costituzionale in senso presidenziale, che garantisca stabilità e restituisca centralità alla sovranità popolare”; la terza per annunciare che la transizione digitale prevista dal PNRR dovrà “accompagnarsi alla sovranità tecnologica, al cloud nazionale e alla cyber-security”; la quarta, per citare quella “sovranità alimentare” che, com’è noto, è addirittura stata inclusa nella denominazione del dicastero dell’Agricoltura.

“L’Italia deve tornare ad avere una politica industriale, puntando su quei settori nei quali può contare su un vantaggio competitivo.” ha detto Meloni “Penso al marchio, fatto di moda, lusso, design, fino all’alta tecnologia. Fatto di prodotti di assoluta eccellenza in campo agroalimentare, che devono essere difesi in sede europea e con una maggiore integrazione della filiera a livello nazionale, anche per ambire a una piena sovranità alimentare non più rinviabile.”

Ma cosa significa, esattamente, “ambire a una piena sovranità alimentare”?

Cosa si intende per “sovranità alimentare”

Il concetto di sovranità alimentare è stato teorizzato per la prima volta nel 1996 da Via Campesina, un’associazione che riunisce 182 organizzazioni di contadini provenienti da 82 paesi, e che, tra le altre cose, si è fatta promotrice di pratiche agricole sostenibili, concentrandosi in particolare sulla difesa dei diritti delle piccole comunità di contadini.

Da allora, le idee promosse da Via Campesina si sono diffuse trovando diverse declinazioni, e catalizzando l’interesse di organismi istituzionali, tra cui la Banca Mondiale e le Nazioni Unite. Nella dichiarazione di Nyéleni del 2007 la sovranità alimentare viene definita come “diritto dei popoli a un cibo sano e culturalmente appropriato prodotto attraverso metodi ecologicamente sani e sostenibili, e il loro diritto di definire i propri sistemi alimentari e agricoli.”

La necessità di difendere così strenuamente questi diritti nasceva dalle condizioni di sfruttamento in cui versavano (e versano tuttora) molte popolazioni indigene, le più virtuose per quanto riguarda l’adozione di pratiche sostenibili, ma anche le più vulnerabili di fronte alla progressiva industrializzazione del settore agricolo e alle ricadute sempre più devastanti della crisi climatica. Non a caso, la dichiarazione di Nyéleni specifica anche che la sovranità dovrebbe “mettere coloro che producono, distribuiscono e consumano cibo al centro dei sistemi e delle politiche alimentari piuttosto che delle richieste dei mercati e delle società.” precisando che questo approccio “difende gli interessi e l'inclusione della prossima generazione, e offre una strategia per resistere e smantellare l'attuale regime alimentare e commerciale corporativo.” Per poi concludere che questo approccio dovrebbe privilegiare “una produzione, distribuzione e consumo di cibo basati sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica.”

In una congiuntura storica in cui l’agricoltura si trova ad essere sia vittima che responsabile della crisi climatica, in cui le ondate di caldo e le alluvioni stanno rendendo sempre più zone incoltivabili, in cui la sicurezza alimentare di intere popolazioni è messa ulteriormente a repentaglio da una guerra che sta portando a galla tutte le iniquità del settore agricolo globale, i principi proposti in origine dai fautori della sovranità alimentare sono sicuramente rilevanti.

Prova ne è il fatto che lo scorso 17 ottobre, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, il nuovo presidente di Slow Food, Edward Mukiibi, abbia posto l’accento su questo concetto, invitando a “riconoscere e aiutare gli agricoltori che applicano tecniche tradizionali basate sull’agroecologia e sull’approccio rigenerativo alla terra e agli ecosistemi.” facendo notare come spesso gli agricoltori biologici siano ignorati dai governi, e sistematicamente esclusi dalle riunioni di pianificazione.

Di fronte a un governo che decide di inserire il termine “sovranità alimentare” nella dicitura di un ministero, è lecito domandarsi quante probabilità ci siano che questi principi vengano promossi e applicati. Ecco: a giudicare da come hanno operato e votato le persone che lo compongono, molto poche.

Togliere ai piccoli agricoltori per dare all’agrobusiness

In un’intervista al Corriere della Sera, il ministro delle Politiche agricole della Sovranità alimentare e forestale, Francesco Lollobrigida, ha rivelato che il nuovo ministero è in sostanza una copia carbone dell’omonimo francese: “Sa perché lo abbiamo copiato?” ha dichiarato “Perché la Francia ha la capacità di difendere i propri interessi nazionali. E credo che ogni nazione dovrebbe avere il dovere e il diritto di difendere le proprie eccellenze alimentari.” aggiungendo che “sovranità alimentare significa tutelare l'economia e rimettere al centro della produzione il rapporto con i coltivatori non solo per proteggere una parte della filiera agroalimentare, ma la cultura rurale.”

Parole piuttosto vaghe, ma che comunque provano a rientrare nel solco della sovranità alimentare. Non fosse che, nella loro storia parlamentare, gli esponenti e i ministri di questo governo hanno votato per misure che vanno in totale contraddizione con i principi della sovranità alimentare. Una su tutte: la cosiddetta Politica Agricola Comune (PAC), uno strumento comunitario introdotto nel 1962 e che ora impegna circa il 39% del Bilancio dell’Unione Europea.

