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Elezioni politiche 2022

“Letta ha in tasca l’accordo coi Cinque Stelle, ecco perché Calenda scappa”, dice Rotondi a Fanpage.it

Gianfranco Rotondi, presidente di ‘Verde è popolare’, è convinto che, una volta rotto l’accordo con Calenda, Letta si muoverà per riprendere un dialogo con i Cinque Stelle: “È scontato che avendo impostato una campagna elettorale con un pallottoliere, e perdendo colui che diceva ‘mai con Conte’, la prima cosa che farà Letta è cercare Conte”, ha detto in un’intervista a Fanpage.it.
A cura di Annalisa Cangemi
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Poco prima dell'annuncio della fine del patto Pd-Azione, naufragato dopo che Enrico Letta ha stretto accordi con Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, Luigi Di Maio e Bruno Tabacci, Gianfranco Rotondi, presidente di ‘Verde è popolare', aveva già chiaro il quadro, e aveva già dato per certa la rottura, ipotizzandone anche la causa precisa: "Carlo Calenda scappa perché ha saputo quel che io prevedevo da giorni: Enrico Letta ha in tasca l'accordo con il M5s e lo tirerà fuori all'ultima ora utile". Le voci che giravano da ore davano già per tramontato il patto elettorale firmato meno di una settimana fra tra Calenda e Letta, ma Rotondi si era già spinto un po' più avanti, individuando nel possibile riavvicinamento a sorpresa tra i due ex alleati del defunto campo largo la ragione che ha spinto Calenda a stracciare l'accordo. L'ex ministro da Lucia Annunziata non poteva essere più esplicito di così: "Ho comunicato ai vertici del Pd che non intendo andare avanti con quest'alleanza". La pratica insomma sembra chiusa una volta per tutte.

Onorevole, lei ha la sfera di cristallo o sa qualcosa di più su questa rottura di Calenda con Letta?

Sfera di cristallo no, posso dare una lettura. E cioè che Calenda non si è arrabbiato per Fratoianni, ma lo ha considerato l'antipasto di un menu indigesto. Quando Fratoianni ieri ha detto: ‘Sono contento dell'accordo, andrebbe esteso ai Cinque Stelle', a quel punto è scattata una sirena d'allarme, e Calenda ha capito che Letta forse ha già in tasca l'accordo con i Cinque Stelle. Forse la strategia dell'ulivista Enrico Letta rimane quella dell'Ulivo, ossia: da Mastella a Turigliatto tutti contro le destre. Questo Calenda non lo poteva accettare, perché lui ha giocato tutto sulla scelta netta, l'agenda Draghi, il confine a sinistra, la fatwa contro i Cinque Stelle…Lui ha temuto di partire per Bad Godesberg e trovarsi con un patto di Bologna, come quello che legò Prodi con le sinistre estreme.

Lei dice che quella di Calenda è una scelta definitiva?

Secondo me la genesi di questa decisione è quella che ho appena descritto. Il sospetto è che il filo giallo-rosso non si sia mai spezzato, e che quindi Calenda aveva paura di potersi ritrovare dopo qualche giorno un appello di MicroMega, delle anime belle della sinistra, pronte a dirgli che nel nome della Costituzione si fa anche l'accordo con i Cinque Stelle. Quindi Calenda si sarebbe trovato costretto a rompere, in un secondo momento, senza aver più il tempo necessario a raccogliere le firme.

L'averci pensato adesso è quindi frutto di un preciso calcolo. 

Sì, perché lui ha capito che lo si stava spingendo su un piano inclinato, che lo imbrigliava in una coalizione che si sarebbe naturalmente allargata ai Cinque Stelle.

Lei quindi non ha mai creduto a queste dichiarazioni di chiusura che arrivano da Conte e da Letta?

Non ho mai creduto al cinismo gramsciano della ditta ex comunista, al fatto che rinuncerebbe a un accordo che gli porta tutti i collegi del Sud. Faccio una precisazione: ho detto ‘cinismo gramsciano', ma culturalmente è una sciocchezza, perché Gramsci era il teorico dell'analisi delle forze in campo, con cui ci si confronta. Il cinismo è venuto dopo, perché si è passati dal gramscismo, che contemplava il dialogo e le alleanze tra le forze in campo, al cinismo della sinistra che ha tradotto il gramscismo nel ‘tutti contro tutti', ovvero ci si allea con tutti pur di abbattere gli altri.

