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Pedicini (M5s) a Fanpage.it: “Soldi Recovery plan vanno dirottati al Sud, il Nord ha meno bisogno”

Piernicola Pedicini, europarlamentare del M5s, in un’intervista a Fanpage.it, solleva un problema non da poco per il Sud Italia, cioè quello della “disomogeneità della distribuzione delle risorse” del Recovery fund, i 209 miliardi all’Italia: “C’è l’idea che il Recovery plan italiano debba essere utilizzato per rimettere in moto l’economia al Nord, dove risiede il motore produttivo del Paese. Bisogna invece pensare a progetti d’investimento nel Mezzogiorno per appianare il gap economico tra Nord e Sud”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Piernicola Pedicini, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, in un'intervista a Fanpage.it, spiega perché il Recovery fundquasi 209 miliardi all'Italia, rischia di penalizzare soprattutto il Sud: "Le risorse del Recovery fund si intercettano con determinati criteri, stabiliti dall'Ue, attraverso un calcolo analitico che permette di individuare quanto spetta a ogni Paese. Questi criteri sono basati sul numero di abitanti, sul tasso di disoccupazione medio e sul PIL pro capite, quindi sul grado di povertà comparato a quello degli altri Paesi. Così sono stati previsti i 209 miliardi per l'Italia. Ma la maggior parte di questa cifra è dovuta alla condizione in cui versa il Sud, perché siamo noi quelli che soffriamo di più".

Il principale obiettivo del Recovery fund dovrebbe essere secondo lei quello di affrontare le criticità del Sud Italia. Cosa proponete quindi?

Queste risorse dovrebbero essere dirottate prevalentemente al Sud, al fine di contrastare per esempio la forte disoccupazione o la povertà. Ma questi soldi dovrebbero arrivare in maniera mirata, vigilata, perché sappiamo bene che il livello degli amministratori e dei governatori del Sud non sarebbe adeguato a fronteggiare un carico di lavoro così importante. La Commissione Ue dovrebbe mettere in piedi un sistema di controllo a medio e lungo termine. Però quelle risorse devono essere destinate al Sud proprio per contrastare i motivi per cui quei soldi arrivano. C'è l'idea invece che il Recovery plan italiano debba essere utilizzato per rimettere in moto l'economia al Nord, dove risiede il motore produttivo del Paese. Servono progetti d'investimento nel Mezzogiorno per appianare il gap economico tra Nord e Sud. Da noi mancano le reti infrastrutturali minime, i collegamenti di aree, le reti ferroviarie. Abbiamo una città come Matera ancora scollegata dalla rete ferroviaria del resto d'Italia. Il nostro Sud è composto da tante piccole e medie imprese distribuite sul territorio e abbiamo bisogno di reti viarie che raggiungano tutte le attività produttive. Abbiamo bisogno anche di reti immateriali, ora che il lavoro diventa sempre più teleworking: è necessaria la transizione digitale, altrimenti saremo esclusi. E abbiamo bisogno di porti: abbiamo una posizione geografica vantaggiosissima, ma i nostri porti sono ridotti a essere di secondo o terzo piano rispetto a quelli del Nord Europa o rispetto alla stessa Genova.

Quando parla di infrastrutture pensa anche al Ponte sullo Stretto?

Io non sono contrario al Ponte sullo Stretto, in linea di principio. Sono contrario alle grandi opere quando mancano le piccole opere. La nostra priorità, come M5s, è sempre stata quella di completare le opere minime, per evitare un eccessivo concentramento di capitali, e per aiutare l'economia diffusa, su cui si fonda il nostro tessuto economico e sociale. Se prima non facciamo le reti di comunicazione normali, le strade, i ponti, le ferrovie, e invece impegniamo tutte le risorse per fare il Ponte sullo Stretto, non risolviamo i problemi. Prima dobbiamo occuparci dei ritardi infrastrutturali.

Tra le politiche di supporto indicate dal premier Conte per la stesura del Piano italiano di ripresa e resilienza per accedere ai fondi previsti dal Recovery Fund c'è anche il salario minimo. È una misura che può aiutare a colmare il gap tra Nord e Sud?

No, il salario minimo è una misura ormai concepita in termini europei, d'altra parte non avrebbe senso se non si facesse su scala almeno continentale. Perché ha un effetto di ‘tessuto', è una sorta di materasso sociale che ha un effetto nel momento in cui ci sono grandi differenze tra le varie aree dell'Unione europea. Ci sono alcuni Paesi, come la Polonia, in cui il costo del lavoro è molto più basso, a scapito dei diritti dei lavoratori. Allora in quel caso nasce una concorrenza sleale. In questo senso il salario minimo può aiutare a impedire lo sfruttamento dei lavoratori, offrendo condizioni uguali per tutti. Ma non penso che l'introduzione di questa misura in un solo Paese possa risolvere il problema dell'equità sociale.