Sulla carta, la PAC avrebbe obiettivi virtuosi e condivisibili: produrre di quantità di cibo tali da garantire la sicurezza alimentare nell’UE, promuovere prodotti alimentari sicuri e di qualità elevata a costi accessibili a tutte le fasce della cittadinanza, e nel contempo proteggere il lavoro degli agricoltori e la salute delle comunità rurali, mitigare il riscaldamento globale e tutelare la biodiversità. Nei fatti, tuttavia, l’ultima versione della PAC approvata dai paesi UE va in tutt’altra direzione: un pool di 3600 scienziati provenienti da diversi paesi europei ha bocciato sonoramente la nuova politica agricola, poiché mostra “gravi carenze per quanto riguarda la conservazione della biodiversità, la protezione di clima e suolo, il degrado del territorio e le sfide socioeconomiche, soprattutto nelle zone rurali”.

Al momento di deliberare in sede europea sulla PAC, Fratelli d’Italia ha avvallato una misura che di fatto prevede sussidi agli agricoltori tramite pagamenti diretti in base all’estensione delle coltivazioni, e che dunque va a premiare la grande agricoltura industriale e gli allevamenti intensivi, senza peraltro disporre interventi ambiziosi per la tutela della biodiversità e la mitigazione climatica. Non solo: se con una mano la PAC foraggia i grandi nomi dell’agrobusiness, con l’altra  leva ai piccoli agricoltori, tramite tagli di bilancio per i Programmi di Sviluppo Rurale, oggi fondamentali per promuovere un’agricoltura locale e sostenibile.

Per tutelare le eccellenze bisogna tutelare il clima

Il fatto che a questo governo di biodiversità ed ecosistemi (e dunque di sovranità alimentare) interessi poco è lampante anche solo per la scelta di includere solo in un secondo tempo (e a fronte di vive proteste) un riferimento alle foreste nella dicitura del ministero. Il nostro è un paese coperto per il 36% di foreste, ecosistemi di strategica importanza e sempre più vulnerabili, che andrebbero dunque valorizzati e gestiti in maniera appropriata, non soltanto per i servizi ecosistemici che forniscono, ma anche per contenere il rischio di incendi che, sempre per colpa della crisi climatica, sono sempre più frequenti e intensi.

Ma anche volendo concentrarsi unicamente sul settore agroalimentare, è curioso che Lollobrigida parli di “diritto e dovere di difendere le proprie eccellenze alimentari”, quando le eccellenze alimentari italiane sono da anni in ginocchio per le ricadute della crisi climatica. Pensiamo alle difficoltà che stanno emergendo nei vitigni della Franciacorta e della Valdobbiadene, ai problemi che stanno affrontando i molluschicoltori nella sacca di Scardovari, o chi produce miele di fiori d’arancio in Sardegna, ai crolli vertiginosi nella produzione di olio, per non parlare di tutte le coltivazioni collassate in un 2022 piagato dalla siccità; il tutto mentre nelle regioni meridionali si coltivano sempre più specie esotiche, come l’avocado, il mango e il caffè.

Un governo che ha a cuore le eccellenze alimentari del proprio Paese, e che millanta di voler proteggere la filiera agroalimentare e la cultura rurale, dovrebbe porsi come priorità la lotta alla crisi climatica e la tutela della biodiversità agricola; eppure, quando si è trattato di votare per l’introduzione in Costituzione della tutela dell’ambiente e della biodiversità, il partito di Giorgia Meloni ha fatto melina, e lo stesso è accaduto quando si è cercato di approvare provvedimenti analoghi in sedere europea.

Nel frattempo, invece di parlare di agricoltura rigenerativa, di agrivoltaico, di contrasto dell’erosione del suolo e di tutela della biodiversità agricola, il ministro Lollobrigida ha annunciato un piano per eliminare il limite all’utilizzo del suolo italiano coltivabile, così da poter “sbloccare” un milione di ettari; non si sa bene a quale scopo, dato che l’Italia, per la sua conformazione, dovrebbe puntare più sull’agricoltura di qualità che su quella estensiva.

A fronte di tutto ciò, viene da chiedersi perché abbiano deciso di includere la locuzione “sovranità alimentare” nel nome del ministero, visto che sembrano decisi a percorrere tutt’altra direzione. Il dubbio è che non si siano nemmeno preoccupati di sapere cosa significasse.

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Fabio Deotto è scrittore e giornalista. Laureato in biotecnologie, scrive articoli e approfondimenti per riviste nazionali e internazionali, concentrandosi in particolare sull’intersezione tra scienza e cultura. Ha pubblicato i romanzi Condominio R39 (Einaudi, 2014), Un attimo prima (Einaudi, 2017) e il saggio-reportage sul cambiamento climatico “L’altro mondo” (Bompiani, 2021).  Insegna scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Vive e lavora a Milano.
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