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La Lega vuole cambiare le regole delle indagini sulle violenze della polizia

Nei casi di possibili reati commessi da operatori di polizia riguardo all’uso delle armi o di “altro mezzo di coazione fisica” mentre sono in servizio, le indagini non sarebbero in mano alla Procura: se ne occuperebbe l’Avvocatura dello Stato. Lo prevede un emendamento della Lega al ddl Sicurezza. Protestano le opposizioni: “Follia”.
A cura di Luca Pons
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Non dovrebbero più essere i pubblici ministeri a indagare sui possibili episodi di violenze da parte della polizia o di militari in servizio di pubblica sicurezza: le indagini dovrebbero essere seguite dall'Avvocatura dello Stato, l'organo della pubblica amministrazione che normalmente si occupa di difendere nei processi l'amministrazione statale. Questo è quanto prevede un emendamento che la Lega ha presentato al ddl Sicurezza , attualmente in discussione nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia alla Camera.

La norma prevede che, nei casi in cui siano eventuali reati "relativi all’uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica" commessi da agenti di polizia, agenti di polizia giudiziaria o militari in servizio di pubblica sicurezza, tutti gli "accertamenti" sulla "legittimità dell’azione" degli agenti e sul "rispetto dei protocolli operativi" avvenga per opera dell'Avvocatura dello Stato. La proposta, modificando il Codice di procedura penale, di fatto toglierebbe ai magistrati il potere di gestire le indagini in questi casi.

L'iter diventerebbe questo: il pm viene a conoscenza di eventuali fatti di violenza, deve informare subito il procuratore generale presso la Corte d'appello, che si mette in contatto con il comando del corpo da cui dipendono gli agenti (o militari), avvisa le persone indagate e l'Avvocatura dello Stato e apre un fascicolo d'indagine. Nel frattempo, il magistrato può intervenire solamente nel caso siano necessari "atti urgenti, relativi alla prova di reato" per i quali "non è possibile rinvio".

Sarebbe poi l'Avvocatura a occuparsi di tutti gli accertamenti "relativi alla legittimità dell’azione degli operatori e in particolare al rispetto dei protocolli operativi concernenti l’uso della forza", utilizzando anche "consulenti tecnici" se necessario. Al termine di questi accertamenti dovrebbe avvisare il procuratore generale. A quel punto, lo stesso procuratore dovrebbe decidere se c'è un reato, e quindi va chiesto un rinvio a giudizio, o se invece il fascicolo va archiviato. Le uniche informazioni che avrebbe per prendere questa decisione sarebbero quindi quelle fornite dall'Avvocatura dello Stato.

Le opposizioni hanno criticato duramente la norma, affermando che si creerebbe un "regime speciale" dedicato solamente alle forze dell'ordine, come ha detto il capogruppo di Alleanza Verdi-Sinistra in commissione Affari costituzionali, Filiberto Zaratti: "Siamo alla follia. Questo potere, secondo la nostra Costituzione, spetta solo alla magistratura. Gli agenti diventerebbero cittadini speciali con protezioni speciali". Zaratti ha detto che con queste norme "i torturatori di Stefano Cucchi avrebbero assistenza legale e spese pagate dallo Stato. È lo scardinamento dei principi democratici di divisione dei poteri e di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge". Ci sarebbe anche il rischio che processi già in corso vengano fermati, dato che la legge italiana prevede il principio del ‘favor rei': se viene approvata una norma, in materia penale, che è più favorevole a una persona imputata o condannata, allora questa si applica anche retroattivamente al suo caso.

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