Lega e Fdi riscrivono il reato di femminicidio: solo chi uccide una donna per reazione a un “rifiuto” verrà punito

La maggioranza di governo riscrive la norma sul femminicidio e prova, almeno secondo quanto dichiarato, a darle contorni più definiti: le relatrici del disegno di legge, la presidente della Commissione Giustizia al Senato Giulia Bongiorno (Lega) e la senatrice Susanna Campione (Fratelli d’Italia), hanno presentato infatti un emendamento che modificherebbe radicalmente la nuova fattispecie introdotta nel Codice penale, con l’obiettivo di rendere "meno vaga e più applicabile la norma". Se nel testo varato dal Consiglio dei ministri lo scorso marzo si puniva con l'ergastolo chi uccideva una donna come "atto di discriminazione o di odio" legato alla sua appartenenza di genere o per reprimere l'esercizio dei suoi diritti e libertà, adesso l'attenzione si sposta sulla prova di una motivazione specifica e circoscritta. Secondo la nuova versione, il reato si configurerebbe solo quando l'assassinio è diretta conseguenza del rifiuto della donna di stabilire o mantenere una relazione affettiva, oppure della sua opposizione a subire "una condizione di soggezione o limitazioni della sua libertà imposte in ragione della sua condizione di donna".
Una stretta normativa che avrebbe l'obiettivo di chiarire alcuni punti ma che rischia, nella pratica, di lasciare fuori moltissimi casi di femminicidio. Per molti giuristi, c'è poi anche un altro rischio: come provare giuridicamente un rifiuto?
Cosa cambia con l'emendamento
La nuova norma prevede l’ergastolo per chi uccide una donna quando l’assassinio è:
- Consequenza diretta di un rifiuto (di stabilire o mantenere una relazione affettiva).
- Frutto della volontà di costringere la donna a subire una limitazione della sua libertà.
Le ragioni della modifica e le critiche dei giuristi
L’obiettivo delle proponenti sarebbe quella di evitare che la nuova norma resti troppo generica e difficilmente applicabile in sede processuale. Critiche in questo senso erano arrivate, nel corso delle audizioni, dall'Associazione Nazionale Magistrati e da esperti come il pubblico ministero Cesare Parodi e il professor Gian Luigi Gatta dell’Università Statale di Milano. Parodi aveva messo in guardia sulla complessità di dimostrare in giudizio "la volontà di soffocare la libertà di una donna" come elemento psicologico essenziale, mentre Gatta aveva segnalato che una norma troppo ampia e vaga avrebbe finito per fornire ampi appigli alla difesa, trasformando di fatto molti femminicidi in semplici e comuni omicidi. Le relatrici hanno quindi risposto a queste critiche precisando e delimitando la fattispecie penale, ma la nuova versione, pur accogliendo alcuni suggerimenti, apre ancora ad altri interrogativi e sembra alimentare nuove preoccupazioni.
Una norma più chiara, ma più stretta: chi rimane fuori?
Se è vero che legare il reato al "rifiuto" e alla resistenza a relazioni affettive o ad abusi di controllo rende più chiara la prova dei motivi che spingono il femminicida ad agire, è altrettanto chiaro che ciò potrebbe lasciar fuori molti casi di femminicidio: uno degli esempi più emblematici, come viene spiegato da alcuni esperti in materia, è la vicenda di Giulia Tramontano, uccisa da quello che era allora il suo compagno, oggi condannato all’ergastolo, per cui è stata però esclusa la premeditazione. In quel caso, pur essendoci un contesto di maltrattamento e prevaricazione, la chiave del delitto non è stata legata strettamente ad un “rifiuto” affettivo. In una situazione simile, pur essendo presente una chiara matrice di prevaricazione e possesso sulla donna, in quanto donna, la nuova norma potrebbe risultare inapplicabile, perché legata ad una casistica considerata "troppo specifica". In altre parole, pur essendo chiara la matrice di violenza e prevaricazione sulla donna, potrebbero restare fuori dal reato specifico di femminicidio episodi che invece lo rappresentano a pieno e finendo per penalizzare la realtà dei fatti.
Le altre perplessità dei giuristi
Le perplessità dei giuristi e dei magistrati andrebbero poi oltre la definizione dei motivi alla base dell’omicidio e toccherebbero un altro nodo: il rispetto del principio di uguaglianza. Come osservato dal professor Gian Luigi Gatta, limitare la nuova fattispecie alla sola uccisione di una donna finirebbe per sollevare alcuni problemi; il primo fra tutti riguarderebbe l’identificazione stessa della persona offesa: la norma, riferendosi esplicitamente alla “donna” e facendone un requisito essenziale, secondo Gatta, sembra legata a una concezione strettamente biologica del genere. "In base al principio di legalità e al divieto di analogia in materia penale, ciò significherebbe escludere dal reato chiunque non rientri in quella definizione, come ad esempio una persona transgender in fase di transizione, pur essendo percepita e colpita in quanto donna".
Si parla poi di "obbligatorietà delle misure cautelari": l’introduzione dell’obbligo dell’arresto per reati come maltrattamenti e stalking in contesto familiare solleverebbe delle perplessità sulla discrezionalità dei giudici e sulla gestione dei carichi dei tribunali. E poi ci sarebbe un altro problema: l’obbligo che sia solo il pubblico ministero ad ascoltare la persona offesa. Una previsione pensata per garantire delicatezza e rigore, ma che nel contesto dei carichi di lavoro e dei tempi della giustizia potrebbe trasformarsi in un collo di bottiglia, causando rallentamenti e rendendo più difficile garantire protezione e risposte tempestive.
Come molti esperti e operatrici sul campo continuano a sottolineare, la risposta alla piaga dei femminicidi non può esaurirsi solo nell’inasprimento delle pene. Le radici della violenza di genere vanno recise a monte, con politiche culturali e sociali efficaci: dall’educazione sessuale e affettiva nelle scuole alla promozione di una cultura del consenso e del rispetto, dal potenziamento dei servizi antiviolenza alla formazione specifica dei magistrati e delle forze dell’ordine. Senza un quadro normativo chiaro e inclusivo, e soprattutto senza una visione più ampia e coraggiosa di prevenzione e protezione, c'è il rischio di rendere la nuova norma troppo stretta e, paradossalmente, di lasciar fuori troppi casi drammatici.