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Manovra 2026

Il governo Meloni sta provando di nuovo a mettere una tassa sulle banche, e loro non sono contente

Da mesi il governo Meloni accenna all’idea di un nuovo “contributo” da richiedere alle banche, nella manovra per il 2026. Da parte loro, gli istituti di credito sono tutt’altro che entusiasti. Il presidente dell’Abi ha bocciato l’idea, in modo più o meno implicito. Si cerca una mediazione: l’anno scorso portò a una marcia indietro quasi totale del governo.
A cura di Luca Pons
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Per la sua legge di bilancio 2026, il governo Meloni avrà bisogno di parecchi soldi. E così, da mesi è tornata nel dibattito l'idea di una ‘tassa' sulle banche, ancora tutta da definire. Fratelli d'Italia e soprattutto la Lega non hanno nascosto la loro volontà di prendere dei soldi agli istituti di credito, mentre Forza Italia si è messo di traverso, spalleggiando l'Abi (associazione bancaria italiana), che di nuove tasse non ne vuole sapere. La scena è simile a quella dello scorso anno, quando alla fine il governo fece marcia indietro e accettò, di fatto, un prestito biennale da parte delle banche.

Nuova tassa sulle banche in Manovra, Meloni e Giorgetti tornano all'attacco

Negli scorsi giorni il dibattito si è acceso, anche se con interventi distanti tra loro. Alla festa di Gioventù nazionale, domenica, la presidente del Consiglio Meloni ha detto che servirà "tanta determinazione, tanto sacrificio, tanto impegno, tanta fatica per rompere quei meccanismi bloccati, superare le troppe rendite di posizione che tengono imbrigliata questa nazione". Un'espressione che non è suonata casuale: proprio di "rendite di posizione" parlò la premier nel 2023, quando il governo lanciò il primo tentativo (fallito) di tassare i cosiddetti extraprofitti delle banche.

All'epoca, il governo Meloni annunciò una misura a sorpresa che non era stata concordata con le banche, e che avrebbe dovuto portare diversi miliardi di euro nelle casse dello Stato. Difendendola, la presidente del Consiglio disse al Sole 24 Ore: "Io non tasserò mai il legittimo profitto imprenditoriale e agirò sempre per aiutare a creare ricchezza. Però non intendo difendere le rendite di posizione. Non mettiamo in difficoltà alcuna banca, è solo un provvedimento che interviene, con garbo, in un momento di difficoltà per tante persone". Forse, quindi, proprio le sue parole degli scorsi giorni – unite ai numerosi, espliciti riferimenti del ministro dell'Economia Giorgetti e del suo segretario di partito, Matteo Salvini – hanno spinto le banche a prendere una posizione.

Le banche respingono l'idea, Forza Italia sta con loro

Lo hanno fatto tramite Antonio Patuelli, presidente dell'Associazione bancaria italiana (Abi), che intervenendo all'università Link per una lectio magistralis ha detto esplicitamente: "Le banche non hanno rendite di posizione". Una smentita netta, anche senza citare direttamente il governo. E poi ha continuato, dicendo che gli istituti di credito "vengono da anni difficilissimi per crisi di imprese e del debito sovrano, recessioni, epidemie, catastrofi naturali, guerre", mentre ora "i rischi internazionali sono nuovamente cresciuti".

Non proprio un'apertura a un nuovo contributo, che comunque per il momento è tutto da definire. E, come detto, sulla questione il centrodestra è tutt'altro che compatto. Anzi, FI ha una posizione opposta a quella dei compagni di maggioranza. Non è un caso che martedì 23 settembre Patuelli e l'Abi abbiano scelto proprio i forzisti per un faccia a faccia privato, in Senato. "Forza Italia ha ribadito la propria posizione contraria all'introduzione di qualsiasi nuova tassa nei confronti di chiunque", ha detto il partito in una nota a fine incontro, per cancellare qualunque dubbio.

È il terzo tentativo del governo, finora sempre flop

La linea dell'Abi, sostenuta anche dal partito di Tajani, è che le banche non vadano toccate anche perché c'è già l'accordo stilato lo scorso anno. Dopo settimane di annunci e mediazioni, si arrivò a un compromesso decisamente favorevole per gli istituti di credito: non una nuova imposta, ma la rinuncia temporanea a una deduzione fiscale; un ‘prestito' di due anni allo Stato, che si impegnò a restituirlo dal 2027 in avanti (quindi in gran parte dopo le prossime elezioni).

Ora, non è chiaro quale compromesso l'esecutivo tenterà di raggiungere con le banche – e al suo interno. I precedenti sono quello del 2023, con la tassa annunciata a sorpresa che poi diventò facilissima da aggirare con una clausola aggiunta in seguito; e quello dello scorso anno, con un accordo biennale che come detto non costerà nulla, nel lungo periodo, alle banche.

Parlando a New York, prima dell'Assemblea generale dell'Onu, anche la presidente del Consiglio Meloni ha detto che si cercherà "un confronto positivo col sistema bancario, come abbiamo fatto anche lo scorso anno". "Non dobbiamo escludere nessuna ipotesi", ma "non è che noi dobbiamo punire qualcuno, noi dobbiamo cercare alleati per le grandi priorità che vogliamo per questa nazione". Parole vaghe, per il momento. Nelle prossime settimane, quando il testo della manovra dovrà prendere forma e il conto delle misure diventerà più chiaro, il confronto si farà più serrato.

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