Ilaria Salis: “Affitti? Servono soluzioni radicali, in città impossibile vivere con stipendi normali”

La crisi abitativa è una delle grandi emergenze che in Italia, così come nel resto d'Europa, ci troviamo ad affrontare negli ultimi anni. La situazione è progressivamente peggiorata, fino a diventare insostenibile in molte città, dove ormai il prezzo medio degli affitti è superiore a quello di tanti stipendi. E questo, a cascata, crea una serie di problematiche: dall'aumento delle diseguaglianze alla gentrificazione, dalla perdita di coesione sociale all'aumento della marginalità. Insomma, il problema c'è e va risolto. Ma servono soluzioni capaci di guardare lontano. Ne abbiamo parlato con Ilaria Salis, eurodeputata del Gruppo The Left, partendo dall'esempio di New York, dove il nuovo sindaco Zohran Mamdani ha promesso il blocco degli affitti e un programma basato sull'accessibilità delle città per tutte e tutti.
New York, la città più capitalista del mondo, qualche settimana fa ha eletto un sindaco socialista con un programma che, ad esempio, blocca il prezzo degli affitti. Intanto l'Europa del welfare vive una crisi abitativa che non sembra in grado di affrontare. Forse possiamo imparare qualcosa da Zohran Mamdani?
La vittoria di Mamdani a New York è stata la vittoria di un programma estremamente avanzato, molto radicale sia dal punto di vista dei diritti sociali sia dal punto di vista dei diritti civili che, per come la vedo io, devono sempre andare a braccetto. Io sono di Milano, che sotto determinati punti di vista è una piccola New York: è una città storicamente composta da persone immigrate e che adesso si trova ad espellere non solo i più poveri, ma addirittura anche la classe media. A Milano ormai è diventato impossibile mantenersi con uno stipendio normale: ci sono insegnanti o infermieri costretti a cercare casa molto lontano e affrontare viaggi lunghi, costosi, per lavorare in città. E questo ovviamente va anche a danneggiare tutta l'economia locale, la coesione sociale, il territorio l'identità stessa della città.
Il blocco degli affitti che per esempio è stato proposto a New York è qualcosa di assolutamente necessario, perché i prezzi sono diventati insostenibili. E i salari non crescono, mentre il costo dei beni di prima necessità aumenta. Guardando sempre a New York, ci sono state altre proposte, come quella del trasporto pubblico gratuito, dei supermercati comunali per garantire prezzi accessibili, eccetera. Io credo che questa sia la direzione verso cui dovremmo andare anche in Italia, dove la crisi abitativa è sicuramente una delle grandi questioni sociali della nostra epoca. Credo dovremmo avere il coraggio di intervenire in maniera decisa, perché la situazione sta diventando insostenibile ed è necessario garantire e tutti un tetto sopra la testa.
Ma cosa sta facendo l'Europa a riguardo? Alla fine non è un problema solo italiano, ma che riguarda tutta l'Unione…
A dicembre dovrebbe arrivare una proposta della Commissione, che perlomeno si è accorta che è in corso una crisi degli alloggi. Ci stiamo lavorando all'interno della commissione Hous (la commissione speciale sulla crisi degli alloggi nell'Unione europea, ndr), ma questa problematica non viene affrontata nella maniera giusta a livello europeo. Perché si va a tutelare la rendita, la proprietà privata e la capacità dei proprietari di disporre – secondo le regole del mercato libero – delle abitazioni: ma proprio questo ci ha portato alle condizioni in cui siamo ora. L'Europa non propone una regolamentazione a livello europeo, con la limitazione degli affitti brevi che sono in parte responsabili di questa crescita estrema e repentina dei prezzi degli affitti negli ultimi anni: dunque non va ad affrontare la questione da un punto di vista sociale. Anzi, si vanno a ridurre gli oneri normativi per la costruzione, andando poi a creare delle situazioni come quella che abbiamo visto a Milano, dove c'è una totale deregolamentazione e dove gli enti pubblici si piegano a quelli che sono gli interessi delle imprese di costruzione e del capitale finanziario.
Insomma, qualcosa si sta facendo, ma non si sta andando nella direzione giusta. Come Gruppo The Left abbiamo proposto oltre cento emendamenti, perché secondo noi va riscritta in un'ottica che vada invece a favorire l'edilizia residenziale pubblica, l'edilizia sociale e che ponga un limite agli affitti brevi.
