Sanità, il governo promette assunzioni ma medici e infermieri non vogliono lavorare nel pubblico

La manovra sanitaria del governo promette numeri importanti: 30 mila assunzioni tra medici, infermieri e tecnici sanitari entro il 2028, di cui oltre 12 mila solo nel 2026. Una risposta attesa da tempo alla cronica carenza di personale che affligge il servizio sanitario nazionale. Ma c‘è un problema sostanziale, difficile da ignorare: questo personale non c'è. O, meglio, non c'è più. Il paradosso sta nel fatto che, nonostante i posti disponibili, sempre meno giovani scelgono di lavorare nel pubblico, scoraggiati da condizioni difficili e stipendi bassi. Ai test di ammissione per infermieristica, per la prima volta, i posti disponibili hanno superato i candidati: 20mila contro appena 19mila iscritti. Nel frattempo, alcune specialità mediche restano scoperte, perché lavorare in settori ad alta pressione e bassa remunerazione è sempre meno attrattivo.
Il governo costruisce insomma una manovra da quasi 4 miliardi di euro per rafforzare il pubblico, mentre la base su cui dovrebbe poggiare questa ricostruzione, e cioè il personale, si sta sgretolando.
La promessa: più assunzioni e più soldi per restare nel pubblico
Il piano, illustrato dal ministro della Salute Orazio Schillaci, prevede una doppia leva: assunzioni e incentivi economici. Nel 2026, ad esempio, si metteranno sotto contratto 2.300 nuovi medici e 9.700 tra infermieri e tecnici sanitari. A questi si sommano aumenti stipendiali mirati, destinati a chi lavora solo nel pubblico e rinuncia alla libera professione.
Per i medici è previsto:
- un aumento mensile medio di 220 euro (indennità di specificità),
- un bonus annuale da 246 a 1.825 euro lordi per chi non lavora nel privato.
Per gli infermieri:
- un aumento dell’indennità di specificità pari a circa 110 euro lordi al mese,
- e la possibilità, finora mai attuata su larga scala, di esercitare la libera professione fuori dall’orario di lavoro, come già avviene per i medici.
Una manovra sulla carta davvero molto ambiziosa, che punta a ricostruire tutta l'ossatura del sistema sanitario nazionale, oggi sempre più fragile. Ma mancherebbe un elemento decisivo: chi metterà in pratica queste riforme?
La realtà: carenza di vocazioni, stipendi bassi, corsi universitari deserti
Nel mondo reale, il personale sanitario, come anticipato, sta diminuendo. E non per mancanza di fondi o per colpa della burocrazia, ma, prima di tutto, per assenza di attrattiva: i giovani italiani non vogliono più fare gli infermieri, e molti medici evitano le specializzazioni pubbliche più stressanti o meno remunerative. L'indicatore più eclatante è arrivato dai test universitari 2025 per infermieristica: per la prima volta i candidati sono stati meno dei posti disponibili. Solo 19mila iscritti per 20mila posti. Un dato mai registrato prima, che segnala un crollo di interesse per una professione essenziale, ma sempre più svalutata. E i numeri sul lavoro non sono incoraggianti:
- In Italia un infermiere guadagna in media 32.400 euro lordi l'anno, quasi come un impiegato generico;
- La media OCSE, per confronto, è 39.800 euro: quasi 7.400 euro in più;
- E le condizioni di lavoro, spesso al limite, non aiutano né a trattenere né a motivare.
Il pubblico perde attrattiva, il privato corre (e guadagna)
Anche tra i medici, il problema non è tanto la quantità quanto la qualità della distribuzione; le specializzazioni pubbliche come medicina d'emergenza, anestesia, pronto soccorso sono sempre più vuote. A parità di sforzo, il settore privato, o l'attività in intramoenia, cioè le visite private svolte all'interno degli ospedali pubblici, offre più soldi e più flessibilità. Nel 2023, l'attività intramuraria ha raggiunto 1,286 miliardi di euro di ricavi, con un aumento del 33% rispetto al 2022.
A farla, spesso, sono dirigenti e docenti universitari, cioè chi dovrebbe anche occuparsi di riorganizzare l'attività pubblica per ridurre le liste d'attesa. Un evidente conflitto di interesse che il governo cerca di correggere incentivando l'esclusività, ma senza una vera riforma del sistema.
Il reclutamento dall'estero come soluzione d'emergenza
Consapevole del problema, lo stesso ministro Schillaci ha ammesso che per coprire i buchi sarà necessario "guardare fuori dall'Italia". Alcune regioni avrebbero già avviato reclutamenti da Paesi come India, Argentina, Paraguay, Albania e Indonesia. Una soluzione che può tamponare nell'immediato, ma che non risolve certo il problema strutturale, e cioè a fuga di competenze dal sistema pubblico nazionale.
Insomma, in assenza di una strategia parallela per rendere nuovamente attrattive queste professioni, la manovra rischia di diventare una promessa che il Paese non è in grado di mantenere. Perché non basta dire “assumiamo”, prima, infatti, bisogna assicurarsi che ci sia ancora qualcuno disposto a farsi assumere.