Lei ha la sensazione insomma che a un accordo Pd e M5s ci stiano lavorando sottobanco.

Sì.

Lei dice che Calenda deve raccogliere le firme, però c'è l'opzione Renzi. Alleandosi con Italia viva non avrebbe bisogno di raccoglierle. 

Ma trovalo un politico che è felice di finire in bocca a Renzi, con lui che dà le carte! Preferirà rimboccarsi le maniche e raccogliersi le sue firme. Anch'io faccio l'accordo con il Centrodestra, ma in ogni caso nel mio ufficio ci sono le firme necessarie per presentare le liste di Verde è Popolare, perché in politica non si sa mai. Noi lo abbiamo già fatto, perché ci siamo preparati con tanti mesi d'anticipo. Calenda ha poche settimane per farlo, ma se avesse aspettato l'ultimo giorno sicuramente non ci sarebbe riuscito.

Qual è il suo ruolo in questa campagna elettorale?

Non sono un personaggio di prima fila, e quindi non influenzo certamente l'esito. Però, in quanto ultimo democristiano battente bandiera propria, credo che avrò un ruolo importante, perché sarò chiamato a una scelta storica. Questa è una campagna elettorale per certi aspetti come quella del 1994-95, cioè disegnerà l'assetto del sistema politico italiano per un lungo periodo. E quindi il democristiano Rotondi che ha battuto sempre bandiera propria si trova di fronte Letta e Meloni.

La sfida sarà tra loro due?

Certo. Quale sia la mia scelta è noto. La mia missione in questa campagna elettorale è spiegarla e convincere. Qui, con un filo di presunzione, potrei dire che il mio ruolo alla fine sarà più importante di quanto lo sia all'inizio, perché il voto democristiano è sempre quello che determina, che fa l'esito. È la bollinatura di qualità della coalizione che vince.

Qual è un risultato che riterrebbe ottimale per il 25 settembre?

Io credo che Giorgia Meloni rappresenti la riconsacrazione della toga della politica. Per la prima volta, dopo moltissimi anni, si candida una figura che viene dalla politica. Abbiamo avuto Ciampi, Dini, Prodi, lo stesso Berlusconi, Draghi, Conte, tutti premier entrati in politica, o contaminati dalla politica, che provenivano da esperienze altre. Non avevano indossato la toga della politica, non si erano mai iscritti in una sezione. Il non più giovane Rotondi, che ricorda le battaglie nelle sezioni dello scudocrociato, pur sapendo che Meloni viene da ben altre sezioni, sotto altri simboli, un filo di commozione ce l'ha, vedendo che torna una musica antica, che sembrava passata di moda. E torna anche con Enrico Letta, perché dalla parte opposta c'è comunque un politico a tutto tondo.

Lei è candidato?

Applico la regola che dettava il mio maestro, Fiorentino Sullo: ‘In politica mai fare una cosa che non ti sia chiesta almeno due volte'. Mi è stata chiesta già la disponibilità a essere candidato per il centrodestra, naturalmente aspetto che mi sia chiesta una seconda volta.

Questa volta abbiamo concretamente la possibilità di avere la prima premier donna?

Certamente è una possibilità. Se il Centodestra vince, penso che Giorgia Meloni allungherà sonoramente lo stacco rispetto alle altre due liste maggiori della coalizione. Penso che non vi siano dubbi sulla prevalenza di Meloni nel Centrodestra. Con onestà esprimo dubbi sull'esito.

Cioè?

Perché diventi premier occorre che abbia una maggioranza alla Camera e al Senato. E non sottovaluto quello che sta avvenendo a sinistra. Non considero affatto una buona notizia per noi la rottura di Calenda.

Perché?

Per due ragioni. La prima è che un Calenda che corre al centro erode l'elettorato di Forza Italia, l'elettorato moderato.

Lei lo sa che è il primo ad ammetterlo?

Sono assolti per non aver compreso il fatto. Ma la cosa peggiore è un'altra. La decisione di Calenda apre la strada a un accordo del Pd con i Cinque Stelle, che blinderà tutti i collegi del Sud. Per cui abbiamo il rischio più che concreto di un pareggio. Certamente in questo modo il Partito Democratico affonda nel Nord: perde una valanga di voti al Nord ma prende tutti i collegi del Sud.

È così sicuro di questo accordo Pd-M5s?

È scontato che avendo impostato una campagna elettorale con un pallottoliere, e perdendo colui che diceva ‘mai con Conte', la prima cosa che farà Letta è cercare Conte.

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