A proposito di affitti brevi. Quando il governo ha approvato la Manovra c'era stata, anche se solo per qualche giorno, l'idea di aumentare la tassazione per gli affitti brevi, ma poi erano arrivate subito le proteste e la retromarcia…
Sì, ma si parlava di qualche punto percentuale, quindi nulla di eclatante. Però sarebbe stata comunque un'entrata in più nelle casse dello Stato, che si sarebbe poi potuto investire nella ristrutturazione delle case popolari. Dobbiamo anche ricordarci di questo fenomeno delle case popolari lasciate colpevolmente vuote, per una politica criminale di tanti enti gestori in Italia, è uno scandalo tutto italiano. Comunque, a livello fiscale io credo che ci siano da fare interventi ben più energici: credo che tutti gli affitti dovrebbero essere tassati come il reddito, in maniera progressiva. Non vedo perché un proprietario, che ha degli introiti da una rendita, dovrebbe essere avvantaggiato rispetto a chi invece ha un reddito da lavoro dipendente.
Il governo però sembra volersi concentrare su un altro tema, cioè su come snellire la burocrazia per gli sfratti. Cosa ne pensa?
Penso prima di tutto che la modalità di questo governo, di gestire quelle che sono le problematiche sociali con la repressione con la forza pubblica, è qualcosa di gravissimo. Non è solo inaccettabile a livello etico, ma anche da un punto di vista pratico, a lungo termine non funzionerà. Noi, come Gruppo The Left, anche a livello europeo stiamo cercando di introdurre maggiori tutele per le persone che possono essere sfrattate: le tutele andrebbero accresciute in un in una tolte. Però il punto è che questo governo non riconosce la separazione dei poteri e cerca di invadere costantemente il campo della magistratura, nel tentativo di indebolirla: in uno stato di diritto l'applicazione della legge al singolo caso viene fatta dalla magistratura, non da un organo ministeriale, quindi dal governo, come propongono.
Però allora cosa si deve rispondere ai proprietari che hanno bisogno del loro immobile, che però è occupato da persone che non riescono a mandare via? C'è un problema di legge che non viene applicata?
Credo che si debba valutare la situazione e penso che uno sfratto possa essere eseguito nel momento in cui viene trovata un'alternativa per la persona che è dentro quella casa, se questa si trova in una situazione di necessità. Quindi penso a una casa popolare, un affitto agevolato, un affitto a canone concordato: però non si può mettere una una persona per strada. Ma sappiamo che spesso trovare queste soluzioni non è qualcosa che avviene rapidamente in Italia.
Un problema, rispetto all'edilizia popolare pubblica, è anche che spesso gli immobili effettivamente ci sono, ma devono essere ristrutturati per essere abitabili e non ci sono i soldi per farlo…
Certo, quello delle case popolari che vengono lasciate vuote è un gigantesco problema, anche perché contribuisce a far crescere i prezzi degli affitti privati, riducendo l'offerta sul mercato. Ci sono appunto delle percentuali molto alte di patrimonio pubblico lasciato sfitto, che dovrebbe essere destinato a persone aventi diritto a una casa popolare. A livello nazionale parliamo di 55mila appartamenti che dovrebbero essere ristrutturati e messi nelle condizioni di essere assegnati: questo intervento però non viene svolto e questo poi crea delle liste d'attesa lunghissime e mette diverse persone in situazioni di grande difficoltà. L'Italia inoltre è uno dei Paesi dove la percentuale di edilizia pubblica, se si considera l'intero patrimonio edilizio, è molto piccola: siamo attorno al 3% o 4%, mentre in Paesi come l'Olanda arriva anche al 30%.
Cambiamo tema per l'ultima domanda. In Commissione Libe, qualche settimana fa, avete visionato un report sullo stato di diritto in Ungheria. La situazione sta peggiorando?
C'è stata una missione, di una delegazione del Parlamento europeo, che si è recata in Ungheria questa primavera e ha svolto una serie di incontri per monitorare la situazione dello stato di diritto in Ungheria. Questo è necessario perché contro l'Ungheria è stata aperta una procedura per Articolo 7, ovvero una procedura che si apre quando in un Paese ci sono rischi di violazioni gravi e sistematiche dei valori fondanti dell'Unione europea. Rispetto alla situazione constatata durante la precedente missione, risalente a qualche anno fa, è emerso che la situazione in Ungheria è peggiorata ulteriormente a livello di libertà di stampa, di repressione della della società civile, di repressione del dissenso e anche a un livello che riguarda la separazione dei poteri e la magistratura.
Insomma, la situazione in Ungheria sta ancora peggiorando. Ed è inaccettabile che un Paese che si rende sistematicamente responsabile di queste violazioni, che calpesta i valori europei – quindi essenzialmente la democrazia l'Unione europea, per approfittare soltanto dei benefici economici che trae dallo stare in questo in questo consesso – stia nell'Unione. Per cui io credo che l'Ungheria di Orban non dovrebbe stare nell'Unione europea.