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“Israele vieta cibo energetico per donne e bambini a Gaza”: la conferma nelle mail mostrate in Senato

Durante una conferenza stampa al Senato, Music for Peace ha mostrato comunicazioni e mail ufficiali che confermano il blocco di cibo ad alto contenuto energetico destinato a Gaza. Anche la Farnesina potrebbe essere al corrente delle procedure.
A cura di Francesca Moriero
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Esistono prove documentali secondo cui le restrizioni imposte da Israele agli aiuti umanitari diretti a Gaza non solo sarebbero reali, ma applicate già in passato ad altri carichi. È quanto ha dichiarato oggi Stefano Rebora, fondatore e presidente dell'organizzazione Music for Peace, nel corso della conferenza stampa al Senato, sulla consegna degli aiuti umanitari a Gaza. Le sue parole, accompagnate da alcuni documenti mostrati in aula, mettono in discussione così non solo l'effettiva neutralità dei corridoi umanitari, ma anche il ruolo delle istituzioni italiane che sarebbero, da tempo, pienamente a conoscenza delle linee guida israeliane sugli aiuti umanitari.

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Israele impone restrizioni agli aiuti: le prove presentate in Senato

Durante la conferenza stampa, Rebora ha mostrato una comunicazione ricevuta a fine settembre dalla Jordan Hashemite Charity Organization (JHCO), nella quale veniva richiesto di prendere in considerazione la rimozione di alcuni articoli dai pacchi alimentari familiari, in particolare biscotti, miele e marmellata, "per non fornire troppa energia a donne e bambini", in linea con le "restrizioni imposte dalle autorità israeliane". A seguito di questa richiesta, Rebora ha convocato una videochiamata con tutti i soggetti coinvolti, tra cui il responsabile della JHCO in Giordania,  il referente locale di Music for Peace a Gaza e, in veste di uditori, rappresentanti della Farnesina. Durante la videochiamata, è stato confermato che le restrizioni israeliane sulle spedizioni sono effettivamente in vigore e imposte dal COGAT, l’ente israeliano che coordina le attività governative e civili nei territori palestinesi, inclusa la supervisione degli aiuti umanitari; queste restrizioni, pur non formalizzate in legge, limitano la presenza di zuccheri e amidi, "specialmente per prodotti destinati a donne e bambini". Come riferito dalla JHECO, è "già successo che su 20 prodotti inviati, 5 siano stati bloccati per queste ragioni".

A completare il quadro, Rebora ha mostrato una ulteriore email datata 5 ottobre e inviata dalla JHCO, che riporta una risposta ufficiale ricevuta tramite la piattaforma UN2720, gestita dall'UNOPS, cioè l'Ufficio delle Nazioni Unite per i Servizi ai Progetti, che coordina la gestione tecnica e amministrativa degli aiuti, con l'indicazione esplicita di rimuovere biscotti e miele per ottenere l'approvazione del transito. Quanto emerso suggerisce che queste restrizioni non siano semplici difficoltà burocratiche, ma linee guida operative conosciute da più attori coinvolti nella gestione degli aiuti. La questione non sarebbe quindi solo tecnica o logistica, ma profondamente politica.

La presenza silenziosa della Farnesina

Ci sarebbe di più. Alla stessa videochiamata, come anticipato, avrebbero partecipato anche rappresentanti della Farnesina che, pur senza intervenire, avrebbero assistito alla conversazione, prendendo atto della situazione. Un dettaglio che, se confermato, solleverebbe un interrogativo politico rilevante: se il governo italiano era a conoscenza delle condizioni imposte, perché non è intervenuto pubblicamente?

Gli aiuti umanitari bloccati 

Rebora non nasconde l'amarezza per la situazione: Music for Peace è presente a Gaza dal 2009, ed è stata la prima Organizzazione umanitaria ad entrare nella Striscia; in sedici anni di attività, ha inviato 55 container, per un totale di 900 tonnellate di generi alimentari e 250 tonnellate di medicinali, oltre ad ambulanze e altri mezzi sanitari. I pacchi alimentari distribuiti, mostrati anche fisicamente oggi in Aula, sono sempre stati gli stessi: contenenti prodotti essenziali, selezionati secondo le linee guida internazionali per le crisi umanitarie. Mai, sottolinea Rebora, era stato contestato il contenuto. Mai si era visto un blocco simile. Eppure oggi, quei pacchi vengono rifiutati. O peggio: vengono aperti, smontati, svuotati di quegli alimenti considerati "non conformi", e il costo per lo smaltimento dei prodotti eliminati, biscotti, marmellate, miele, ricade sugli stessi donatori. Ogni camion che tenta di entrare a Gaza dal valico di Kissufim, l'unico operativo, deve pagare un pedaggio di 2.200 dollari; una cifra che grava ulteriormente sul fragile sistema degli aiuti umanitari e che rende evidente quanto la gestione del corridoio sia tutt'altro che neutrale.

Operatori umanitari respinti con "false motivazioni"

Le condizioni poste da Israele, secondo quanto denunciato da Music for Peace, non si limitano però solo alla merce trasportata: l'Organizzazione ha presentato domanda anche per l'ingresso dei propri operatori umanitari all’interno della Striscia, ma ha ricevuto tre rifiuti ufficiali: il primo legato alla presunta mancanza di registrazione in Israele, il secondo al contenuto dei pacchi alimentari e il terzo alla non "accreditabilità" del partner locale. Tre motivazioni che Rebora definisce false, ricordando che l'Organizzazione è riconosciuta anche dal World Food Program, che ha operato con continuità per anni, e che, se davvero non fosse accreditata, le autorità israeliane l’avrebbero già fermata molto tempo prima.

Le richieste di corridoi umanitari permanenti e indipendenti

A fronte di tutto questo, Music for Peace chiede tre cose molto chiare: che i pacchi non vengano più aperti arbitrariamente; che gli aiuti vengano consegnati direttamente da chi li ha raccolti e preparati e che sia garantita la presenza, all’interno di Gaza, di un proprio referente operativo in grado di documentare il percorso dei materiali fino alla consegna. Sono richieste che, secondo Rebora, non hanno nulla di straordinario, ma "rappresentano la base minima per definire ‘indipendente' un vero corridoio umanitario".

Oggi, dice Rebora, non si può più ignorare ciò che sta accadendo: "Un cessate il fuoco, se ci sarà, sarà una buona notizia per i civili, ma non è la fine. Ma è solo l’inizio di un percorso di verità. Gaza non ha iniziato a soffrire il 7 ottobre ma ben prima. Oggi serve umanità. Non protagonismo, non ego, non appartenenze. Le Organizzazioni umanitarie esistono per questo: per lavorare in guerra, per portare aiuti dove altri costruiscono muri. Se togliamo loro la possibilità di agire in autonomia, allora a cosa servono?". E intanto, mentre in Parlamento si discute, a Gaza si continua a morire di fame. Anche per mancanza di miele e biscotti.

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