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In Italia i femminicidi continuano ma il governo si dimentica di aggiornare i dati

Oggi, in Italia, non disponiamo di dati aggiornati sulle violenze di genere, né di un registro ufficiale sui femminicidi. Inoltre la legge approvata ormai più di tre anni fa, che prevedeva un monitoraggio puntuale e la creazione di una grande banca dati, non è mai stata attuata, nonostante le promesse del governo Meloni.
A cura di Giulia Casula
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Quello di Pamela Genini è l'ennesimo femminicidio in Italia. Il pattern è molto simile a quello degli altri casi di cronaca che lo hanno preceduto: la volontà di lei di porre fine alla relazione, l'incapacità di lui di riconoscere e accettare la decisione, il senso di dominio e la presunzione di poter disporre della vita di una donna percepita come una proprietà maschile. Cambiano alcuni aspetti, i dettagli delle conversazioni e delle condotte violente, ma la dinamica di fondo resta uguale. Uno schema che si ripete con lo stesso epilogo e che porta il caso di Pamela Genini ad essere il 71° femminicidio in Italia. La fonte di questa statistica però non è il ministero dell'Interno, come ci si potrebbe aspettare, ma l'Osservatorio nazionale di Non Una di Meno. Questo perché oggi, in Italia, non disponiamo di dati aggiornati sulle violenze di genere, né di un registro ufficiale sui femminicidi, mentre alla legge che prevedeva un monitoraggio puntuale, approvata ormai più di tre anni fa, non è mai stata data attuazione. 

Fino a un anno fa il Viminale si occupava di fornire una statistica settimanale sugli omicidi volontari consumati in Italia scorporando i numeri sulle vittime di sesso femminile, l'ambito del delitto (familiare/affettivo) e l'autore (partner o ex partner). Come aveva segnalato la giornalista Donata Columbro da quest'anno, e senza fornire particolari spiegazioni, il monitoraggio è diventato trimestrale e al momento è fermo a luglio. Il primo report infatti, è stato pubblicato il 3 aprile, il secondo risale al 7 luglio mentre dell'ultimo, che sarebbe dovuto uscire i primi di ottobre, ancora non vi è traccia sul sito del Ministero.

La risposta del ministero a Fanpage

Contattate da Fanpage.it, fonti del Viminale hanno spiegato che "il monitoraggio è stato aggiornato per garantire dati più affidabili e coerenti". La diffusione settimanale – sostengono – non aveva senso dal punto di vista statistico, "perché numeri così piccoli su periodi brevi possono dare variazioni apparenti e non rappresentative". La nuova cadenza trimestrale invece, consentirebbe di analizzare i fenomeni "con maggiore solidità, riducendo le oscillazioni casuali e permettendo confronti più significativi nel tempo". Quanto ai ritardi nel report di ottobre, assicurano che "il prossimo aggiornamento è in corso di validazione e sarà pubblicato a breve sul sito del Viminale". 

Va detto, quelli di cui parliamo sono dati disaggregati, in cui mancano moltissimi indicatori utili per misurare la violenza di genere (come i cosiddetti ‘reati spia'), ma ad oggi rappresentano l'unico bollettino pubblico ufficiale con cui misurare il fenomeno in modo più frequente rispetto al rapporto dell'Istat, che invece è annuale e viene pubblicato ogni 25 novembre.

In questo momento quindi, non è possibile avere un numero definitivo dei femminicidi commessi in Italia nell'ultimo anno (se non scavando tra le cronache e sommando all'ultimo dato di luglio i singoli casi avvenuti nei mesi successivi fino ad ottobre). Questo significa che non è neppure possibile fare un confronto tra il 2025 e il 2024 ed eventualmente, valutare l'efficacia delle misure messe in campo finora. Fermo restando che le statistiche non sono in grado di darci una risposta assoluta in questo senso, sono comunque uno strumento utilissimo per capire l'impatto di un certo fenomeno sulla nostra società, oltre che per ragionare sulle strategie che possono essere implementate per invertire la rotta.

Che fine ha fatto la banca dati sulle violenze di genere promessa dal governo

È anche a questo intento che rispondeva la legge approvata all'unanimità dal Parlamento nell'aprile 2022 e rimasta inattuata. Il provvedimento, recante ‘disposizioni in materia di statistiche in tema di violenza di genere', punta a "garantire un flusso informativo adeguato per cadenza e contenuti – recita l'articolo 1 – al fine di progettare adeguate politiche di prevenzione e contrasto e di assicurare un effettivo monitoraggio del fenomeno".

La senatrice Pd Valeria Valente, prima firmataria, ci spiega che la legge "prevede l'obbligo di raccogliere le statistiche in un determinato modo, per leggere i reati in spia, di valutare sempre la relazione tra autore della violenza e vittima, non solo per i femminicidi, ma per 28 fattispecie di reato. Era molto preziosa per indicatori di rischi, perché significava leggere i reati spia in tempo, mettere i dati le banche dati in relazione tra loro e cercare quindi di capire  se quella donna correva veramente dei rischi".

Il testo, come dicevamo, è stato varato durante la scorsa legislatura e aveva incontrato un sostegno bipartisan. Tant'è che una volta salita al governo, Giorgia Meloni si era impegnata assieme alla ministra delle Pari opportunità, Eugenia Roccella, a dar seguito ai decreti attuativi necessari per applicare la legge. A febbraio 2023 la ministra aveva annunciato di aver "avviato un confronto con le amministrazioni coinvolte nella predisposizione dei decreti attuativi", ricordando che la legge "pone in capo al ministero con delega alle pari opportunità il potere di indirizzo in merito all'individuazione delle esigenze di rilevazione statistica in materia di prevenzione e contrasto della violenza contro le donne. L'applicazione – aveva proseguito – consentirà la creazione di un sistema informativo integrato sul fenomeno violenza di genere, con il coinvolgimento, oltre che del Dipartimento per le Pari Opportunità, dei ministeri dell'Interno, della Giustizia, della Salute e del Lavoro, nonché dell'Istat".

Peccato non solo che quei provvedimenti attuativi siano rimasti chiusi in un cassetto, ma anche che la linea del governo sia andata in direzione contraria, con monitoraggi sempre più distanziati nel tempo e meno aggiornati. "I tre anni previsti dalla legge per fare i decreti sono belli che scaduti", ci dice Valente. "Mi pare una cosa abbastanza assurda. Il Parlamento l'ha approvata all'unanimità, non è una maggioranza. È una legge scritta insieme all'Istat, a cui abbiamo lavorato tantissimo, che si concentrava su come mettere assieme le banche dati di tre ministeri (Salute, Interni e Giustizia), dialogando anche con i centri antiviolenza", prosegue. "I dati non servono se non vengono fatti in maniera sistematica, perché non posso disporre di termini di confronto. Se oggi i dati sono sempre ballerini è perché a questa questa legge non viene data attuazione". Le norme sono rimaste ferme sulla carta e con loro, le promesse del governo Meloni di metterle finalmente in pratica.

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