Quando entrerà in vigore il Next Generation Eu? Il Consiglio Ue si terrà il 15 e 16 ottobre, ma la trattativa con i Paesi ‘frugali' si complica. I Parlamenti nazionali dovranno ratificare il pacchetto, poi il Parlamento europeo avrà l'ultima parola sul bilancio 2021-2027 che riguarda anche le risorse per il Recovery fund. Non si rischia così uno slittamento?

Il piano per come è stato concepito è legato al bilancio dell'Unione europea, quindi la data d'avvio prevista è il 1 gennaio del 2021. Secondo il trattato non si può andare oltre. È prevista una prima tranche del 10% del Recovery fund, che dovrebbe partire già a gennaio.

L'Olanda minaccia di non ratificare il Next Generation Eu, se si dovesse procedere a maggioranza e non all'unanimità sul tema delle violazioni dello stato di diritto. Potrebbe passare la mediazione della Germania? 

L'Olanda adesso sta giocando l'elemento del veto fino all'ultimo, sono fatti così, sono dei bravi negoziatori. Se la proposta viene dalla Germania, visto che gli olandesi sono un'appendice della Germania, prima o poi accetteranno. Ci sarà però qualcosa da dare in cambio.

Anche l'Italia è sotto osservazione, e nel primo rapporto della Commissione sullo stato di diritto negli Stati membri sono emerse delle criticità. Potremmo avere problemi a ricevere quei soldi?

Sì potrebbero esserci. Ci sono delle misure che vanno sotto la categoria delle ‘condizionalità', che in alcuni casi sono legittime da parte dell'Unione europea. Vorrei sottolineare che questi sono soldi italiani, che vengono trasferiti all'Italia a condizioni di mercato migliori rispetto a quelle con cui normalmente ci forniamo del denaro sul mercato. Quindi è sicuramente una cosa positiva, ma meno di quanto raccontino i giornali. Il fatto stesso che si dica che c'è una parte a fondo perduto è un errore, si tratta di trasferimenti, cioè soldi nostri che tornano indietro con interessi praticamente nulli. Poi ci sono i prestiti, che io se fossi al posto del governo italiano non prenderei, perché noi indebitiamo l'Italia, non dimentichiamolo. Prenderei solo i grants. Però sicuramente l'Italia dovrà adeguarsi agli standard internazionali, in termini di velocità della giustizia, in termini di indipendenza dei media. Queste sono richieste legittime. Quello che non è più legittimo è quando si comincia a invadere la sovranità dei Paesi membri. Quando ad esempio si comincia a chiedere l'eliminazione di ‘Quota 100'. Allora io non sono più d'accordo, perché a quel punto si comincia a parlare di riforme strutturali che entrano nella giurisdizione dello Stato membro. Quindi le condizionalità vanno bene, soprattutto per quei Paesi in cui lo stato di diritto non viene rispettato, ma d'altra parte non bisogna interferire con la sovranità popolare.

Le è costato una sospensione di un mese il voto contrario, in dissenso dal gruppo, a una risoluzione sulla risposta europea all'emergenza coronavirus ad aprile, che contemplava anche il Mes. Perché questo provvedimento così duro da parte del M5s? Qualcuno ha detto che si è trattato di una ritorsione contro Di Battista.

Io all'epoca non sapevo neanche quale fosse la posizione di Di Battista riguardo al Mes, l'ho conosciuta solo un paio di giorni fa. Io sono il titolare della commissione economica, quindi il mio ruolo spesso è quello di votare prima degli altri, per cui ho portato avanti questa battaglia fin dall'inizio. Nella risoluzione del Parlamento c'era già un accenno al Recovery fund, con un emendamento che legava questo provvedimento al bilancio pluriennale dell'Unione europea, e noi eravamo favorevoli. Ma c'era anche un chiaro riferimento al Mes. Io e altri, tra cui Ignazio Corrao abbiamo votato contro e siamo stati sospesi per un voto difforme, ma che era in linea con i nostri programmi elettorali. Secondo me è stato un pretesto, si voleva dare un segnale, perché eravamo evidentemente invisi a chi sta gestendo in questo momento il M5s.

A differenza del Recovery Fund, che non sarà operativo fino all’anno prossimo, i soldi del Mes sarebbero disponibili da subito. Perché non utilizzare questi 36 miliardi per la sanità?

