Orlando a Fanpage.it: “Solo alle banche il governo chiede il permesso per tassarle, è imbarazzante”

La legge di bilancio 2026 è arrivata, e una parte dei soldi per le misure arriverà dalle banche, stando a quanto ha annunciato il governo Meloni. Non si tratterà della tanto discussa tassa sugli extraprofitti, ma di una misura molto più morbida, arrivata alla fine di una ‘contrattazione' tra gli istituti di credito e l'esecutivo. Andrea Orlando, ex ministro ed ex deputato del Partito democratico, oggi consigliere regionale in Liguria, ha risposto alle domande di Fanpage.it dicendo che la "trattativa" tra governo e banche "è un unicum".
Nel nostro ordinamento tributario "non c'è nessun altro soggetto abilitato a fare una trattativa per decidere quant'è la tassazione che più gli aggrada. Mi pare un precedente abbastanza divertente, se non fosse pericoloso", ha detto.
Lei è stato ministro in quattro governi diversi, e ha partecipato ai lavori di numerose leggi di bilancio. Questi colloqui con le banche sono diversi da quelli che avvengono, per esempio, con i sindacati e con le associazioni di datori di lavoro?
Le banche non sono tra le forze sociali che normalmente partecipano alla definizione di una manovra. In ogni caso, anche con le forze sociali non c'è un confronto di questo tipo. Non è che al sindacato si chiede: "Quanto volete che tassiamo i lavoratori dipendenti?". Lo stesso vale per le imprese. Si cerca di tenere conto delle istanze, non si tratta sulle imposte.
Già negli anni scorsi il governo si è confrontato con le istituzioni bancarie prima di varare la legge di bilancio. Perché è una pratica "pericolosa", come ha detto?
È il sintomo della subalternità del governo e di Giorgia Meloni rispetto al mondo delle grandi concentrazioni finanziarie. Se ci sono le ragioni per imporre una tassazione è lo Stato che lo decide.
Lo Stato può ascoltare, ma addirittura fare una vera e propria trattativa e sperare che i destinatari della tassa diano il consenso significa stravolgere le regole del gioco. E credo che questo derivi anche dalla divisione che esiste su questo punto dentro la maggioranza.
Tra le misure varate dal governo per le banche c'è un aumento dell'Irap di due punti. È un passo nella direzione giusta?
Meglio due punti che niente, ma sicuramente non è questo l'intervento in grado di ridistribuire la ricchezza dalla finanza all'economia reale.
Cosa servirebbe, invece?
Negli ultimi anni ci sono stati una serie di shock e contro-shock che hanno beneficiato alcuni soggetti. Durante il Covid, le case farmaceutiche e le multinazionali del digitale. Dopo l'inflazione e la crisi Ucraina, i grandi player dell'energia. Dopo l'aumento dei tassi di interesse dettati dalla Bce, le banche.
Questi shock hanno spostato risorse da altri settori, creando concentrazioni di ricchezza senza particolari meriti. Le autorità pubbliche dovrebbero intervenire per riequilibrare questi effetti anomali. Ma è una sfida che, al di là della propaganda, la destra non ha voluto affrontare. La cosa impressionante è la postura del governo.
In che senso?
Come sono baldanzosi nei confronti di chiunque contesti il governo. E come sono tremebondi quando, invece, si tratta di confrontarsi con soggetti che hanno un potere ben maggiore.
Si sono costruiti l'immagine di quelli che stanno dalla parte del popolo e contro le grandi concentrazioni finanziarie. Hanno attaccato la "dittatura dello spread" e la sottomissione dei governi tecnici alle banche. L'hanno fatto dall'opposizione, quando non costava niente, quando non impegnava. Ora che si tratta di passare dalle parole ai fatti dimostrano un atteggiamento imbarazzante.
Io non voglio la persecuzione delle banche: devono essere trattate come tutti gli altri. Se ci sono ragioni per tassarle – e secondo me ci sono – si tassano, se non ci sono non si tassano. Ma non ci si rimette alla loro graziosa condiscendenza.
Ha accennato alle divisioni interne alla maggioranza sulle banche. Si sono viste fino all'ultimo: hanno esultato sia la Lega, che voleva una tassa sugli extraprofitti che portasse miliardi allo Stato, sia Forza Italia che non voleva sentirne parlare. Chi ha ragione?
Come dicevo, c'è una distanza siderale tra la retorica che le forze di maggioranza hanno hanno utilizzato in questi anni e la condotta del governo. Da un lato avevamo la Lega che aveva evocato la possibilità di tassare le banche. Dall'altro, Forza Italia che si era detta totalmente indisponibile. Alla fine Meloni è andata più dietro a Forza Italia, nonostante anche lei sia stata protagonista di quel tipo di retorica in passato.
Durante il primo anno del governo Meloni, Matteo Salvini annunciò una tassa sulle banche che la premier stessa si intestò, difendendola apertamente e definendo quei guadagni delle banche "ingiusti". Poi ci fu una marcia indietro pressoché completa. Oggi è successa la stessa cosa?
Nel 2023 la vicenda si risolse in una barzelletta. Arrivò una tassa che non si pagava se si patrimonializzava: come dire che uno non paga le tasse se si compra un'automobile. Chiaramente, le banche scelsero di patrimonializzare.
La destra per anni ha associato le banche a una dimensione quasi da complotto internazionale, le ha demonizzate, mentre oggi il governo non sembra più trovare il demonio così brutto, anzi. Io non consideravo le banche un demonio prima e non lo faccio ora. Sono soggetti che al momento si trovano in una condizione che permette loro di sostenere l'economia reale.
Oggi abbiamo un problema di caduta verticale dell'industria. Si dovrebbero spostare risorse dalla finanza all'industria, oltre che a sostegno delle famiglie e dei lavoratori. Ma questo aiuto all'economia reale, in barba a tutta la propaganda del governo, non ci sarà.