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Il manifesto apertamente fascista usato dal Comune di Macerata, Montanari: “Così tornano le idee del regime”

Rassegna Esplicita, festival in programma il prossimo weekend a Macerata, usa una grafica che richiama il Ventennio. Tomaso Montanari: “Non è un caso ma un messaggio identitario rivolto alla destra radicale”.
Intervista a Tomaso Montanari
Storico dell'arte, saggista e rettore dell'Università per stranieri di Siena
A cura di Davide Falcioni
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La Rassegna Esplicita, iniziativa letteraria organizzata e finanziata dal Comune di Macerata per il prossimo fine settimana, ha attirato un’attenzione non comune ancor prima di aprire i battenti. A differenza di molte manifestazioni culturali, la discussione non si concentra solo sul programma degli incontri – infarcito di ospiti legati a doppio filo all'estrema destra – ma anche sull’immagine scelta dall'amministrazione comunale per promuoverla: un manifesto grafico che riprende, quasi in filigrana, forme, simboli e impianto visivo tipici della propaganda futurista e fascista, in particolare di Fortunato Depero e della sua produzione per i gerarchi maceratesi del regime, con tanto di scritta "fascismo di primissima linea".

Un riferimento, secondo numerosi osservatori, tutt’altro che casuale. L’evento ospita figure legate al neofascismo, ad ambienti editoriali militanti e realtà riconducibili a CasaPound, e la scelta di un’estetica storicamente connotata non può essere letta come mero gioco stilistico. L’uso di un codice iconografico così riconoscibile assomiglia piuttosto a un messaggio indirizzato a una precisa comunità politica, capace di identificarne la continuità ideologica e simbolica. Ne abbiamo parlato con lo storico dell’arte Tomaso Montanari, che da tempo studia la persistenza dei linguaggi visivi fascisti nella comunicazione della destra contemporanea.

A sinistra, l’opera di Fortunato Depero; a destra, il manifesto della Rassegna Esplicita di Macerata
A sinistra, l’opera di Fortunato Depero; a destra, il manifesto della Rassegna Esplicita di Macerata

Professor Montanari, avrà avuto modo di osservare l’accostamento tra il manifesto futurista di Fortunato Depero realizzato per il fascismo maceratese e quello della Rassegna Esplicita che si terrà a Macerata nei prossimi giorni. Dal punto di vista storico-artistico, che lettura ne dà?

Credo che questo caso renda evidente un punto che cerco da tempo di approfondire, anche in un libro che sto scrivendo: esiste una continuità dimostrabile tra l’ideologia della destra politica italiana di oggi e quella del fascismo storico del Ventennio. Quando dico continuità, non mi riferisco alla nostalgia di parate militari o rituali littori. I leader politici che oggi si definiscono non nostalgici – a partire da Giorgia Meloni – appartengono a generazioni che non hanno vissuto il fascismo e dunque non possono ricordarlo sentimentalmente. Tuttavia, la continuità è ideologica: le idee su nazione, identità, religione, rapporto tra i sessi, uso della forza, guerra, sono sostanzialmente le stesse.

In che modo questa continuità ideologica emerge nelle immagini?

Le immagini rendono la continuità ancora più evidente delle parole. E non si tratta di una coincidenza. C’è una ricerca deliberata di materiali iconografici del fascismo storico, spesso depurati degli elementi che li renderebbero facilmente riconoscibili al grande pubblico, ma conservati nella loro struttura simbolica. Questa iconografia viene riutilizzata sapendo che esiste un pubblico ristretto che ne riconosce il significato e lo apprezza. Non è un fenomeno innocente; è voluto.

Quindi il manifesto della rassegna maceratese è un messaggio preciso a una precisa comunità politica, per di più in un territorio in cui si contano ben 96 stragi nazifasciste tra il 1943 e il 1944…

Certo che lo è: è un messaggio diretto a una comunità, quella di destra-destra, che riconosce quel linguaggio visivo e lo interpreta come segnale identitario. Parallelamente, buona parte del giornalismo mainstream tende a liquidare episodi di questo tipo come dettagli irrilevanti o folcloristici. Questa minimizzazione è pericolosa: impedisce all’opinione pubblica di comprendere ciò che accade e di cogliere la continuità ideologica e simbolica tra il fascismo di ieri e la destra di oggi.

Tra gli ospiti di "Rassegna Esplicita" ci alcun giornalisti noti al grande pubblico, ma anche soggetti meno noti, figure dell’estrema destra spesso riconducibili a CasaPound, oltre a editori che pubblicano testi ideologicamente fascisti. Altri editori hanno esposto le loro opere lo scorso weekend a Più libri più liberi. Che valutazione fa di questo fenomeno?

Basta leggere i libri di questi ambienti politici, oppure ascoltarne i discorsi, per capire che il richiamo agli autori del fascismo storico è costante. Le retoriche culturali e simboliche sono analoghe. Pensiamo, ad esempio, alla fascinazione per Sparta come modello politico perfetto evocato anche dallo stesso Hitler, ma apprezzato persino da Azione Giovani quando Giorgia Meloni ne era presidente: Sparta che elimina i disabili, Sparta che ferma lo straniero persiano alle Termopili, quindi contro la "sostituzione etnica". Non c'è nessun pudore da questo punto di vista. La casa editrice AR di Franco Freda pubblicò un libro su Sparta e il fascismo, ma ci sono mille altri esempi fino ai nostri giorni. È un universo simbolico coerente che si riproduce senza alcun pudore. Nel suo libro su Antonio Gramsci il Ministro della Cultura Alessandro Giuli cita spesso Julius Evola, che è stato più vicino all’ideologia nazista che a quella fascista in senso stretto. Oggi queste idee non sono marginali: sono tornate nella vita culturale e politica del Paese. Questo dovrebbe indignare e stimolare una reazione pubblica. Queste idee oggi sono tornate alla vita in Italia, questo è il punto. Ed è grave.

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Insomma, l’uso di un’estetica fascista ai giorni nostri non è un episodio isolato alla rassegna maceratese?

Assolutamente no. È un fenomeno ricorrente. Esistono studi molto accurati in merito: penso ad esempio al saggio di Luciano Cheles "Iconografia della destra. La propaganda figurativa da Almirante a Meloni", un lavoro eccellente che mostra confronti impressionanti: dalla grafica dei gruppi giovanili agli stessi manifesti politici di leader nazionali, dove la postura, la composizione, la luce e il fondale riprendono chiaramente i manifesti mussoliniani. È un linguaggio intenzionale, non accidentale. Quanto osserviamo a Macerata non è un episodio isolato: è solo uno tra molti.

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