Il boom dell’occupazione al Sud porta lavoro povero: aumentano i giovani in fuga

Negli ultimi quattro anni, l'occupazione è aumentata nelle Regioni del Sud molto più che nel resto del Paese. Una crescita dell'8% che ha significato quasi 500mila nuovi posti di lavoro tra il 2021 e il 2024. L'occupazione è migliorata, la crescita economica anche. Eppure, proprio in questi anni sempre più giovani hanno continuato a lasciare il Mezzogiorno. Tra i vari motivi, ci potrebbe anche essere che con il boom dei posti di lavoro non sono saliti gli stipendi: il potere d'acquisto è sceso, la povertà è aumentata. Sono alcune delle informazioni riportate dal nuovo rapporto Svimez 2025, presentato oggi.
Quanto è aumentata l'occupazione al Sud
Un dato di fatto è evidente: nel boom dell'occupazione degli ultimi anni – che pure ha avuto le sue ombre, e sembra ormai prossimo alla fine – il Sud ha avuto un ruolo centrale. Come si diceva, il tasso di occupazione è salito dell'8% mentre nel Centro-Nord l'aumento è stato di 2,6 punti più basso. Quasi un terzo dei nuovi occupati totali (1,4 milioni circa) negli anni 2021-2024 sono arrivati nel Mezzogiorno.
Ci sono stati tanti motivi per questo aumento. Le assunzioni statali; il Pnrr, che ha spinto gli investimenti nelle opere pubbliche (ma finirà nel 2026); il Superbonus, che per alcuni anni ha portato il settore edilizio a un'impennata, e di conseguenza a parecchie assunzioni nei cantieri e nei servizi professionali collegati. Oltre a un miglioramento dell'industria, che è andata in controtendenza rispetto alla crisi del Centro-Nord, dove la produzione è molto più legata all'export internazionale.
La crescita del lavoro povero
Il problema è che, mentre aumentavano gli occupati, lo stesso non facevano gli stipendi. Dal 2021 al 2025 i salari reali nel Mezzogiorno sono scesi del 10,2%, più che nel resto del Paese (dove comunque c'è stato un calo dell'8,2%). Nel Centro-Nord, la povertà lavorativa riguarda il 6,9% degli occupati. Al Sud, il 19,4%: quasi uno su cinque.
Basta dire che la metà dei lavoratori poveri in Italia risiede nelle Regioni meridionali (1,2 milioni su 2,4 in tutto). E questo numero è aumentato tra 2023 e 2024. In Italia ci sono 120mila lavoratori poveri in più rispetto all'anno prima. Circa 60mila di questi si trovano nel Mezzogiorno. Le famiglie in povertà assoluta al Sud sono passate dal 10,2% al 10,5%, un incremento che sembra piccolo in percentuale ma parla di circa centomila persone in più. Molte di queste famiglie hanno una persona di riferimento che lavora, ma il salario non basta a evitare la povertà.
Giovani e laureati se ne vanno
In questo scenario, è un po' meno sorprendente quello che la sintesi del rapporto definisce un "paradossi occupazionale", in cui "il lavoro al Sud è cresciuto come in nessuna recente fase di ripresa ciclica, ma il boom dell’occupazione non è riuscito ad arrestare le migrazioni giovanili, interne e estere". Gli stipendi bassi non bastano a spiegare la scelta di molti giovani di andarsene, ma sicuramente aiutano.
Tra il 2022 e il 2024, sono 175mila i giovani di 25-34 anni che hanno spostato la residenza nelle Regioni del Centro-Nord oppure all'estero. Erano stati circa 7mila in meno nei tre anni prima del Covid, dal 2017 al 2019.
Un discorso più specifico riguarda poi i laureati. Sono 26mila i giovani che si sono spostati da Sud a Nord nel 2023. Senza considerare l'età, si sale a circa 43mila. Più del triplo rispetto al 2002, quando furono 12mila. Anche mettendo in conto anche i laureati che si sono, invece, trasferiti al Mezzogiorno, le Regioni del Sud hanno comunque perso circa 30mila persone: è "il peggior saldo degli ultimi venticinque anni", che non dà segnali di miglioramento.
Per di più, i laureati hanno superato i diplomati (39mila) e le persone con qualifica più bassa (26mila). È una tendenza di lungo periodo: sta aumentando sempre di più il numero persone qualificate che lasciano il Mezzogiorno.
Questa è una brutta notizia anche dal punto di vista strettamente economico. Considerato che la Regione spende dei soldi per l'istruzione di un cittadino, dalla scuola dell'infanzia fino all'università, ogni laureato che se ne va è una ‘perdita', perché i frutti del suo lavoro non porteranno guadagni alla Regione stessa, ma a qualcun altro. Seguendo questo criterio, Svimez ha stimato che dal 2020 al 2024 il Mezzogiorno abbia perso quasi 8 miliardi di euro all'anno a causa dell'emigrazione di laureati: circa 6,8 miliardi di euro per chi è andato al Nord e 1,2 miliardi per chi invece ha lasciato l'Italia.
Il rischio che l'economia torni a rallentare: cosa bisogna fare
Va citato anche un ultimo dato sulla crescita del Sud negli ultimi anni. Tra il 2021 e il 2024 il Pil del Mezzogiorno è cresciuto più che nel resto del Paese: l'8,5% contro il 5,8% del Centro-Nord.
A questo hanno contribuito in gran parte le già citate misure di sostegno all'edilizia (il Superbonus e non solo) e gli investimenti del Pnrr. Ma anche altro, come il turismo, i servizi, il fatto che l'industria meridionale in media è meno esposta alle crisi internazionali. Non è un caso che siano migliorate la manifattura (legata all'edilizia) e l'agroalimentare. Nel Centro-Nord, invece, problemi come i dazi statunitensi e la recessione della Germania si sono fatti sentire più duramente.
Il problema è che, secondo le previsioni, dal 2027 le cose rischiano di ritornare come prima. I bonus edilizi sono in diminuzione, i cantieri del Pnrr dovranno chiudere, la domanda internazionale dovrebbe migliorare, e così il Centro-Nord crescerà dello 0,9% mentre il Sud dello 0,6%. Ci sono degli elementi incoraggianti, su cui insistere, secondo il rapporto: la crescita dei servizi legati a tecnologia e informazione; l'industria; l'energia green; le università che sembrano diventare più ‘attraenti' per gli studenti. Ma bisognerà continuare a investire anche quando saranno finiti i soldi presi in prestito dall'Europa.