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Manovra 2026

Manovra, spunta il regalo ai datori di lavoro: non più costretti a pagare gli arretrati stabiliti dai giudici

Polemiche su una nuova norma che Fdi ha fatto inserire nella manovra al rush finale: in pratica gli imprenditori che, sulla base di quanto stabilito dai giudici, non pagano adeguatamente i propri lavoratori, in linea con quanto previsto dall’articolo 36 della Costituzione, non saranno tenuti a corrispondere la differenza nel caso si siano comunque attenuti agli standard di alcuni contratti collettivi.
A cura di Annalisa Cangemi
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Tra gli emendamenti alla manovra 2026 approvati ce ne è uno che contiene una norma che era stata in parte già presentata la scorsa estate da Fdi, e poi ritirata. La norma è spuntata quasi al fischio finale, alle ultime battute dell'esame in commissione, ed è stata proposta ancora da Fratelli d'Italia nelle vesti di subemendamento ad alcune riformuluzioni depositate dal Governo.

In pratica l'emendamento dice che il datore di lavoro non può essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive per il periodo precedente il deposito del ricorso per violazione dell'articolo 36 della Costituzione se ha applicato "lo standard retributivo previsto dal contratto collettivo".

L'articolo 36 della Costituzione prevede che il lavoratore "ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa". La norma stabilisce quindi che in caso ci condanna del datore di lavoro per violazione di questo articolo non sono dovuti gli arretrati.

Il testo dell'emendamento di Fdi che evita al datore di lavoro il pagamento degli arretrati in caso di condanna

L'intervento riprende, seppure in parte, un emendamento depositato a luglio scorso al decreto sulle crisi industriali (tra cui ex Ilva) dal senatore Salvo Pogliese (FdI) che poi lo aveva ritirato. Ecco cosa dice il testo:

Con il provvedimento con cui il giudice accerta, in ogni stato e grado del giudizio, la non conformità all'articolo 36 della Costituzione dello standard retributivo stabilito dal contratto collettivo di lavoro per il settore e la zona di svolgimento della prestazione, tenuto conto dei livelli di produttività del lavoro e degli indici del costo della vita, come accertati dall'Istat, il datore di lavoro non può essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive per il periodo precedente la data del deposito del ricorso introduttivo del giudizio se ha applicato lo standard retributivo previsto dal contratto collettivo o dai contratti che garantiscono tutele equivalenti per il settore e la zona di svolgimento della prestazione.

La nuova versione della norma, adesso, precisa che "la disposizione non si applica se il giudice accerta che il datore di lavoro non applica un contratto collettivo o altro contratto equivalente, oppure se il contratto collettivo applicato non si riferisce al settore economico nel quale il lavoratore ha prestato attività per conto dell'impresa".

Nel dossier dei tecnici del Senato sugli emendamenti alla manovra approvati si ricorda che "alcune sentenze della Corte di cassazione hanno affermato che i contratti collettivi – anche se stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative – devono essere disapplicati dal giudice qualora i trattamenti economici minimi siano inequivocabilmente non conformi ai princìpi di cui al suddetto articolo 36, primo comma, della Costituzione". E si chiede quindi di valutare l'opportunità "di chiarire, in relazione all'orientamento giurisprudenziale suddetto, la portata giuridica di tali riferimenti". 

Le polemiche: per sindacati e opposizioni i lavoratori avranno meno tutele

Per opposizioni e sindacati si tratta di un colpo di mano da parte del governo, e di una norma lesiva dei diritti dei lavoratori. In questo modo gli imprenditori che, sulla base di quanto stabilito dai giudici, non pagano adeguatamente i propri lavoratori, non saranno costretti a pagare ai propri dipendenti la differenza, nel caso si siano comunque attenuti agli standard di alcuni contratti collettivi. Si tratta di casi in cui, secondo i giudici, il trattamento economico non sia conforme ai princìpi  dell'articolo 36 della Costituzione sulla retribuzione proporzionata.

"Abbiamo presentato per l'Aula un emendamento soppressivo dell'assurda norma, infilata in manovra nottetempo e incostituzionale, con cui la maggioranza sferra l'ennesimo colpo ferale ai diritti dei lavoratori. Una norma ordinamentale, che quindi non poteva entrare nella stessa manovra, che arriva a stabilire che i lavoratori che si sono visti riconoscere da un giudice la non conformità all'art. 36 della Costituzione del proprio salario non potranno chiedere gli arretrati al datore di lavoro: quest'ultimo, difatti, non potrà essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive relative al periodo precedente la data di deposito del ricorso. Inizia da qui la nostra battaglia contro questo vero e proprio scempio", ha detto il capogruppo del M5s in commissione Bilancio al Senato Elisa Pirro.

Per il dem Arturo Scotto, capogruppo della commissione Lavoro alla Camera, "Aver inserito nella manovra di bilancio l'emendamento Pogliese è una vigliaccata fatta ai danni dei lavoratori più poveri e indifesi. Una sanatoria mascherata per le imprese che hanno pagato per anni i lavoratori con retribuzioni da fame a cui i giudici hanno chiesto di sanare gli arretrati dovuti. Cosa che grazie a questo intervento non sarà possibile. Mentre le opposizioni continuano a chiedere il salario minimo, loro trasformano lo sfruttamento in una cosa normale".

"Un nuovo e grave attacco ai diritti dei lavoratori da parte del Governo. Con un emendamento alla legge di Bilancio, senza alcun confronto con le organizzazioni sindacali, si tenta di rendere più difficile la tutela dei salari e il recupero dei crediti retributivi. Zero benefici per i lavoratori, solo attacchi" si legge in una nota firmata dalla segretaria confederale della Cgil Maria Grazia Gabrielli.

"Si usa la legge di Bilancio – ha detto ancora la dirigente sindacale – su una materia del tutto estranea alla programmazione economica. E palesemente si interviene contro le recenti sentenze della Corte di cassazione in materia di giusta retribuzione". "Dopo essere stata cancellata dal decreto Ilva – ricorda la dirigente sindacale – a seguito dell'opposizione delle forze sociali e politiche, la norma viene riproposta stabilendo che il datore di lavoro non può essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive per il periodo precedente la data del ricorso, se ha applicato lo standard retributivo previsto dal contratto collettivo leader".

"Il risultato è un indebolimento concreto delle tutele salariali. Una norma che – ha aggiunto Gabrielli – neutralizzando cinque anni di arretrati, appare manifestamente incostituzionale e che colpisce i diritti fondamentali dei lavoratori. Non esistono alternative: l'unica soluzione è lo stralcio definitivo. La Cgil contrasterà la norma con ogni iniziativa, in tutte le sedi". 

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