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Caso Paragon

Le procure di Napoli e Roma chiedono risposte a Paragon: “Diteci chi ha spiato i giornalisti italiani”

Le procure di Roma e Napoli indagano sull’uso dello spyware israeliano Graphite contro giornalisti e attivisti. Paragon, l’azienda produttrice, dice di poter identificare chi ha spiato, ma aspetta una richiesta ufficiale.
A cura di Francesca Moriero
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Le procure di Napoli e Roma hanno chiesto ufficialmente alla società israeliana Paragon, produttrice del software di sorveglianza “Graphite”, di collaborare con le indagini italiane sull’uso illecito dello spyware contro giornalisti e attivisti. Al momento, però, l’azienda non ha fornito chiarimenti concreti, lasciando senza risposta una domanda chiave: chi ha utilizzato il software per monitorare telefoni in Italia? Paragon ha dichiarato di essere tecnicamente in grado di sapere quale licenza è stata usata per intercettare determinati dispositivi, e dunque di poter risalire all'identità dell’utilizzatore. Ma prima vuole garanzie: solo in presenza di una richiesta ufficiale e precisa da parte delle autorità, l'azienda si dice pronta a collaborare. La richiesta è ora nelle mani della magistratura. L'inchiesta ruota intorno a un elenco di nomi già noti: tra gli spiati figurano il direttore di Fanpage.it Francesco Cancellato e il giornalista Ciro Pellegrino, il fondatore di Dagospia, Roberto D'Agostino, e la giornalista olandese Eva Vlaardingerbroek. Anche alcuni attivisti collegati al network Mediterranea Saving Humans, come Luca Casarini, Giuseppe Caccia e Matteo Ferrari, sarebbero stati presi di mira. Nonostante le smentite pubbliche sull'impiego dello spyware, i vertici di alcune ONG e fondazioni coinvolte hanno ammesso che i dispositivi erano stati infettati, con autorizzazioni coperte da riservatezza.

Secondo Paragon, spetta però agli Stati rivelare se il software sia stato impiegato da enti pubblici o soggetti privati: l'azienda ha sottolineato infatti di non poter violare i termini contrattuali senza il consenso formale delle autorità richiedenti. Il punto delicato ora è se le autorità italiane intendano realmente identificare chi ha messo sotto controllo i giornalisti. Se il governo dovesse opporsi per motivi di sicurezza nazionale o per ragioni di segreto di Stato, la magistratura rischierebbe di trovarsi con le mani legate. In attesa di un riscontro formale, le autorità italiane cercano poi di risalire all'origine delle intercettazioni.

La procura intanto insiste: serve sapere se l’intelligence italiana sia coinvolta o meno, anche se questo apre il nodo del segreto di Stato. Un punto ancora da sciogliere, ma sul quale gli inquirenti vogliono fare luce.

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