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Oxfam a Fanpage: “Israele blocca ancora i nostri aiuti, a Gaza si continua a morire di fame: altro che pace”

Due giorni fa Israele ha violato il cessate il fuoco con nuovi bombardamenti a Gaza. Al momento, la tregua sembra essere ripresa, ma i valichi restano chiusi e gli aiuti umanitari ancora bloccati. Oxfam denuncia a Fanpage l’esclusione delle ONG e la gravissima crisi umanitaria ancora in corso.
A cura di Francesca Moriero
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Un soldato israeliano accanto ai pacchi di aiuti umanitari al valico di Kerem Shalom nella Striscia di Gaza
Un soldato israeliano accanto ai pacchi di aiuti umanitari al valico di Kerem Shalom nella Striscia di Gaza

La tregua a Gaza, annunciata e rilanciata, non sembra ancora iniziata davvero. Nella Striscia si continua a morire: di fame, di sete, per l'assenza di medicine, per ferite non curate e per il cinico calcolo politico che trasforma ogni valico in un confine impossibile da superare e ogni ONG in un sospetto da monitorare. E nella notte si è tornati a morire anche sotto le bombe. Israele, appena due giorni fa, ha infatti ripreso i bombardamenti a tappeto, violando apertamente il cessate il fuoco: secondo fonti palestinesi, almeno 100 persone sono rimaste uccise, tra cui molti bambini.

Nel frattempo, gli aiuti umanitari – quelli essenziali, che dovrebbero passare anche nel mezzo di una guerra o un'invasione militare, da cui dipende la sopravvivenza dell'intera popolazione, restano ancora bloccati. Israele ha annunciato che la tregua è di nuovo in corso e che riaprirà alcuni valichi, ma per ora la situazione resta ferma. E drammatica.

Fanpage.it ne ha parlato con Paolo Pezzati, Portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam, che da settimane denuncia lo stallo umanitario e le responsabilità politiche internazionali.

Oxfam: "Nessun miglioramento. La tregua è un'illusione"

"A Gaza non è cambiato quasi nulla. Sì, i valichi di Kisufim e Karem Shalom sono stati riaperti parzialmente, ma solo per far passare qualche camion delle Nazioni Unite e pochi beni commerciali. Le ONG, che prima garantivano il grosso degli aiuti, sono ancora fuori da tutto. Il meccanismo umanitario previsto dalla Risoluzione 2720 semplicemente non è mai stato attivato", spiega Pezzati.

Le ragioni di questo stallo infatti, non sono soltanto militari, ma anche burocratiche e politiche. Per capire perché gli aiuti umanitari non arrivano, bisogna guardare a come funziona — o meglio, non funziona — il "sistema" che regola l’accesso delle organizzazioni umanitarie a Gaza.

Prima del 7 ottobre 2023, un'organizzazione non governativa che voleva operare in un determinato territorio doveva registrarsi nel Paese competente; una volta completata la registrazione, questa rimaneva valida in modo permanente, senza bisogno di rinnovi o ulteriori autorizzazioni. Per quanto riguarda la Striscia di Gaza, anche prima dell’invasione militare era obbligatorio ottenere il via libera da parte delle istituzioni israeliane, dal momento che lo Stato ebraico controlla — in violazione del diritto internazionale — l’accesso al territorio palestinese. Di conseguenza, anche gli aiuti umanitari destinati ai civili dovevano sottostare a un processo di approvazione imposto da Tel Aviv. Dopo il 7 ottobre, però, il sistema è cambiato radicalmente: Israele ha imposto un nuovo processo di registrazione per tutte le ONG internazionali che vogliono operare nei Territori Palestinesi, e in particolare a Gaza. Un sistema "estremamente complesso, pieno di ostacoli burocratici, condizioni restrittive e richieste considerate vessatorie, come la consegna dei dati personali di tutti i dipendenti", racconta Pezzati.

Di fatto, si tratta di una vera e propria schedatura che, secondo molte ONG come Oxfam, viola le normative europee sulla protezione dei dati personali. Questo nuovo meccanismo, per Israele "servirebbe a regolare l'accesso umanitario", ma in pratica funziona come uno strumento per limitarlo drasticamente; le ONG denunciano da tempo di non riuscire a far entrare convogli, né a distribuire gli aiuti già pronti, nonostante ci siano milioni di dollari in beni essenziali bloccati ai confini — acqua potabile, kit sanitari, cibo e coperte.

"Prima del 7 ottobre 2023 entravano a Gaza circa 500 camion al giorno. Oggi siamo a meno di 950 camion in totale dall'inizio della tregua. In tre settimane". Una quantità che copre appena 48 ore di necessità per una popolazione di oltre due milioni di persone. Una situazione che va insomma in direzione opposta rispetto alla Risoluzione 2720 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, adottata il 22 dicembre 2023, che chiedeva un meccanismo umanitario efficace e senza ostacoli per far arrivare gli aiuti alla popolazione civile di Gaza.

In teoria, Israele avrebbe dovuto collaborare attivamente con questo processo. In pratica, quella risoluzione è rimasta carta straccia.

"Israele non rispetta il diritto internazionale, e nessuno dice nulla"

Per Oxfam la responsabilità è chiara. E non riguarda solo la violazione del cessate il fuoco: "Israele non sta rispettando, come detto, la risoluzione 2720, che ha valore giuridicamente vincolante. Non sta rispettando neppure le regole fondamentali del diritto umanitario. E questo mentre migliaia di civili – uomini, donne, bambini, anziani, malati – muoiono ogni giorno non solo per le bombe, ma anche per la fame, per l'assenza di cure, per la sete", denuncia Pezzati.

Denuncia che non è certo nuova. E che sembra restare, anch'essa, come tante, inascoltata: "Abbiamo chiesto al governo italiano di smettere di restare in silenzio. Di prendere posizione, di esercitare una pressione politica vera. Perché questa è una catastrofe umanitaria. Ma da Roma, finora, non è arrivata alcuna risposta".

Una ricostruzione senza i palestinesi 

Oltre al disastro umanitario, c'è poi il vuoto politico: "Nessun piano credibile per la ricostruzione di Gaza è stato presentato. Nessun coinvolgimento del popolo palestinese, nessun accenno alla fine dell'occupazione, né tanto meno all'eliminazione delle colonie illegali in Cisgiordania, condannate anche dalla Corte Internazionale di Giustizia". Nel piano a firma Trump, insomma, manca tutto: "Manca la giustizia, manca l'autodeterminazione. Manca perfino la percezione che i crimini di guerra – perché di questo si tratta – debbano essere accertati. Sembra che si voglia usare la tregua come un colpo di spugna", dice Pezzati.

Alla fine, sottolinea ancora Pezzati, il punto è sempre lo stesso: nessuna pace può reggersi sull'impunità: "Se non si definiscono tempi certi, ruoli chiari e meccanismi per accertare le responsabilità di chi ha commesso crimini contro l'umanità, tutto questo fallirà. Proprio come fallirono gli Accordi di Oslo. La fase di transizione non può essere affidata a soggetti terzi, ignorando i palestinesi, le loro comunità, i loro giovani, la loro società civile".

E mentre il futuro della Palestina resta sospeso, come gli aiuti bloccati ai valichi, la comunità internazionale osserva, conta i morti e parla già di pace. Ma, senza giustizia, senza la voce dei palestinesi, senza la fine dell'occupazione e lo smantellamento delle colonie, nessuna tregua potrà mai chiamarsi tale.

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