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Medicina, al via esami del semestre aperto: aule sovraffollate, costi in salita e studenti nel caos

Alla vigilia del primo appello, la riforma che avrebbe dovuto democratizzare l’ingresso a Medicina sembra mostrare criticità strutturali: aule sature, informazioni carenti e una spesa media di 460 euro che smentisce l’idea di accesso libero. Tra entusiasmo del Ministero e malcontento degli studenti, il nuovo modello parte già in salita.
A cura di Francesca Moriero
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Domani, giovedì 20 novembre, le aule universitarie di 44 sedi italiane si riempiranno per il primo appello degli esami del "Semestre aperto", la nuova frontiera dell'accesso alla formazione medica. Una riforma presentata come una democratizzazione del sistema: niente più quiz di pochi minuti a decidere il futuro di migliaia di aspiranti camici bianchi, ma un percorso di sei mesi dentro gli atenei, con lezioni, esami e una valutazione più ragionata. Sulla carta, una piccola rivoluzione. Nella pratica, la prima prova generale rischia già di mostrarne le crepe.

Un successo "numerico" che non scioglie i nodi

I dati resi noti dal Ministero dell'Università raccontano un entusiasmo diffuso: "Il tasso medio di iscrizione ai tre esami è pari all'87%", sottolinea il MUR. Sono 53.504 gli studenti che affronteranno l'esame di biologia, 53.433 quelli di chimica, 53.003 quelli di fisica: percentuali altissime e omogenee su tutto il territorio, un risultato che il Ministero legge come la prova di una riforma compresa e accolta.

Dietro a questa compattezza iniziale, si muove però un'onda di malcontento che la narrazione ufficiale sembra non voler menzionare: numeri alti non significano qualità dell'esperienza, né fiducia nel modello. E infatti il quadro che arriva dagli studenti appare molto meno lineare di quanto sembri.

La promessa dell'accesso libero, le aule sovraffollate

Il nuovo sistema prevedeva l'aumento dei posti disponibili, 19.707 solo nelle statali (27.175 con non statali e corsi in inglese), come garanzia di un accesso più aperto e meno selettivo. Ma più che un allargamento, per molti, il Semestre aperto sta significando un sovraffollamento ingestibile.

Secondo un sondaggio di Skuola.net su 500 matricole, il 44% di chi ha frequentato in presenza denuncia aule troppo piccole e condizioni difficili; un ulteriore 30% parla di disagi minori ma comunque presenti; solo il 24% definisce adeguati gli spazi. Sembra il paradosso della riforma: aprire le porte, ma poi chiuderle fisicamente. Non a caso, il 30% degli studenti ha seguito solo in DAD, per decisione dell'ateneo stesso; un "accesso libero" che molti hanno conosciuto attraverso uno schermo.

Comunicazione scarsa e un modello che nessuno capisce davvero

Se c'è un elemento che ricorre nelle testimonianze, poi, è la confusione: per il 52% degli intervistati, le informazioni su funzionamento degli esami, criteri e graduatorie sono state insufficienti; per il 16% addirittura inesistenti o caotiche. Il Semestre aperto nasceva anche per dare tempo e gradualità, ma un percorso poco spiegato sembra diventare così un labirinto: si affrontano corsi intensi, appelli ravvicinati e un'ansia crescente, senza una bussola chiara. E non basta la presenza di 870 commissari, 1.076 responsabili d'aula e 192 tecnici CINECA per garantire ordine, se l'impianto generale viene percepito come incerto.

La selezione c'è ancora, ma costa di più

Uno degli obiettivi dichiarati della riforma era poi quello di superare il "business" dei corsi privati di preparazione ai test. Ma il semestre filtro non sembra aver ridotto la spesa media degli studenti, ma semplicemente spostata altrove.

Il sondaggio parla infatti molto chiaro: l'87% ha già speso soldi extra per prepararsi agli esami del semestre. Il totale medio? 459 euro a studente. C'è poi chi si è limitato ai manuali (50–100 euro), ma il 12% ha investito tra 600 e 800 euro, un altro 12% tra 800 e mille. E un ulteriore 12% ha superato i mille. Il corso privato non sarebbe sparito, ma mutato, diventando un "corso propedeutico" o un abbonamento a piattaforme online. Insomma, l'eliminazione del test non ha eliminato la competizione né i costi: li ha solo spalmati su mesi di corsi, esami e materiali.

Un morale già basso prima ancora dell'appello

Alla vigilia del primo esame, l'ottimismo appare così merce rara: solo il 24% degli studenti si sente fiducioso di poter accedere al secondo semestre; molti non imputano la loro insicurezza alla materia, biologia, chimica, fisica, quanto al modo in cui il semestre è stato organizzato: lezioni ridotte, frequenza incerta, indicazioni confuse, valutazioni ravvicinate. Un sentimento che stride con la narrazione ministeriale della "forte partecipazione".

Una riforma che sembra correre troppo veloce

La verità è che il modello del Semestre aperto sembra essere stato lanciato in corsa, dentro atenei impreparati a gestire un aumento così rapido di matricole e una selezione diluita nel tempo. Il risultato appare un ibrido: non più il vecchio test, ma neanche un vero percorso formativo inclusivo. E il rischio è evidente: una selezione più lunga, più costosa e con più variabili, dove chi ha mezzi economici e stabilità logistica parte comunque avvantaggiato. E dove le promesse di accesso libero si scontrano con limiti infrastrutturali e con un livello di incertezza che gli studenti percepiscono come ingiustizia.

Domani iniziano gli esami. Il secondo appello è già fissato per il 10 dicembre, e poi arriverà la graduatoria nazionale, con il taglio a 18/30 per poter proseguire. La macchina, insomma, si è messa in moto. Ma se l'obiettivo era rendere più equo l'accesso alle professioni sanitarie, i primi segnali raccontano un'altra storia: la selezione non è stata abolita. Sembra solo aver cambiato forma.

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