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Manovra 2026

L’oro della Banca d’Italia è “del popolo italiano”: alla fine la legge entra in Manovra, cosa cambia

Dopo settimane di dibattito, la commissione Bilancio del Senato ha approvato l’emendamento alla manovra 2026 che afferma che l’oro della Banca d’Italia “appartiene al popolo italiano”. Una misura-bandiera su cui Fratelli d’Italia ha insistito molto, anche se nella sostanza non avrà nessun effetto concreto immediato per i cittadini.
A cura di Luca Pons
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Le "riserve auree gestite e detenute dalla Banca d'Italia (…) appartengono al Popolo Italiano". Recita così – con tanto di maiuscole – il testo della norma approvata oggi dalla commissione Bilancio del Senato, che quindi è entrata ufficialmente nella manovra 2026. Dopo una nottata lunga e complessa, segnata dallo scontro sulle pensioni che alla fine ha costretto il governo a riscrivere una parte importante della legge di bilancio, per Fratelli d'Italia è arrivata una vittoria simbolica. Che, però, cambierà ben poco nell'immediato per i cittadini.

La proposta era stata avanzata inizialmente proprio da FdI, con la prima firma del capogruppo al Senato Lucio Malan. Ma, quando si avvicinava il momento di votarla, era intervenuta la Banca centrale europea sollevando dei dubbi. A quel punto, il governo – e in particolare il ministro dell'Economia Giorgetti – ha dovuto portare avanti un confronto con la Bce, rassicurando la sua presidente Christine Lagarde che la norma non sarebbe andata a intaccare i trattati europei che regolano il funzionamento delle banche centrali, inclusa Bankitalia. Dopo due riscritture, è arrivato un compromesso.

La Banca d'Italia ha delle riserve d'oro enormi: nel mondo, solo il Fondo monetario internazionale, la Bundesbank tedesca e la Federal Reserve degli Stati Uniti ne hanno di più. Si parla nel complesso di 2.452 tonnellate d'oro, per un valore stimato che oggi si aggira attorno ai 290 miliardi di euro.

Bankitalia, però, formalmente è indipendente rispetto allo Stato italiano. Lo stabiliscono diversi trattati e documenti europei: il Trattato sul funzionamento dell’Ue, ma anche lo statuto che regola il funzionamento del Sistema europeo di banche centrali. Queste carte chiariscono anche che la Bce o una banca centrale nazionale non possono finanziare direttamente uno Stato: la Banca d'Italia, per esempio, non può vendere il proprio oro per far quadrare i conti pubblici italiani. E, viceversa, il governo non può prelevarlo per fare la stessa cosa.

Tutto questo non cambierà con il nuovo emendamento. Il punto è una questione tecnica: tutti i documenti citati non dicono esplicitamente chi è il "proprietario" delle riserve d'oro. Parlano solo di chi le gestisce. E questo ha lasciato aperta la porta per un dibattito politico.

Non è la prima volta che il tema è stato affrontato. In anni passati, anche prima del governo Meloni, era stata soprattutto la Lega a intestarsi questa battaglia – non a caso il senatore leghista Claudio Borghi oggi ha parlato di un "momento storico". Ma alla fine è stato l'emendamento di FdI a passare. Con tutte le garanzie richieste dalla Bce, come detto: il testo chiarisce che va rispettato il "Trattato sul funzionamento dell'Unione europea" e che le riserve d'oro sono "iscritte nel bilancio" della Banca d'Italia. Cosa cambia, quindi? Niente, sul piano pratico. Solo che adesso una legge chiarisce che le riserve auree in questione "appartengono al Popolo Italiano", anche se a gestirle sarà comunque la banca.

Il capogruppo di FdI Lucio Malan ha detto che ora le riserve sono "al riparo da qualsiasi manovra che in futuro possa intaccare questo patrimonio frutto del lavoro degli italiani che oggi vale circa 290 miliardi, e che Romano Prodi voleva vendere nel 2007, quando valeva sette volte di meno. Oggi arriva a compimento una battaglia storica di Fratelli d'Italia, mettendo peraltro l'Italia sulla stessa linea della Francia e di molte altre nazioni. Sorprende che da sinistra ci sia la contrarietà a difendere questo patrimonio del popolo italiano".

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