Il punto è: per fare cosa? Questi soldi, 36 miliardi a debito, che devono essere spesi per l'emergenza Covid, sono una bella cifra, una manovra economica praticamente. Quando noi facciamo i debiti dobbiamo essere sicuri che i soldi che prendiamo in prestito vengano poi spesi bene. Noi veniamo da vent'anni di Piani di rientro nella sanità, non c'è un percorso per potenziare la nostra sanità, veniamo da vent'anni di impoverimento. Abbiamo già 10 miliardi in budget inutilizzati destinati all'edilizia sanitaria; abbiamo un sistema che fa acqua da tutte le parti nelle mani dei governatori, incapaci di gestirli. E poi tornando alla questione della disomogeneità della distribuzione delle risorse, questi soldi non andrebbero al Sud, ma verrebbero spesi soprattutto al Nord, dove maggiormente si è concentrata la spesa sanitaria legata alla pandemia. E allora perché dobbiamo prendere questi soldi e indebitarci? Senza contare poi tutte le condizionalità. Tra l'altro nel Recovery plan sono previste anche le spese per sostenere il nostro sistema sanitario. Noi non abbiamo criticità nel sistema sanitario legate al Covid, abbiamo problemi nel nostro sistema sanitario in generale, e quindi non saranno i 36 miliardi a risolverli.

Torniamo al M5s, ha poi chiarito con i vertici la vicenda della sospensione?

No, non è possibile chiarire con nessuno. Già il fatto stesso che si parli di vertici del Movimento è una cosa per me indigesta. Il Movimento non avrebbe dovuto avere i vertici. Ma sappiamo che ci sono. Uno dei problemi del M5s è che i vertici agiscono da vertici senza interloquire con nessun altro. E questo sta mettendo in crisi l'intero Movimento. Quando si sono decise per esempio le nomine alle partecipate dello Stato, quando si sono decise le nomine dei ministri e dei sottosegretari, non c'è stata alcuna discussione con gli altri parlamentari, con gli attivisti o con gli iscritti, le hanno decise poche persone, riducendo il M5s a una forza ormai priva di identità e priva di consenso.

Possono in qualche modo gli Stati generali risollevare il M5s? Come dovrebbero indirizzarlo? 

Il M5s ha preso ormai una strada dalla quale credo sia impossibile tornare indietro. Gli Stati generali, così per come si stanno organizzando sono semplicemente fumo negli occhi per tutti quelli che sentono il bisogno di un luogo e di un momento di discussione. Ritrovare l'identità significa riprendere i vecchi temi irrisolti e portarne avanti di nuovi. Il M5s è nato come movimento contro il grande potere finanziario, quando questo è esercitato contro l'interesse dei cittadini, non perché noi siamo contro il sistema delle banche in generale. Siamo contro la grande concentrazione del potere, e in generale contro il grande establishment sia europeo sia italiano. E questo è un atteggiamento che va al di là delle destre e delle sinistre. Nel momento in cui siamo diventati noi il sistema che fa esattamente le cose di prima vuol dire che non saranno gli Stati generali a salvare una situazione ormai incancrenita. Credo che li stiamo organizzando esclusivamente per dare la sensazione a tutti di aver partecipato ad un processo, in modo tale da legittimare ancora quel verticismo, che è ancora in piedi, e che ha portato il M5s a non essere più attraente per le persone.

Pensa che sia stata anche l'alleanza con il Pd a far allontanare gli elettori?

Sì, anche. Anche se penso che questa sia stata più una conseguenza del problema. Io mi rendo conto che una forza che si pone come forza che aspira a governare, viste le condizioni che abbiamo in Italia con questa legge elettorale che ci siamo ritrovati, non può non ragionare in termini di accordo con altre forze politiche. Io non ho avuto problemi con la Lega e non ho avuto problemi con il Pd. Il problema è chi è il M5s. Perché se il M5s si siede a un tavolo con il Pd o con la Lega e pone delle condizioni ferme, da forza di maggioranza, allora quando si negozia ci sono dei limiti invalicabili, che devono essere scelti non da un paio di persone ma dall'intero Movimento. Si può fare qualcosa sulla falsariga del contratto di governo che è stato fatto con la Lega, e con questo espediente si può andare a governare con chiunque. Noi abbiamo perso energie nel momento in cui siamo stati con la Lega e siamo diventati come la Lega. Poi quando siamo andati con il Pd e siamo diventati come il Pd. Adesso la Lega si è rafforzata, il Pd si è rafforzato, ed è scomparso il M5s.

Pensa anche lei quello che ha detto Di Battista, e cioè che in questo momento ci sarebbero persone all'interno del M5s che temono possa diventare lui il nuovo capo politico?

Certo che lo penso anch'io, è così. Anche il dibattito, che viene sostenuto dai mezzi di informazione, che ruota attorno alla leadership, se deve essere unica o collegiale, non è un caso che sia stato tirato fuori adesso. È evidentemente uno strumento per annichilire Di Battista, non appena si è palesata la possibilità che si candidasse alla guida del Movimento. Perché con Di Battista capo politico cambierebbe tutto: il M5s diventerebbe una forza di governo che non cede di fronte a certe posizioni. Questo naturalmente spaventa chi al governo c'è andato, e magari ora fa il ministro e non si scollerebbe da quella poltrona per niente al mondo. Di Battista ha ragione, lo temono, però mentre sono lì ad aspettare che qualcosa succeda, chi ne piange le conseguenze è il M5s.

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